Paolo Del Debbio: «Nei personaggi di fantasia metto anche un po’ di me»

Dopo tanti saggi, il conduttore di "Dritto e rovescio" pubblica il suo primo romanzo, "Il filo dell’aquilone"

Paolo Del Debbio
13 Ottobre 2022 alle 08:10

In tv su Rete 4 a “Dritto e rovescio” lo vediamo sempre battagliero, con le sue inchieste sul campo tra la gente, per mettersi dalla parte del pubblico a casa e farsi raccontare quali sono i problemi e i bisogni reali delle persone. Ma noi siamo curiosi di scoprire qual è l’anima più riservata e intima del conduttore Paolo Del Debbio, che ha una grande passione per la scrittura. E ora, dopo aver pubblicato vari saggi di economia, attualità ed etica, esordisce nella narrativa con l’appassionante romanzo “Il filo dell’aquilone. Vita di Astorre Cantacci” (Mondadori).

È la storia di un uomo, un trovatello adottato da una famiglia benestante, che per tutta la vita si sente in gabbia e aspira alla libertà. La cercherà in un monastero di certosini dove nel 1944, prima ancora che lui nascesse, si verificò un tragico evento: un eccidio nazista in cui morirono 40 persone tra religiosi e civili.

Un episodio reale e poco noto: la strage nella Certosa della sua città, Lucca. L’idea di scrivere un romanzo è partita dalla voglia di raccontarlo?
«No, il fatto storico l’ho inserito dopo. Sono partito dall’incipit: “Quella notte era stata una notte come tutte le altre”. Da vent’anni mi frullava in testa la storia di un uomo che si svegliava sconvolto. Prima era la vita di un barbone, poi è arrivato il personaggio di Astorre».

Nel libro affronta temi come la ricerca di un senso nella vita, la compassione e la libertà. Perché?
«Sono i temi che mi affascinano da sempre, quelli su cui ho concentrato le mie riflessioni, le mie meditazioni e i miei studi. Mi sono familiari, soprattutto la libertà».

L’aquilone del titolo è un simbolo di libertà?
«Sì, perché l’aquilone per volare ha bisogno, più che del vento, di essere ancorato a un filo sorretto dalle nostre mani. Così ognuno di noi per spiccare il volo nella vita, cerca di trovare un filo a cui aggrapparsi».

Lei da bambino giocava con gli aquiloni?
«Erano il gioco dei giochi della mia infanzia, d’estate al mare, sulla battigia. Me li costruivo anche da solo, con un pezzo di stoffa, due canne e del filo da cucito».

Quanto c’è di autobiografico nel protagonista, Astorre Cantacci?
«Nei personaggi un po’ ci si immedesima sempre. Anch’io come Astorre amo il contatto con la natura, da bambino mi piacevano la storia e la geografia come a lui. E, come lui, adoro le polpette al sugo: sono il mio piatto preferito».

E lei è anche un grande camminatore come lui?
«Sì, cammino come un pazzo nelle stanze di casa, avanti e indietro. Sono capace di percorrere quattro metri 100 volte di seguito per schiarirmi le idee».

In che modo riesce a conciliare con la scrittura il lavoro di giornalista e conduttore tv e l’incarico di docente universitario di Economia ed etica allo Iulm di Milano?
«Semplicissimo: non ho una vita sociale. Non frequento il mio ambiente, non vado alle cene e dedico quasi tutti i fine settimana alla scrittura e allo studio».

Ci racconti il “dietro le quinte” del suo processo creativo. Ha un metodo speciale per scrivere?
«Ho fatto mio il “metodo Simenon” (Georges Simenon, 1903-1989, prolifico scrittore belga, che ha creato anche il commissario Maigret, ndr) dopo aver visto una sua foto: aveva un calendario con delle crocette rosse e blu. In pratica, lui divideva il numero delle pagine da scrivere per il numero dei giorni a disposizione e ogni giorno doveva finire un tot di pagine. Le crocette rosse indicavano i giorni di scrittura, quelle blu i giorni dedicati alla revisione di quanto aveva già scritto. Questo metodo costringe alla disciplina ed è infallibile. Solo con l’ispirazione, senza la disciplina, non ci fai un bel nulla!».

Scrive durante il giorno oppure di notte?
«La notte no, ma se mi viene qualche idea mentre sono a letto la annoto su un quadernino. Scrivo la mattina e il pomeriggio, in campagna: questo romanzo l’ho scritto prima sul Lago d’Orta e poi in Toscana».

Quanto tempo ci ha messo a finirlo?
«In tutto 40 giorni».

Così poco?
«L’ho covato a lungo. Charles Baudelaire (poeta e scrittore parigino dell’800, ndr) diceva che “per scrivere alla svelta bisogna aver pensato molto”».

Usa carta e penna o il computer?
«Scrivo al computer solo gli articoli giornalistici, il video per tante ore mi dà fastidio agli occhi. Per i libri uso la macchina per scrivere che mi regalò il mio babbo nel 1976: una Olivetti 32 da cui non mi separerò mai».

Che romantico...
«Ma è più una questione pratica. Il foglio di carta che esce dal rullo è un gesto concreto: bisogna immaginare prima la pagina nella mente, perché non si può correggere. Questo àncora alla disciplina e fa risparmiare un sacco di tempo!».

Cos’altro la aiuta?
«Mentre scrivo fumo i sigari toscanelli, più che posso».

Butta giù degli appunti anche durante la pubblicità del suo programma?
«E pure durante la trasmissione (ride). Annoto le idee sui fogli della scaletta».

Il suo romanzo ha ricevuto ottime critiche, piacerà ai telespettatori di “Dritto e rovescio”?
«Su Instagram ricevo pareri favorevoli e tanti commenti sono di telespettatori. Di certo, possono capirlo tutti, perché è scritto in modo semplice».

Il libro potrà aiutarci a capire i tempi che stiamo vivendo anche se è un’opera di fantasia?
«Dopo due anni di Covid e con questa crisi economica ed energetica, la guerra e le bollette salate, tutti gli italiani, come Astorre, si sentono in gabbia, privi della libertà. In questo senso è un romanzo che parla di attualità».

Ha già in mente un’altra storia?
«Sto scrivendo il seguito di questo romanzo. Sono a pagina 140».

Quindi Astorre diventerà un personaggio seriale?
«Sì, i capitomboli della sua vita sono ancora tanti...».

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