“Raffasofia”, come Raffaella Carrà ha fatto la Storia (e la rivoluzione)

Un libro raccoglie le nuove idee e i comportamenti che la showgirl ha portato in Italia, a metà tra impegno e leggerezza

Raffaella Carrà
4 Novembre 2021 alle 08:44

Quante rivoluzioni ha fatto Raffaella Carrà? Davvero tante. Eccole raccolte in un libro in uscita il 4 novembre: “Raffasofia” racconta la sua vita così tanto collegata a cambiamenti storici per l’Italia e al pensiero di filosofi di tutte le epoche. Ne abbiamo parlato con Marina Visentin, l’autrice del volume.

Partiamo da “Io, Agata e tu”, 1970.
«Questo è un programma vecchio stile in cui la giovane Raffaella doveva essere una bella ragazza con le gambe in vista, come le era stato chiesto, ma ottenne tre minuti dove poter danzare come voleva. Lei ha mostrato a tutta Italia il suo modo di ballare, che prima non c’era. In un’intervista ha poi confessato il suo pensiero: “Non guardate come sono brava o bella, venite a fare casino con me”. Niente seduzione ma energia esplosiva, senza volgarità».

Bella premessa per “Canzonissima”...
«Lei fece due edizioni con Corrado prima di essere unica conduttrice nel 1974. Nel 1971, a 28 anni, arrivò il celebre “Tuca tuca”. Lo ballò solo tre volte, la prima con Enzo Paolo Turchi cui seguì grandissimo clamore da parte del Vaticano e dei vertici della Rai. E lei che fece? Invece di non eseguire più quelle mosse “scandalose” chiamò Alberto Sordi: lui era l’Albertone nazionale! Raffaella non è mai stata una bambolina sexy, ma al contrario una donna che prendeva l’iniziativa alla pari dell’uomo. Siamo all’inizio degli Anni 70, tutto questo non era per nulla scontato».

Non era un comportamento femminista “da barricate”.
«Lei non si è mai dichiarata femminista, ma una donna forte e decisa nel suo lavoro. A me viene da dire che non ha mai avuto bisogno di dichiararsi tale, è sempre andata dritta per la sua strada senza mai dipendere da un uomo. Non dimentichiamo che è cresciuta in una famiglia di sole donne, con una mamma separata negli Anni 50 e una nonna vedova. A 8 anni era a Roma da sola a studiare danza. Ha sempre lavorato tantissimo, non ha mai voluto sposarsi. Per me era oltre il femminismo: si muoveva nel mondo dando per scontato che quei diritti ce li avesse».

Le sue canzoni avevano testi pieni di contenuti.
«Erano di Gianni Boncompagni, un genio assoluto della tv e dello spettacolo. Erano testi pieni di ironia e fotografavano un’immagine in tre battute, raccogliendo lo spirito del tempo in chiave pop. Loro dicevano “meglio far l’amore che la guerra” su Raiuno, in prima serata. Non parlavano ai giovani del 1968, ma a famiglie tradizionali. Questa era la rivoluzione. “Tanti auguri” è la sigla di “Ma che sera”: siamo nel 1978, davanti all’Italia della piccola provincia».

Questo può anche spiegare l’amore che ha per lei la comunità omosessuale.
«Le sue canzoni raccontavano la sessualità senza distinzione di genere o la fluidità, come “Luca”. I suoi look erano colorati e osavano, lei era un esempio per chi non poteva esprimersi allo stesso modo. In un secondo momento ha scelto di partecipare a tante manifestazioni a sostegno di questa comunità».

Poi è arrivato “Rumore”.
«La canzone è un mix tra la voglia di emanciparsi, di bastare a se stessa, e la fragilità, il desiderio di avere un uomo vicino. Ma nel video balla come una forsennata e vedendo la sua interpretazione, diciamolo, non sembra voler tornare indietro, anzi sembra smentire il testo con una tenacia unica».

Gli Anni 80 invece sono quelli di “Pronto, Raffaella?”.
Anche in questo caso, come in ogni sua sfida, lei interpreta un ruolo nuovo e in un orario in cui, fino a quel momento, la Rai non trasmetteva nulla: nella prima puntata si rivolge al pubblico e dice di essere nel suo salotto come una padrona di casa. E oltre al quiz dei fagioli, quello è stato il primo programma non giornalistico in cui sono stati intervistati i politici. Con tutti, ricordiamo per esempio Madre Teresa di Calcutta, ha sempre tenuto uno stile impeccabile».

Grazie al suo modo di fare arrivò lontano.
«In “Millemilioni”, programma che non ebbe molto successo, ha cantato “Torna con me” in una stazione della metropolitana di Mosca vestita come una spia Anni 40. Il muro di Berlino non era caduto, c’era ancora l’Unione Sovietica: ha avuto coraggio a girare il mondo superando tanti confini. Con “Carràmba”, poi, si è costruita la sua immagine nazional-popolare, anche se lei ha sempre rifiutato la tesi di aver iniziato la tv del dolore, sostenendo di aver raccontato solo pianti di gioia. Erano emozioni belle, quelle che lei mostrava».

Una coriosità: come mai “Felicità-tà-tà” è il sottotitolo del libro?
«È un concetto che la racconta in pieno: la sua felicità è il fare, il dinamismo, il cambiamento. Lontana dal narcisismo e dall’autocompiacimento, Raffaella è una combinazione di serietà e leggerezza e per questo la ricorderemo sempre».

Una biografia che rivela un'epoca

L’autrice del libro “Raffasofia” (edito da Pienogiorno, 17,90 euro) è Marina Visentin, laureata in Filosofia, giornalista, scrittrice di romanzi e, come ama definirsi, «cresciuta a libri e cinema».

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