Sveva Casati Modignani: «Alla macchina per scrivere mi confido con tenerezza»

Siamo stati a casa della scrittrice per parlare del suo nuovo libro e della sua vita «piena d’amore»

14 Ottobre 2024 alle 08:10

Milano. Un pomeriggio di pioggia, un incontro inaspettato. La scrittrice Sveva Casati Modignani (nome d’arte di Bice Cairati) ci accoglie in una villetta liberty gialla con i fiori rossi sui balconcini, costruita nel 1907 da suo nonno materno, Cesare. «Sono nata qui 86 anni fa, all’epoca non si partoriva in ospedale. Mia mamma Emma la ereditò da nonna Bice e poi la lasciò a me, ci ho sempre vissuto» racconta.

Prima di parlare del suo nuovo romanzo “Lui, lei e il Paradiso” (Sperling & Kupfer), Sveva ci offre un caffè servito in eleganti tazzine di porcellana bianca e blu, accompagnato da cioccolata fondente («Ne sono ghiotta, non può mancare mai»). Dalla finestra della cucina («Scrivo i miei libri mentre il sugo sobbolle») si vede il bel giardino, ma il cuore pulsante della casa è in soggiorno: la scrivania dove la luce calda di una lampada si fonde con il picchiettio dei tasti di una Valentine Olivetti rossa degli Anni 60 («Uso ancora la macchina per scrivere perché ho un rapporto conflittuale con la tecnologia: odio il computer. La mia poi è un pezzo da museo: progettata dal designer Ettore Sottsass, è esposta anche al Moma di New York»).

L’orario migliore per scrivere?
«Lavoro tre ore al mattino e tre al pomeriggio, ma senza forzature. Se scrivo cinque cartelle in un giorno, vuol dire che ho lavorato».

Veniamo al nuovo romanzo: “Lui, lei e il Paradiso”. Titolo celestiale.
«All’inizio era “Intervista in Paradiso”. Banale per un incontro bizzarro tra Stella, una signora anziana e rinsecchita in pigiama, e Dino, un vecchio signore inappuntabile ed elegante, che finiscono per ballare insieme un valzer nella sala d’attesa del Paradiso».

Dino è un imprenditore carismatico. A chi si ispira?
«C’è chi ritroverà, romanzati, alcuni aspetti della vita di Silvio Berlusconi. Pur non avendolo mai incontrato, dopo aver visto i suoi funerali mi è venuta una grande voglia di intervistarlo. Poi quella notte mi sono svegliata e ho pensato di avere una nuova storia da raccontare».

Stella si definisce un’umile artigiana della penna. Sveva e Stella sono la stessa persona?
«Mi ha scoperto: ci sono dentro fino agli occhi».

Ma il Paradiso se lo immagina come il luogo degli incontri speciali?
«Non me lo immagino per niente. Inferno, Purgatorio e Paradiso sono negli incontri che si fanno su questa terra».

E lei ne ha fatti tanti, a cominciare da quando era una brillante giornalista a “La Notte”, negli Anni 60.
«La prima fu la ballerina Joséphine Baker. Ammirai la sua bigiotteria. Aveva venduto tutti i suoi gioielli veri per sfamare i suoi 12 bambini adottivi».

Poi Umberto II di Savoia.
«Sì, a Ginevra. “Sua Maestà” era un uomo molto malinconico».

Mina?
«Ci fumammo una sigaretta insieme dietro lo scalone del Casinò di Saint-Vincent. Mi confidò che l’idea di affrontare il pubblico la terrorizzava».

La diva Wanda Osiris?
«La intervistai all’epoca in cui spopolava Heather Parisi. La definì “legnosa”».

Susanna Agnelli?
«La incontrai per caso all’Argentario. Dovevo intervistare un’altra signora e le chiesi informazioni su come rintracciarla. “Proprio a me lo chiede? Non sa che è l’amante di mio marito?” mi rispose. E io sono diventata di tutti i colori».

Altri momenti imbarazzanti?
«Il regista Luchino Visconti mi accolse nella sala da bagno del suo appartamento all’hotel Excelsior di Venezia. Io andai nel pallone, gli dissi: “Non ricordo neanche una domanda”. Per trarmi d’impaccio, mi invitò a cena con altre giornaliste e mi volle seduta accanto a sé».

Scoop?
«Quando i Beatles vennero per la prima volta in Italia, mi sono travestita da cameriera per entrare nella loro stanza di hotel. Avevo tutto: grembiulino nero, crestina. Ma il loro manager mi sgamò subito e mi cacciò».

Ma quindi l’intervista?
«Me la sono inventata».

Oggi scrive storie di donne, di amore. I grandi amori della sua vita?
«I libri, quelli già letti e quelli che leggerò. Mio padre Achille, un uomo dolcissimo, meraviglioso. I miei cani, tutti di nome Rambo, tutti bassotti».

Una passione che condivide con il suo alter ego letterario, Stella, è quella per le carte. A che cosa gioca?
«Scopa, briscola e rubamazzo. Niente bridge o burraco, per carità».

E degli innamoramenti senili che ne pensa?
«Gli incontri tra pancere e dentiere, che orrore (ride)».

A che punto è il prossimo romanzo?
«La pila di fogli è già alta».

Intanto cosa legge volentieri?
«Un russo: Anton Cechov, per la semplicità , la grazia , la gentilezza, la pacatezza con cui racconta la vita e i sentimenti. Leggerlo mi conforta, mi fa stare bene. Forse perché era un medico oltre che uno scrittore. E la scrittura, come la medicina, è terapeutica».

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