Per i lettori di Sorrisi, un estratto del lbro dal quale è tratto l'omonimo film in arrivo al cinema il 31 maggio

Arriva a cinema il 31 maggio «Tuo, Simon», tratto dall'omonimo romanzo best seller di Becky Albertalli. In America ha fatto tantissimo parlare di sé e i critici lo hanno definito "rivoluzionario": si tratta infatti del primo film per adolescenti prodotto da una grande casa cinematografica ad avere come protagonista un ragazzo omosessuale.
«Tuo, Simon» è una commedia romantica tenera e divertente che porta sul grande schermo tematiche attuali, finora ignorate dai grandi studi cinematografici, affrontandole con delicatezza e leggerezza.
Il libro «Tuo, Simon» è edito da Mondadori e potete trovare tutte le informazioni qui: http://www.ragazzimondadori.it/libri/tuo-simon-becky-albertalli/
Qui di seguito potete leggere in anteprima i primi tre capitoli del romanzo.
Capitolo 1
È una conversazione ambigua. Quasi non mi accorgo che mi sta ricattando.
Siamo seduti dietro le quinte, su sedie di metallo pieghevoli, e Martin Addison dice: «Ho letto le tue email».
«Che?!» Alzo gli occhi.
«Prima. In biblioteca. Ovviamente non l’ho fatto apposta.»
«Hai letto le mie email?»
«Sì, ho usato il computer subito dopo di te, e quando sono andato su Gmail la pagina si è aperta sul tuo account. Magari avresti dovuto fare logout.»
Lo guardo sbalordito. Con il piede picchia contro la gamba della sedia.
«E allora, cos’è questa storia che hai uno pseudonimo?» chiede.
Fantastico. Se lo scopo dello pseudonimo era nascondere la mia vera identità a tipi come Martin Addison, ha funzionato alla grande.
Mi sa che mi ha visto seduto al computer.
E mi sa pure che sono il re degli idioti.
Sorride. «Comunque, pensavo ti potesse interessare sapere che anche mio fratello è gay.» «No, non mi interessa.»
Mi guarda.
«Che stai cercando di dirmi?» chiedo.
«Niente. Guarda, Spier, che per me non è affatto un problema. Non è poi chissà cosa.»
E invece la verità è che è un disastro. Un disastro di dimensioni potenzialmente epiche. Dipende se Martin sa tenere la bocca chiusa o meno.
«È proprio stranissimo» dice.
Non so cosa rispondere.
«Comunque» continua «mi pare evidente che non vuoi che la gente lo sappia.»
No, credo proprio di no. Ma non è tanto la faccenda del coming out a spaventarmi.
A spaventarmi è tutto l’imbarazzo che causerà, e non posso fare finta di non vedere l’ora che succeda. Anche se probabilmente non sarà la fine del mondo. Non per me.
Il problema è che, se Martin lo andrà a dire in giro, non so come la prenderà Blu. Blu è una persona riservata. Una di quelle persone che non dimenticherebbero di fare logout dall’account di posta elettronica. Una di quelle persone che potrebbero non perdonarmi mai di essere così distratto.
Quello che sto cercando di dire è che non so cosa ne sarà di noi. Di me e di Blu.
E non posso credere di essere qui a parlare di questa storia con Martin Addison. Tra tutte le persone che potevano aprire Gmail dopo di me, mi è toccato proprio lui. Va anche detto che non avrei mai usato il computer della biblioteca, se non fosse che qui bloccano quel wi-fi del cavolo. Ed è uno di quei giorni in cui non vedo l’ora di essere a casa col mio portatile. O anche solo al parcheggio a controllare la posta dall’iPhone.
Perché stamattina avevo scritto a Blu dal mio account segreto. Ed era un’email importante.
Volevo solo vedere se aveva risposto.
«Penso che gli altri la prenderebbero bene» dice Martin. «Dovresti essere semplicemente chi sei.»
Non so come reagire. Un ragazzo etero che a stento mi conosce mi dà dei consigli sul mio coming out. Forse dovrei alzare gli occhi al cielo.
«Be’, non importa. Non ho intenzione di mostrarla a nessuno» dice.
Per un istante mi sento stupidamente sollevato. Ma poi arriva la botta.
«Mostrarla?» chiedo.
Arrossisce e giocherella con l’orlo della manica. C’è qualcosa nella sua espressione che mi stringe lo stomaco. «Nel senso che hai... hai fatto una foto alla schermata?»
«Be’» dice, «volevo parlarti proprio di questo.» «Scusa: hai fatto una cazzo di foto alla schermata?» Arriccia le labbra e guarda dietro di me. «Comunque» dice, «so che sei amico di Abby Suso, per cui volevo chiederti...»
«Seriamente: è meglio se torniamo a parlare del perché hai fatto una foto alle mie email.»
Sta zitto. «Pensavo che magari ti andava di aiutarmi a parlare con Abby.»
Quasi rido. «Cioè mi stai chiedendo se posso mettere una buona parola per te?»
«Be’, sì» dice.
«E perché mai dovrei farlo?»
Mi guarda, e di colpo capisco. Ecco cosa vuole da me.
Questo, e in cambio non divulgherà al mondo le mie email private.
E quelle di Blu.
Cristo santo. E io che pensavo che Martin fosse un tipo innocuo. Certo, è un nerd brufoloso, ma non c’è niente di male a esserlo. E pensavo che fosse pure divertente.
Solo che adesso non sto ridendo affatto. «Sul serio mi stai facendo questo?» dico.
«Eddai. Non è così.»
«E com’è allora?»
«Non è in nessun modo. Mi piace quella ragazza, e pensavo solo che ti andasse di darmi una mano. Invitarmi a cose in cui c’è anche lei, che ne so.»
«E se non lo faccio? Pubblichi le mie email su Facebook? O su quel Tumblr del cazzo?»
Dio. Il Tumblr “I segreti della Creek”: epicentro del gossip della Creekwood High School. Tutta la scuola lo saprà in un giorno.
Restiamo tutti e due in silenzio.
«Penso solo che siamo in una situazione in cui possiamo darci una mano a vicenda» dice infine Martin.
Deglutisco.
«Marty» chiama la signorina Albright dal palco. «Atto secondo, scena terza.»
«Pensaci.» Si alza dalla sedia.
«Sì, certo. Mi sembra fantastico» dico.
Mi guarda. E c’è un altro lungo silenzio.
«No so cosa vuoi che ti dica» aggiungo, infine. «Quello che ti pare.» Non credo di aver mai desiderato tanto intensamente che qualcuno se ne andasse. Ma mentre è lì che stringe tra le mani il sipario, si gira di colpo verso di me.
«Per curiosità» dice, «chi è Blu?»
«Nessuno che conosci. Vive in California.»
Se Martin crede che tradirò Blu è completamente pazzo. Blu non vive in California. Vive a Shady Creek, e viene a scuola con noi. Blu non si chiama Blu.
Blu è qualcuno. Potrebbe anche essere qualcuno che conosco. Ma non so chi è. E non sono nemmeno sicuro di volerlo sapere.
Francamente non sono dell’umore adatto per interagire con la mia famiglia. Manca più o meno un’ora alla cena, che significa un’ora in cui dovrò cercare di trasformare la mia giornata in un’infilata di aneddoti comici. I miei genitori sono così. Non puoi limitarti a raccontare loro che la prof di francese aveva le mutande incastrate tra le chiappe, o che a Garrett è caduto il vassoio in mensa. Devi fare l’imitazione. Parlare con i miei è più faticoso che gestire un blog.
Anche se è divertente. Fino a poco tempo fa mi piacevano un sacco le chiacchiere e la confusione prima di cena. Adesso mi sembra sempre che il momento in cui uscirò da quella porta non arrivi mai. Soprattutto oggi. Mi fermo giusto il tempo di agganciare il guinzaglio al collare di Bieber e portarlo fuori.
Cerco di distrarmi ascoltando Tegan and Sara sull’iPod. Ma non riesco a smettere di pensare a Blu e Martin Addison e a tutto l’orrore delle prove di oggi.
E così a Martin piace Abby, esattamente come a tutti gli sfigati etero che seguono il programma Advanced Placement. E in realtà l’unica cosa che vuole da me è accodarsi quando esco con lei. Messa così non sembra chissà quale richiesta.
Se non fosse che mi sta ricattando. E, di conseguenza, sta ricattando Blu. È questo a farmi venire voglia di prendere a calci qualcosa.
Ma Tegan and Sara aiutano. Andare da Nick aiuta. L’aria ha quella fragranza da inizio autunno, e la gente ha già cominciato a schierare le zucche per Halloween sui gradini. Questa cosa mi piace da morire. Mi piace da quando ero piccolo.
Io e Bieber tagliamo passando dal cortile sul retro della casa di Nick ed entriamo nello scantinato. C’è un enorme televisore con lo schermo rivolto verso la porta, su cui dei templari vengono brutalizzati. Nick e Leah hanno occupato le due poltrone reclinabili del videogioco. Sembra stiano lì da tutto il pomeriggio.
Entro e Nick mette il gioco in pausa. Tipico di Nick. Non metterebbe mai giù una chitarra per te, ma fermare un videogioco va bene.
«Bieber!» esclama Leah. In pochi secondi Bieber si arrampica goffamente su di lei fino a piazzarle le chiappe in grembo, la lingua penzoloni e la zampa che batte. Con Leah è proprio senza vergogna.
«No, va tutto bene, eh. Saluta solo il cane. Fai come se non ci fossi.»
«Povero Simon, vuoi anche tu una grattatina dietro le orecchie?»
Sorrido. Buon segno, le cose sono tornate normali. «Hai trovato il traditore?» chiedo.
«L’ho ucciso.» Picchietta sul controller.
«Bene.»
In realtà non c’è un millimetro di me interessato al benessere degli assassini o dei templari o di qualsiasi altro personaggio. Ma credo di averne bisogno. Ho bisogno della violenza dei videogiochi e dell’odore di questo scantinato e dell’intimità che ho con Nick e Leah. Il ritmo dei nostri discorsi e dei silenzi. L’inutilità dei pomeriggi di metà ottobre.
«Simon, Nick non sa la storia delle mutande.» «Oh, le mutande. C’est une histoire touchante.» «In inglese, per favore» dice Nick.
«O in pantomima» dice Leah.
Si è scoperto che sono straordinario nel fare l’imitazione di qualcuno che ha le mutande incastrate tra le chiappe.
E allora mi diverto pure a farla. Almeno un po’.
È come nelle gite scolastiche con Nick e Leah in prima media. Non saprei come spiegarlo, ma quando siamo solo noi tre abbiamo questi momenti stupidi e perfetti. In momenti del genere Martin Addison non esiste. Non esistono segreti.
Stupido. Perfetto.
Leah strappa via la carta dalla cannuccia, e tutti e due hanno in mano bicchieri giganti di polistirolo con dentro il tè zuccherato di Chick-fil-A. È da un po’ che non vado da Chick-fil-A. Mia sorella ha sentito dire che regalano soldi a chi frega i gay, e mi fa strano andare a mangiare lì. Anche se i loro milkshake con gli Oreo sono barchette gigantesche di delizia schiumosa. Ma non posso raccontarlo a Nick e Leah. Diciamo che dell’argomento gay non parlo con nessuno. A parte Blu.
Nick prende un sorso del suo tè e sbadiglia, e Leah cerca immediatamente di tirargli una pallina di carta in bocca. Ma Nick la chiude di scatto, bloccandola.
Lei fa spallucce. «Continua a sbadigliare, dormiglione.» «Perché sei così stanco?»
«Perché faccio festa fino a tardi. Tutta la notte. Tutte le notti» dice Nick.
«Se solo per “festa” intendessi i compiti di matematica.» «Dacci un taglio, Leah.» Appoggia la schiena alla spalliera, sbadigliando di nuovo. Questa volta la pallina di carta di Leah gli sfiora l’angolo della bocca.
Lui gliela rilancia.
«Continuo a fare questi sogni stranissimi» aggiunge. Inarco le sopracciglia. «Wow, roba erotica?»
«Uhm. No, niente del genere.»
La faccia di Leah diventa tutta rossa.
«No» dice Nick, «sogni veramente strani. Tipo ho sognato che ero in bagno a mettermi le lenti a contatto, e non riuscivo a capire quale lente andasse in quale occhio.» «Ok. E poi che succede?» La faccia di Leah è sepolta nel pelo della nuca di Bieber, e la voce esce soffocata. «Niente. Mi sveglio, mi metto le lenti a contatto normalmente, ed è tutto a posto.»
«È il sogno più noioso del mondo, Nick» dice Leah. E poi, un attimo dopo: «Non è che è per questo che scrivono destra e sinistra sugli astucci delle lenti?».
«O che la gente dovrebbe portare solo occhiali e smettere di toccarsi i bulbi oculari?» Mi siedo sul tappeto a gambe incrociate. Bieber scivola giù dal grembo di Leah per venire verso di me.
«Anche perché con gli occhiali somigli a Harry Potter, giusto, Simon?»
Una volta. L’ho detto una volta.
«Be’, credo che il mio inconscio stia cercando di dirmi qualcosa.» Nick riesce a essere abbastanza astruso quando fa l’intellettuale. «È chiaro che il tema del sogno è la visione. Che cos’è che non vedo? Quali sono le mie zone d’ombra?»
«La tua raccolta di dischi» suggerisco.
Nick ondeggia all’indietro nella poltrona e beve un altro sorso di tè. «Lo sapevi che, quando sviluppava le sue teorie, Freud interpretava i suoi stessi sogni? Ed era convinto che tutti i sogni fossero una forma di appagamento di desideri inconsci?»
Io e Leah ci guardiamo, e so che stiamo pensando la stessa cosa. Può pure parlare di stronzate colossali, ma Nick è sempre irresistibile quando si mette a filosofeggiare.
Certo, mi sono dato la ferrea regola di non invaghirmi degli etero. Quantomeno non degli etero dichiarati. E comunque non di Nick. Ma Leah si è presa una cotta per lui. E la cosa ha creato problemi di ogni genere, soprattutto adesso che è entrata in scena Abby.
All’inizio non capivo perché Leah odiasse Abby, e chiederglielo direttamente non mi ha portato a nulla.
«Oh, lei è la migliore. Cioè, è una cheerleader. Ed è così carina e magra. Non basta questo a renderla fantastica?»
Dovete capire che Leah è la regina del sarcasmo.
Ma poi mi sono accorto che a pranzo Nick cambiava di posto con Bram Greenfeld – spostamenti calcolati, mirati a massimizzare le probabilità di sedersi accanto a Abby. E poi gli occhi. Il famoso sguardo insistente di Nick, quello di chi soffre per amore. Da questo schifo ci siamo già passati con Amy Everett alla fine del primo anno. Anche se devo ammettere che c’è qualcosa di affascinante nel nervosismo di Nick quando gli piace una tipa.
Quando Leah vede quello sguardo sulla faccia di Nick, semplicemente lo ignora.
Questo vuol dire che c’è una buona ragione per fare da mediatore a Martin Addison. Se Martin e Abby si mettono insieme, magari il problema di Nick si risolve da sé. Leah potrà rilassarsi, e l’equilibrio sarà restaurato.
E così la faccenda non riguarda solo me e i miei segreti. Io quasi non c’entro.
Capitolo 2
DA: hourtohour.notetonote@gmail.com A: bluegreen118@gmail.com
DATA: 17 ottobre 12:06
OGGETTO: Re: Quando l’hai capito
È una storia piuttosto sexy, Blu. Cioè, le medie sono come un infinito film dell’orrore. Magari non infinito, perché hanno un termine, ma ti bruciano il cervello. Non importa chi sei. La pubertà è spietata.
Una curiosità: lo hai più rivisto dopo il matrimonio di tuo padre?
Io nemmeno so quand’è che l’ho capito. Sono state tante piccole cose. Come questo sogno assurdo che ho fatto una volta in cui c’era Daniel Radcliffe. O il fatto che alle medie fossi ossessionato dai Passion Pit, e poi ho capito che la musica non c’entrava niente.
E poi in terza media avevo una fidanzata. Era una di quelle situazioni in cui stai con una ma la vedi solo a scuola. E nemmeno a scuola ci combini granché. Ci tenevamo per mano. E così siamo andati al ballo della terza media in coppia, ma io e i miei amici abbiamo passato la serata a mangiare Fritos e a spiare la gente da dietro le gradinate. E a un certo punto questa tipa mai vista viene da me e mi dice che la mia ragazza mi aspetta davanti alla palestra. Sarei dovuto andare lì e ci sarebbe stata lei, e immagino che avremmo dovuto farlo. In quel corridoio cieco delle medie. Ed ecco il momento di cui vado più fiero: corro a nascondermi in bagno terrorizzato come un maledetto moccioso dell’asilo. Tipo che stavo dentro il box del bagno con la porta chiusa, rannicchiato sul water in modo che non mi si vedessero le gambe. Come se le ragazze avessero potuto fare irruzione in bagno e beccarmi. Giuro, sono rimasto lì tutta la sera. E non ho più rivolto la parola alla mia fidanzata.
Ed era anche San Valentino. Perché ho proprio classe. Per cui, sì, se devo essere onesto con me stesso, a quel punto lo sapevo con certezza. Solo che da allora ho avuto altre due fidanzate.
Lo sai che questa è ufficialmente l’email più lunga che abbia mai scritto? E non è una battuta. Potresti essere l’unica persona che ha ottenuto da me più di 140 caratteri. Spettacolare, no?
E comunque, mi sa che chiudo qui. Ti confesso che oggi è stata una giornata stranissima.
Jacques
DA: bluegreen118@gmail.com
A: hourtohour.notetonote@gmail.com DATA: 17 ottobre 20:46
OGGETTO: Re: Re: Quando l’hai capito
Sono l’unica persona? Questo sì che è spettacolare. Sono veramente lusingato, Jacques. È buffo perché nemmeno io scrivo molte email. E di queste cose non parlo mai con nessuno. A parte te.
Per quel che vale, penso che sarebbe stato decisamente deprimente se il momento di cui vai più fiero fosse stato alle medie. Nemmeno te lo immagini quanto le odiavo le medie. Te lo ricordi il modo in cui la gente ti guardava con il vuoto negli occhi e diceva: “Ah, okaaay” dopo che finivi di parlare? Tutti dovevano solo farti presente che, qualunque cosa pensassi o sentissi, eri solo come un cane. La cosa peggiore, ovviamente, era che anch’io facevo così con gli altri. Mi viene la nausea solo a pensarci.
Per cui quello che cerco di dire è che dovresti dimenticare. All’epoca eravamo tutti un disastro.
Veniamo alla tua domanda: dopo il matrimonio l’ho rivisto un paio di volte – probabilmente due volte in un anno o giù di lì. La mia matrigna fa sempre un sacco di riunioni di famiglia. È sposato, e credo che sua moglie adesso sia incinta. Non è poi così strano, perché è successo tutto nella mia testa. Incredibile, no? C’è gente che riesce a mettere in crisi la tua identità sessuale e nemmeno se ne accorge. L’unico ricordo che avrà di me è che ero lo strano figliastro dodicenne di sua cugina.
Mi sa che è una domanda retorica, ma te la faccio lo stesso: se sapevi che eri gay, perché finivi sempre per avere delle fidanzate?
Mi spiace per la tua giornata strana.
Blu
DA: hourtohour.notetonote@gmail.com A: bluegreen118@gmail.com
DATA: 18 ottobre 23:15
OGGETTO: Re: Re: Re: Quando l’hai capito
Blu,
sì sì, il temuto “okaaay”. Sempre accompagnato da sopracciglio inarcato e bocca storta e condiscendente a culo di gallina. E sì, lo dicevo pure io. Alle medie facciamo tutti pena. La cosa delle fidanzate è difficile da spiegare. Capitava e basta. La storia in terza media è stata un disastro totale, per cui quella volta è stato diverso. Riguardo alle altre due, erano amiche a cui ho scoperto di piacere, e poi abbiamo iniziato a frequentarci. E poi mi hanno lasciato, ma è stato tutto abbastanza indolore. Sono ancora amico della ragazza con cui stavo al primo anno di liceo.
Vuoi sapere che ne penso onestamente? Penso che la vera ragione per cui ho avuto delle fidanzate era che non sapevo al cento per cento di essere gay. O magari non pensavo che lo sarei stato per sempre.
Lo so che adesso stai pensando: “Okaaaaaay”.
Jacques
DA: bluegreen118@gmail.com
A: hourtohour.notetonote@gmail.com DATA: 19 ottobre 8:01
OGGETTO: Il dovuto...
Okaaaaaaaayyyyy.
(Sopracciglio inarcato, bocca a culo di gallina eccetera eccetera.)
Blu
Capitolo 3
La cosa più merdosa della faccenda di Martin è che non posso dirlo a Blu. E non sono abituato ad avere segreti con lui.
Cioè, ci sono un sacco di cose che non ci diciamo. Parliamo di noi in generale, ma evitiamo i particolari che ci renderebbero riconoscibili – i nomi dei nostri amici e qualsiasi riferimento troppo specifico alla scuola. Tutto ciò che credevo mi definisse, insomma. Ma non li considero segreti. È più un tacito accordo tra noi.
Se Blu fosse un vero studente del terzo anno alla Creekwood, con un armadietto e una media di voti e un profilo Facebook, sono quasi certo che non gli racconte- rei nulla. Cioè, è un vero studente del terzo anno della Creekwood, questo lo so. Ma per certi versi vive nel mio computer. È difficile da spiegare.
Sono stato io a trovarlo. E tra tanti posti, l’ho trovato proprio su quel cavolo di Tumblr. Era agosto, la scuola stava per iniziare. “I segreti della Creek” si suppone sia il luogo dove postare confessioni anonime e pensieri segreti, e la gente può commentare, ma nessuno ti giudica veramente. Se non fosse che è un pozzo nero in cui fini- sce ogni sorta di pettegolezzo, cattiva poesia e citazioni sbagliate della Bibbia.
18
È lì che ho visto il post di Blu. Era come se mi parlasse. E nemmeno ho pensato che fosse una cosa gay. Erano tipo cinque righe, ma grammaticalmente corrette e stranamente poetiche, diverse da qualsiasi cosa avessi mai letto.
Mi pare fosse un pensiero sulla solitudine. Ed è strano, perché io non mi considero affatto una persona soli- taria. Ma c’era qualcosa di familiare nel modo in cui Blu descriveva quella sensazione. Era come se avesse preso le idee dalla mia testa. Parlava di come sia possibile memo- rizzare i gesti di qualcuno senza arrivare mai a conoscerne i pensieri. Di come le persone siano simili a case con enormi stanze e minuscole finestre.
Parlava della sensazione di essere così esposto.
Di essere così esposto e al tempo stesso nascosto nel tuo essere gay.
Leggendo quella parte, ho provato paura e imbarazzo, ma c’era anche un tranquillo battito di eccitazione.
Parlava dell’oceano che separa la gente. E di come l’unica cosa importante sia trovare una spiaggia verso la qua- le valga la pena nuotare.
Non so spiegare come mi sono sentito quando l’ho letto. Dovevo conoscerlo e basta.
Alla fine mi sono armato di coraggio e ho postato l’unico commento che mi è venuto in mente: “È COSÌ”. Tutto maiuscolo. E poi ho scritto il mio indirizzo email. Il mio account segreto su Gmail.
Ho passato la settimana successiva ossessionato dal non sapere se mi avrebbe risposto o no. E poi ha risposto. Più avanti mi ha detto che il mio commento lo aveva un po’ innervosito. Sta veramente attento alle cose. Sicuramente più di me. Se Blu scopre che Martin Addison ha fotografato le nostre email sono sicuro che darà di matto. Ma darebbe di matto in un modo tutto suo.
Cioè smetterebbe di scrivermi.
Ricordo esattamente com’è stato vedere il suo primo messaggio nella mia casella di posta. Era un po’ surreale. Voleva sapere di me. A scuola, nei pochi giorni dopo quel messaggio, mi sentivo il personaggio di un film. Riusci- vo quasi a immaginare un primo piano della mia faccia, proiettato sul grande schermo.
Strano, perché in realtà non sono mai protagonista di niente. Al massimo sono il migliore amico del protagonista. Non riuscivo a vedermi come una persona interessante fino a quando a trovarmi interessante è stato Blu. E così
non posso dirglielo. Non voglio perderlo.
Sto evitando Martin. Tutta la settimana, in classe e alle prove, lo vedo che cerca di incrociare il mio sguardo. So che è codardia. Tutta questa situazione mi fa sentire un vigliacco. Ed è stupido, perché ho già deciso che lo aiuterò. Ovvero cederò al ricatto. Comunque vogliate metter- la. Confesso che la cosa mi fa stare un po’ male.
Per tutta la cena sono stato distratto. I miei sono par- ticolarmente felici perché è la serata The Bachelorette, il reality. Ieri l’abbiamo guardato tutti alla tv, ma questa è la sera in cui sentiamo Alice dalla Wesleyan su Skype per parlarne. È la nuova tradizione della famiglia Spier. So che è una cosa ridicola, ma ormai non ci faccio neanche più caso. La mia famiglia è sempre stata così.
«E come stanno Leo e Nicole?» chiede mio padre, con la forchetta in bocca. Cambiare di sesso Leah e Nick è l’apice del suo senso dell’umorismo.
«Benissimo» dico io.
«lol, papà» dice Nora con tono apatico. È la mia sorella più piccola. Ultimamente usa le abbreviazioni da sms parlando ad alta voce, anche se poi negli sms non le usa mai. Immagino cerchi di essere divertente. Mi guarda. «Sim, lo hai visto Nick che suonava la chitarra fuori nell’atrio?»
«Sembra che Nick stia cercando di rimediare una ragazza» dice mia mamma.
Che ridere, mamma, perché senti un po’ questa. In realtà sto cercando di evitare che Nick rimedi la ragazza che gli piace, così Martin Addison non dirà a tutta la scuola che sono gay. Ah, te l’ho detto che sono gay?
Ma com’è che la gente comincia questi discorsi?
Se vivessi a New York magari sarebbe diverso, ma non ho idea di come sia essere gay in Georgia. Siamo nella periferia di Atlanta, e so che potrebbe andare peggio. Ma Shady Creek non è esattamente un paradiso progressista. A scuola ci sono uno o due tizi dichiaratamente gay, e la gente gli dà il tormento. Non in modo violento, ma la parola “frocio” non è insolita. E immagino ci sia qualche ragazza lesbica e bisessuale, anche se credo che per le ragazze sia diverso. Forse è più facile. Se c’è una cosa che mi ha insegnato Tumblr, è che un sacco di uomi- ni si arrapano quando sanno che una ragazza è lesbica.
Ma forse capita anche il contrario. Ci sono ragazze come Leah, che fanno disegni yaoi e li postano sui loro siti.
Che a me sta benissimo. I disegni di Leah sono veramente incredibili.
E Leah fa anche fanfiction porno. L’estate scorsa le sue opere mi avevano così incuriosito da frugare in Internet per cercarne un po’. C’era davvero l’imbarazzo della scelta: Harry Potter e Draco Malfoy intrecciati in migliaia di posizioni in ogni ripostiglio di Hogwarts. Sceglievo le fanfiction scritte con una grammatica decente e passavo le notti a leggerle. Sono state due settimane surreali. È stata anche l’estate in cui ho imparato a usare la lavatrice. Ci sono calzini che non puoi far lavare a tua madre.
Dopo cena, Nora apre Skype dal computer in soggiorno. Nello schermo della videocamera Alice sembra un po’ in disordine, ma probabilmente sono i capelli – biondo cenere e spettinati. Abbiamo tutti e tre dei capelli ridicoli. Dietro di lei, il letto di Alice è sfatto e coperto di cuscini, e qualcuno ha comprato un tappeto tondo e peloso per coprire i pochi metri di pavimento. Strano im- maginare Alice che divide la stanza con una ragazza sconosciuta di Minneapolis. Perché chi avrebbe mai imma- ginato di vedere qualsiasi cosa legata allo sport in camera di Alice? E invece, ecco la scritta minnesota twins.
«Siete un po’ pixelati. Adesso... No, aspetta, così siete ok. Oh mio Dio, papà, è una rosa quella?»
Nostro padre ha in mano una rosa rossa e ride guardando la webcam. Giuro che non scherzo. Quando arriva il momento The Bachelorette la mia famiglia diventa inquietante.
«Simon, fai l’imitazione di Chris Harrison.»
Fatto: la mia imitazione di Harrison è straordinaria e geniale. Quantomeno in circostanze normali. Ma oggi non sono al massimo.
È che sono molto preoccupato. E non solo perché Martin ha fotografato le email. Sono le email in sé che mi preoccupano. Da quando Blu me l’ha chiesto mi sento un po’ strano per questa storia della fidanzata. Chissà se adesso pensa che sono fasullo. Mi dà l’idea che, una volta che ha capito di essere gay, ha semplicemente smesso di uscire con le ragazze.
«E così Michael D. dice di essersi messo l’abito fantasia per il discorso» dice Alice. «Gli crediamo?»
«Neanche per un istante, ragazzina» risponde papà.
«È quello che dicono sempre» mormora Nora. Incassa la testa nelle spalle, e solo adesso mi accorgo che ha cinque piercing all’orecchio.
«Giusto?» chiede Alice. «Bub, hai intenzione di intervenire?»
«Nora, quando li hai fatti quelli?» Mi tocco il lobo dell’orecchio.
Lei arrossisce. «Lo scorso fine settimana.»
«Fammi vedere» chiede Alice. Nora gira l’orecchio verso la webcam. «Wow.»
«Ma perché li hai fatti?» chiedo.
«Perché mi andava.»
«Sì, ma perché così tanti?»
«Possiamo parlare dell’abito fantasia adesso?» sbotta.
Nora si imbarazza quando l’attenzione è su di lei.
«È l’abito fantasia» dico. «L’hanno fatto. Sono sicuro che sull’abito fantasia non puoi fare grandi discorsi.» «Ma non significa necessariamente che abbiano fatto sesso.»
«MAMMA. Cristo santo.»
Era facile avere una relazione quando non avevo ancora ragionato sulle piccole umiliazioni che avrebbe comportato l'essere attratto da qualcuno. Cioè, con le ragazze vado alla grande. Baciarle mi sta bene. Uscire con loro è una cosa che posso gestire alla perfezione.
«E Daniel F.?» chiede Nora, infilandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. E dai, i piercing. Proprio non la capisco.
«Ok, Daniel F. è il più arrapante» dice Alice. Mia mamma e Alice usano sempre la frase “delizia per gli occhi” per parlare di quelli così.
«Stai scherzando?» dice mio padre. «Il gay?»
«Daniel non è gay» obietta Nora.
«Ragazzina, è un Gay Pride lui da solo. Una fiamma eterna.»
Mi si tende tutto il corpo. Leah una volta ha detto che preferirebbe che la gente le desse direttamente della cicciona che doverla ascoltare mentre spara cattiverie sul peso di un’altra ragazza. Penso di essere d’accordo con lei.
«Smettila, papà» dice Alice.
A quel punto lui inizia a cantare Eternal Flame delle Bangles.
Non ho mai capito se mio padre dice quelle cose perché vuole dirle, o solo per provocare Alice. Cioè, se la pensa davvero così voglio saperlo. Anche se dovrei già saperlo.
L’altro problema è il tavolo in mensa. È passata meno di una settimana dal giorno del ricatto, ma Martin mi intercetta mentre torno dalla fila con il vassoio.
«Che vuoi, Martin?»
Guarda il mio tavolo. «C’è posto?»
«Uhm.» Abbasso gli occhi. «Non proprio.»
C’è questo strano attimo di silenzio.
«Siamo già in otto» preciso.
«Non avevo capito che i posti erano prenotati.»
Non ho idea di come rispondere. La gente si siede sempre ai soliti posti. Pensavo che fosse tipo una legge dell’universo. Non puoi cambiare tavolo a ottobre.
Il mio gruppo è strano, ma funziona. Nick, Leah e io. I due amici di Leah, Morgan e Anna, che leggono manga, portano l’eyeliner nero e sono praticamente intercambiabili. Io e Anna in realtà uscivamo insieme al primo anno.
Poi ci sono gli amici del calcio di Nick: Bram dal silenzio imbarazzato e Garrett, che è un discreto stronzo. E Abby. Si è trasferita qui da Washington d.c. all’inizio dell’anno, e per un periodo siamo stati attratti l’uno dall’altra. È stato un po’ il destino, un po’ l’assegnazione del banco per ordine alfabetico.
Comunque sia, in totale facciamo otto. E siamo al completo. Abbiamo già ficcato a forza due sedie in un tavolo da sei.
«Sì, be’.» Martin si dondola all’indietro con la sedia e guarda il soffitto. «È solo che pensavo che sulla questione Abby fossimo d’accordo, ma...»
Poi inarca le sopracciglia verso di me.
Non abbiamo deciso con chiarezza i termini del ricatto, ma a quanto pare funziona così: Martin mi chiede il cavolo che gli pare e io devo dirgli sempre sì.
Grandioso.
«Senti, vorrei aiutarti.»
«Sì, certo, come no, Spier.»
«Ascoltami.» Abbasso la voce quasi in un bisbiglio.
«Le parlo e tutto il resto, ma devi lasciarla gestire a me.»
Fa spallucce.
Sento che mi fulmina con lo sguardo fino a quando non arrivo al tavolo.
Devo comportarmi in modo normale. E non posso dire un bel niente. Cioè, adesso dovrò dire qualcosa a Abby su di lui. Ma sarà l'esatto opposto di quello che vorrei dirle. Sarà un po' dura convincerla a farselo piacere. Perché io stesso non lo sopporto.
Ma non credo che adesso sia questo il problema.