Maurizio de Giovanni e lo scudetto del Napoli

Il “papà” di Mina Settembre e di Ricciardi è un tifoso appassionato. E ora è felice!

11 Maggio 2023 alle 08:05

Sono le 22.37 di giovedì 4 maggio. Allo stadio Dacia Arena di Udine l’arbitro Rosario Abisso fischia tre volte: il Napoli ha appena vinto il terzo scudetto della sua storia. Dopo una partita sofferta contro l’Udinese, il gol di Osimhen ha permesso al Napoli di pareggiare e di diventare matematicamente Campione d’Italia ben cinque giornate prima della fine del campionato. E la città di Napoli è esplosa di gioia. Fuochi d’artificio, trombe da stadio, clacson, petardi, bandiere... il fumo dei festeggiamenti avvolge e nasconde tutto, ovunque si respira felicità. E le immagini della gioia azzurra rimbalzano da un telefonino all’altro, da una diretta social all’altra. Abbiamo chiesto a un napoletano e tifoso doc, Maurizio de Giovanni, uno dei più grandi e amati scrittori italiani e autore di romanzi di successo da cui sono state tratte serie seguitissime dal pubblico come “I bastardi di Pizzofalcone”, “Il commissario Ricciardi” e “Mina Settembre”, di raccontarci il legame così speciale che lega la squadra del Napoli a questa meravigliosa città e alla sua gente.

Maurizio, perché è tutto così... unico?
«Tutte le grandi città hanno due squadre, Napoli è l’unica che ne ha una sola e questo comporta una forte identità tra la squadra e la città. Noi abbiamo dinamiche interne alla tifoseria: c’è chi è pro il presidente Aurelio de Laurentiis e chi è contro de Laurentiis, chi è pro l’allenatore Luciano Spalletti e chi è contro Spalletti. Le dinamiche dei derby da noi si configurano nella stessa tifoseria, che quindi è portata alla discussione anche se è fortemente identitaria e coesa».

Oggi ci sentiamo tutti un po’ tifosi napoletani.
«Napoli e il Napoli sono fortemente connessi, quindi essere tifosi del Napoli comporta anche necessariamente essere tifosi di Napoli. Tutti quelli che hanno la cultura napoletana impressa all’interno di sé hanno un senso di appartenenza a questa squadra».

E lei che tifoso è?
«Prima ancora che padre, marito, scrittore, amico... io sono tifoso del Napoli».

Addirittura?
«Sì. L’anno scorso poco ci è mancato che non ritirassi il Nastro d’argento perché la cerimonia era in contemporanea con la partita del Napoli».

Sta scherzando?
«Sono serissimo. Ricordo che chiesi con forza di mettermi in condizioni di seguire la partita del Napoli prima di ritirare il premio».

C’è riuscito?
«Hanno allestito una postazione con uno schermo per farmi vedere la partita e subito dopo andare a prendere il Nastro d’argento».

Il Napoli influisce sul suo umore?
«Non soltanto “influisce”. L’esito delle partite del Napoli “determina” il mio umore. È il primo pensiero appena sveglio, l’ultimo prima di addormentarmi... è il grande amore. Quello che ti fa soffrire e quello che ti rende felice. E che soprattutto ha l’esclusiva del farti soffrire e del renderti felice».

Un suo romanzo che va benissimo, una serie tratta da un suo libro che fa il pieno di ascolti: anche tutto questo la renderà felice, no?
«Certo! Ma non si avvicina nemmeno. Se lei mi dicesse: “Preferisci che il Napoli vinca la Champions League o tu il Premio Strega?” non avrei dubbi: la Champions del Napoli. Senza la minima titubanza. E non cambierei idea nemmeno col Nobel!».

In quel caso una vaga titubanza ce l’avrebbe...
«Guardi, forse con lo scudetto, avendone vinti già tre, un piccolo tentennamento potrebbe esserci. Ma sulla Champions no. Per fortuna non avrò mai questo dubbio, non essendo io minimamente all’altezza né del Premio Strega né del Nobel (ride)».

Il Napoli influisce anche sull’umore della città?
«Il Napoli nella città è un enorme soggetto sottinteso».

Che cosa intende?
«In qualsiasi bar, ufficio, strada, mezzo pubblico, se si parla col soggetto sottinteso si parla del Napoli. Questo già in tempi normali. Figuriamoci adesso dopo aver vinto il terzo scudetto!».

In barba alla scaramanzia, a Napoli avevate cominciato a festeggiare già da diverse settimane.
«È così bello festeggiare! E l’abisso di punti di vantaggio era tale che è stato pressoché impossibile difendersi da questo: sapevamo che lo scudetto non ce lo avrebbe tolto nessuno. Quanto alla scaramanzia, è uno stereotipo. C’è una cosa importante da dire, che poi racconta la differenza tra questo scudetto e i due precedenti (nel 1987 e nel 1990, ndr)».

Mi dica.
«È cambiata la città. Quella di allora, della scaramanzia appunto, era una Napoli in ginocchio per il terremoto, per la ricostruzione, per le faide della criminalità organizzata. E trovò nel calcio e negli scudetti della meravigliosa squadra di Diego Armando Maradona un’occasione di ripresa, di riscatto. La Napoli di oggi è invece una grande capitale europea: è l’unica città con un incremento a tre cifre del turismo negli ultimi 10 anni, un luogo di effervescenza intellettuale e culturale. Basti pensare anche solo alle fiction e al cinema di ambientazione napoletana. Il lavoro di Sorrentino, di Martone, di Costanzo, le serie “L’amica geniale”, “Un posto al sole”, “Gomorra”, “Mare fuori”, le mie “Resta con me”, “Mina Settembre”, “I bastardi di Pizzofalcone”, “Il commissario Ricciardi”... Per non parlare del lavoro sui musei».

Una città nuova, dunque.
«Già. La Napoli di oggi è una Napoli ben diversa, che nel calcio trova un’ulteriore illuminazione, ma non la primaria. La primaria è la stessa città, quindi pur essendo importantissimo e bellissimo per Napoli vivere questo meraviglioso momento, va detto con franchezza che la città non ha bisogno, come ne aveva alla fine Anni 80, di qualcosa che invertisse la tendenza, ma ha una grande consapevolezza di sé, che trova nel calcio un ulteriore momento di bellezza».

L’allenatore Luciano Spalletti dorme nel centro sportivo di Castel Volturno, non ha una casa a Napoli, va a cena fuori, incontra le persone: ha un rapporto stretto con la città.
«Spalletti è un uomo di grande sensibilità, è un artista. Il suo approccio alla città finisce per essere stretto perché sente le passioni della città e le trasferisce sul suo lavoro».

A 64 anni è l’allenatore più anziano ad aver vinto uno scudetto. Ha detto: «Ho aspettato tanto, ma se questa attesa è servita per vincere lo scudetto con il Napoli, allora ne è valsa la pena».
«Quando vinci con l’Inter o con la Roma non puoi dire che vinci con la città. Stai vincendo con la parte di quella città che tifa Inter o Roma. Vincerlo qui significa vincerlo con tutta la città. Napoli oggi è Campione d’Italia. Anzi, la capitale d’Italia».

Torniamo al tifo: lei come ha festeggiato?
«Ho la fortuna di abitare in un punto da cui vedo tutta la città e il Vesuvio davanti a me, quindi sono uscito sul balcone con i miei due figli, con cui ho guardato la partita, e abbiamo brindato a mio padre Giovanni, grande tifoso del Napoli, che è morto nel 1981 e non è riuscito a gustarsi nessuno scudetto. Per me invece è il terzo su tre. E poi un pensiero è andato al 12 luglio dell’anno scorso, quando ho avuto un infarto e questo momento ho corso il rischio di non potermelo godere. Sono convinto che mio padre in qualche modo avrà detto la sua, perché io potessi vedere con i suoi occhi questo scudetto: un brindisi glielo dovevo».

Seguici