Vi sveliamo i segreti del vero caffè espresso

Come lo fanno a Napoli è talmente buono che l’Unesco lo potrebbe dichiarare patrimonio dell'umanità

30 Luglio 2020 alle 10:12

«Ah che bell’ ‘o café…» cantava De André. E solo a Napoli «‘o sanno fa», dicono i puristi del vero espresso napoletano: un capolavoro del gusto e della nostra cultura che ora, dopo la formale richiesta della Regione Campania, si candida a diventare “Patrimonio immateriale tutelato dall’Unesco” (vedi box arancione nella pagina a fianco). Il prestigioso riconoscimento sarebbe proprio meritato perché il caffè è una cosa seria. La miscela usata nei bar napoletani è composta più di Arabica (chicchi ovali che crescono tra i 600 e i 2000 metri) che di Robusta (chicchi tondi coltivati a quote più basse). Diversamente da altri posti in Italia, dove è diffusa la macchina a erogazione continua, poi, i baristi partenopei prediligono la macchina a leva, più potente e più rapida. La parola espresso, infatti, si riferisce proprio alla velocità: bastano 45 secondi per una tazzina bollente, come vuole la tradizione.

Al bar ma anche a casa
A Napoli c’è ancora chi usa la caffettiera col serbatoio creata dal parigino Morize nel 1819, la “cuccumella” che vediamo in mano a Sophia Loren nel film “Questi fantasmi”, quando spiega dal terrazzino che il colore perfetto della bevanda è quello “a manto di monaco”. Ci vorrebbero pagine e pagine per descrivere la ricetta nei dettagli, ma qui a noi interessa il caffè, quello che beviamo tutti. Quanti di noi a casa hanno una moka? Un oggetto imprescindibile in cucina, inventato da Alfonso Bialetti nel 1933. Dal design così bello che è esposto come oggetto di arte contemporanea e simbolo del made in Italy anche al museo MoMA di New York. E sapete perché si chiama così? Perché viene da Mokha, una città dello Yemen, una delle prime e più famose zone di produzione del caffè. Quanto all’origine della parola caffè, invece, gli esperti si dividono. C’è chi dice che deriva da Caffa, posto in Etiopia dove le piante di caffè crescevano spontanee, e chi sostiene che prenda il nome dall’arabo qahwa, in turco kahve, che significa liquido dalle proprietà eccitanti. Già, perché, il potere del caffè di “tirarci su” è leggendario. Si narra che perfino Maometto, un giorno in cui non si sentiva in forze, ebbe in visione l’Arcangelo Gabriele che gli offrì una pozione nera come la sacra pietra della Mecca per farlo riprendere dalla sonnolenza. In effetti, basta un buon espresso per risvegliarsi. Una tazzina contiene dai 50 ai 100 mg di caffeina, che raggiunge la massima concentrazione nel sangue entro un’ora con sicuro effetto stimolante. Chi non ha problemi cardiaci, ne può assumere fino a 4-5 al giorno. Anche la sera, purché non si soffra di insonnia cronica e non si superino 300-400 milligrammi di caffeina nell’arco della giornata. Nel dubbio, dopo cena è meglio un decaffeinato, che contiene comunque un pizzico di caffeina, ma molto meno: lo 0,1%.

Cialde o capsule?
La passione per il caffè ha tante forme. La più veloce, specie al mattino, è usare le macchinette. I patiti si dividono in due partiti: cialde e capsule. La differenza è presto chiarita: le cialde contengono tra i 7 e i 7,5 grammi di miscela, le capsule fra i 5 e i 6. Oltre alla quantità di polvere, cambia anche la sensibilità ecologica: le cialde sono fatte di carta e caffè macinato, quindi vanno gettate nell’umido. Le capsule in alluminio o plastica, invece, non sono riciclabili (troppo scomode da aprire per separare il metallo dal caffè, si finisce per buttarle nell’indifferenziato). Pian piano, però, per fortuna si stanno diffondendo quelle biodegradabili.

Frigo e aroma
Un dilemma che invece non si riesce mai a sciogliere è quello del frigorifero. Il caffè macinato va tenuto lontano da fonti di calore, questo è certo. Ma c’è chi giura che poi venga più buono se conservato al freddo. Alla fine è una questione di gusti, l’importante è che la polvere venga messa in un barattolo ermetico, perché il frigo è pieno di odori che possono alterarne l’aroma. E rischiamo di rovinare tutto in poco tempo. Quanto? Vige la regola del 2: il 50% degli aromi del caffè macinato si degrada in 2 ore, nell’espresso in tazza in 2 minuti.

Orgoglio italiano
Il caffè è arrivato in Europa nel XV secolo, attraverso Istanbul, dove il Capo caffettiere di corte era uno stretto consigliere del sultano. In Italia la bevanda è arrivata prima a Venezia, grazie ai rapporti commerciali con il Vicino Oriente. Non a caso il più antico caffè italiano è il Florian, in Piazza San Marco, inaugurato nel 1720. Tra i locali storici di Napoli, spicca il Gambrinus (nome dato in onore del leggendario re delle Fiandre, inventore della birra). Nato con l’Unità d’Italia nel 1860, diventa il cuore della vita mondana frequentato da ospiti illustri. Dalla principessa Sissi, l’imperatrice d’Austria che vi gustò un gelato alla violetta, al poeta Gabriele D’Annunzio che qui scrisse i versi della canzone “’A vucchella”. E nel 2015 ci ha fatto colazione anche papa Francesco. Segno che un buon espresso napoletano è una benedizione.

Ecco come funziona l’Unesco

L’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) è l’agenzia specializzata dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Creata nel 1946, ha sede a Parigi e si propone l’obiettivo di promuovere la pace tra le Nazioni attraverso l’istruzione, la scienza, la cultura, la comunicazione e l’informazione. L’agenzia tutela il patrimonio culturale dei 195 Paesi del mondo che vi aderiscono. Di questo patrimonio fanno parte beni materiali come capolavori artistici, parchi naturali, città e centri storici, isole (per esempio le Eolie), monti (tra cui le Dolomiti) o siti archeologici (come l’area di Agrigento), ma anche beni immateriali. Fra questi ultimi, ci sono tipi di spettacoli e forme d’artigianato: sono già tutelati dall’Unesco l’opera dei Pupi in Sicilia, la liuteria tradizionale cremonese e l’arte del pizzaiolo napoletano. E adesso, dopo la pizza, si candida a entrare in lista anche la cultura del caffè espresso napoletano.

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