Baby K: «Da piccola la musica mi faceva piangere»

La rapper che ha creato i tormentoni estivi «Roma-Bangkok» e «Da zero a cento» pubblica il suo terzo album «Icona». «Ero sempre seria, non giocavo con le bambole. Ascoltavo un brano alla radio e mi commuovevo. Poi ho imparato a divertirmi. E a divertire...»

Claudia Nahum, alias Baby K, è nata a Singapore e ha vissuto tra l’Indonesia, Londra e Roma. Nel 2006 ha esordito nella scena rap  Credit: © Roberta Krasnig
16 Novembre 2018 alle 17:35

È la ragazza da 16 Dischi di platino, oltre un milione e mezzo di ascoltatori al mese su Spotify, la prima italiana ad avere più di un milione di iscritti su YouTube. Il 16 novembre esce il suo terzo album, «Icona». Intanto l’ultimo singolo estratto, «Come no», in pochi giorni è diventato un tormentone. Stesso destino delle hit precedenti, «Roma-Bangkok» cantata con Giusy Ferreri, «Voglio ballare con te» e «Da zero a cento», colonna sonora di uno spot che quest’estate ci ha fatto ballare tutti.

Insomma, inutile girarci attorno: Baby K è un fenomeno. Ci sono voluti 12 anni di gavetta perché una semplice, timida, ragazza di nome Claudia Nahum diventasse l’artista che è oggi. La incontriamo a Milano, nel suo quartier generale a «Chinatown», il posto dove crea canzoni, video e coreografie. «Mi piace questo quartiere» dice. «È un mix di culture, sensazioni, cibi. In continua evoluzione, proprio come me, che sono “meticcia” dentro».

Ormai lo sanno quasi tutti che lei ha avuto un’infanzia nomade.
«Riassumiamo, qualche pezzo del puzzle ogni tanto sfugge (ride). Mia madre, Roberta, mi ha partorito a Singapore, ma i miei abitavano a Giacarta, in Indonesia, e fino ai tre anni ho vissuto lì. Poi, il lavoro di papà, Giulio, che è geologo e si trasferiva dove trovava lavoro, ci ha portati a Croydon, a sud di Londra. A 17 anni mi sono stabilita a Roma. Spesso da piccola mi sono sentita un pesce fuor d’acqua. Tra cambi di scuole, lingue e Paesi ogni volta dovevo ripartire da capo».

Che bimba era?
«Seria, riflessiva. Non giocavo con le bambole. A 9 anni suonavo il flauto, disegnavo. Sì, scherzavo con mia sorella Alexandra, più grande di me. Ma quando ascoltavo musica piangevo. Sto recuperando oggi la spensieratezza e l’approccio divertito alle cose che hanno i bambini».

Perciò il suo nome d’arte è Baby K?
«No, il “baby” di Baby K non ha nulla di bambinesco: è un nomignolo affettuoso che mi hanno dato gli amici dell’ambiente hip hop quando lavoravo in una radio romana. La K è perché nel rap una lettera ci vuole: Baby K come Jay-Z o Cardi B».

Sono passati 12 anni dal suo debutto...
«Fa effetto, ma è vero: era il 2006. Nel frattempo il mondo della musica è cambiato totalmente. Con Internet è diventato più “democratico” e tanti giovani hanno possibilità di emergere grazie alla Rete».

Dopo il boom del brano «Femmina Alfa», il salto di qualità è arrivato quando è diventata la «pupilla» di Tiziano Ferro.
«Sì, sono entrata nel suo radar e sono uscita dalla nicchia. Tiziano ha scommesso su di me con grande generosità producendo il mio album “Una seria” nel 2013. Lui è un puro, mi ha insegnato a credere che la musica può salvare la vita delle persone».

Le dà spesso buoni consigli?
«Ogni tanto mi bacchetta (ride). Dice che dovrei scrivere di più».

Il suo nuovo album «Icona» è frutto di scrittura «intensa»?
«Sì, e ne sono felice. “Icona” è pieno di collaborazioni importanti, da J-Ax a Vegas Jones e Gemitaiz. Contiene singoli già usciti come “Da zero a cento” e “Voglio ballare con te”. Il disco segna in parte un ritorno al rap puro. Ma nello stesso tempo, nel brano “Sogni d’oro e di platino”, mostra un mio lato creativo inedito e suoni che nessuno si aspetta».

Poi c’è «Come no», con il suo video super «fumettoso». Mia figlia ha 8 anni e la sa a memoria. Anzi, le posso fare tre domande da parte sua?
«Ma che tesorino, certo!».

La prima: «Qual è il tuo colore preferito, di capelli e in generale?»
«Amo il bianco e nero. E anche se il fascino della mora è unico, in questo momento mi diverto a essere bionda».

La seconda: «Perché nelle tue canzoni c’è l’estate anche in autunno»?
«Caspita, la piccola ha capito tutto (ride). Quando creo le canzoni, parto sempre dalla base strumentale, melodia e parole vengono dopo. Quando componevo “Come no” ero ancora nell’atmosfera delle vacanze, mi dispiaceva interrompere il ricordo delle feste. Quindi è rimasta l’atmosfera giocosa».

La terza: «Ma il tizio che deve restare sobrio nel testo di “Come no” è il tuo fidanzato? Ed è finita, sì o no?».
«La canzone racconta i tira-e-molla di tante storie della mia vita e di quella di tutti. Ma ora sono felicemente fidanzata, con un tizio top secret» (ride).

Interrogatorio finito, torniamo a noi. Che effetto le fa girare uno spot?
«Bello. La pubblicità ha rafforzato la mia anima nazionalpopolare».

Lei ama mischiare le carte, vero?
«Tanto. Così tanto che nella mia musica spazio dal rap al reggaeton, passando per il pop con echi sudamericani».

E tutto questo si fonde in un genere musicale unico?
«Sì, che si chiama “urban”. Città e metropoli, infatti, mi ispirano» (ride).

La televisione la ispira mai?
«Confesso che per anni non l’ho guardata perché il padrone del telecomando a casa era mio padre, che imponeva a tutti i suoi polizieschi. Ora la vedo di più. Mi piace “Striscia la notizia” con il mio caro amico Ezio (Greggio, ndr)».

L’idea di condurre un programma la stuzzica?
«Con simpatia le dico che, dopo aver partecipato a “Sanremo Young” con Antonella Clerici, farei un talk show ironico. Adoro sperimentare, perché mi annoio facilmente e do il meglio di me nelle situazioni informali, nei momenti folli».

Picco di follia?
«Quando porto al parco Kingston, il mio cagnolino di 3 anni, un bulldog francese. Amore di mamma, sono pazza di lui».

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