Benji & Fede presentano “Good Vibes”: «Chi diceva che eravamo soltanto delle meteore?»

Solo due bei ragazzi. Così i detrattori li avevano bollati cinque anni fa quando, appena ventenni, erano apparsi sulla scena musicale dopo essersi costruiti un seguito su YouTube

Benji & Fede
17 Ottobre 2019 alle 08:15

Solo due bei ragazzi. Così i detrattori avevano bollato Benji & Fede cinque anni fa quando, appena ventenni, erano apparsi sulla scena musicale dopo essersi costruiti un seguito su YouTube. Poi, di fronte al successo del primo disco, erano stati frettolosamente iscritti al club delle meteore: «Non dureranno» diceva qualcuno. Tutti smentiti.

Da allora hanno avuto tre album al primo posto in classifica, un libro da più di 80 mila copie vendute, palazzetti gremiti, il singolo “Dove e quando” hit dell’estate e triplo Disco di platino. Il 4 ottobre è uscito il nuovo singolo “Sale”, con la collaborazione della giovanissima Shari lanciata da “Tú sí que vales”, e il 18 tocca a “Good vibes”, il loro quarto album.


Ragazzi che combinate? Non dovevate essere solo una moda?
Fede: «Hai visto? Siamo una moda che dura tanto tempo!».
Benji: «È una grande soddisfazione essere al quarto album: arriviamo dal maggiore successo discografico della nostra carriera, è un periodo stupendo. Ma non ci sentiamo arrivati, anzi, questo è l’inizio di un nuovo capitolo. Siamo contenti di “Good vibes” perché è un disco su cui abbiamo investito tanto. Siamo cresciuti a livello umano e artistico. Anche perché abbiamo lavorato con due produttori italiani bravissimi come Merk & Kremont».

L’album spazia tra tanti generi.
Benji: «Il bello della musica moderna è che fonde diversi generi. Il pop può essere contaminato con l’elettronica, pezzi più acustici, metriche con un’influenza hip hop. In generale a noi piace prendere un po’ di quello che ascoltiamo e arricchire la nostra musica. Il nostro pop deve arrivare a tutti, ma anche lasciare qualcosa: è contenuto e non solo apparenza».
Fede: «Unire una realtà come Benji & Fede a un rapper della vecchia scuola come Tormento (che canta in “Tra lo stomaco e lo sterno”, ndr) è un esempio: non ci deve essere quel pregiudizio dettato dal rappresentare mondi differenti».


In Italia i musicisti in duo sono sempre stati una rarità...
Fede: «Essere un duo è stata una scelta coraggiosa. Siamo due personalità abbastanza forti ma ci siamo completati sin dall’inizio. Io cantavo, Benji suonava e allo stesso tempo componeva. Era molto creativo: mi dava la concretezza che io non avrei mai avuto. E tutto ciò si è rispecchiato nella comunicazione che facevamo passare: due ragazzi che inseguivano un sogno e che, da cinque anni a questa parte, hanno dato speranza a molti ragazzini. Anche grazie al nostro libro “Vietato smettere di sognare”. Essere un duo è stato fondamentale per sostenersi nei momenti “no”. Sia io che Benji li abbiamo vissuti e quando uno dei due aveva delle difficoltà l’altro lo supportava. E viceversa, nei momenti di felicità abbiamo gioito insieme».
Benji: «Le dinamiche sono simili a quelle di un gruppo. Siamo molto amici anche nella vita privata. Finiamo di lavorare e ci prendiamo una birra insieme. È un rapporto su basi quotidiane. Ci vediamo tutti i giorni e quando non è per lavoro è perché siamo amici».
Fede: «Quando si sta così tanto tempo insieme si deve per forza essere amici sennò... non regge».

Venite da Modena, patria di Francesco Guccini, Modena City Ramblers, Vasco Rossi e molti altri: un’eredità impegnativa.
Benji: «Non abbiamo mai avvertito questo peso, perché quando sei giovane hai quell’incoscienza che serve a buttarsi anche se non sei pronto. Però di base c’è una magia a Modena: non può essere un caso che tanti artisti arrivino da lì».
Fede: «È una realtà che è bello continuare a frequentare anche oggi, perché continua a darti l’ispirazione degli inizi. In questo modo non rendi artificiale quello che sei e che vuoi esprimere».

Avete cominciato dai ristoranti. Che musica suonavate?
Benji: «Facevamo le nostre canzoni, quelle che avevamo messo su YouTube. E poi aggiungevamo cover di Imagine Dragons, Ed Sheeran, Passenger, e qualche pezzo in italiano».

I talent invece?
Fede: «Non abbiamo mai voluto farli. Abbiamo cercato di seguire le cose con la nostra testa. Già il pensiero di doverci mettere le tute non ci apparteneva, con tutto il rispetto per chi lo fa. Volevamo avere la libertà mentale di svegliarci la mattina e pubblicare una canzone anche se non l’ascoltava nessuno. Perché se costruisci un muro mattone dopo mattone è meno scalfibile».

Il successo lo immaginavate così?
Benji: «Io mi ero solo fatto un’idea di come fosse suonare su un palco davanti a 10 mila persone. Te lo immagini ed è un sogno, ma quando lo vivi ti accorgi che è ancora meglio».
Fede: «Sapevamo che ci vogliono tanti sacrifici. Chi non fa questo mestiere non lo sa, ma ogni pezzo comporta un impegno costante e duro. Non solo nostro, ma di tanta gente, produttori, casa discografica, ufficio stampa... Dietro tre minuti di canzone ci sono trecento ore di lavoro. E questo non lo sai fino a quando non lo vivi».

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