Un disco profondo e intenso che contiene brani inediti, singoli già noti ai fan e un successo senza tempo
«Io voglio vivere di nuovi inizi, sorridere al cielo a un passo dai precipizi». Coraggio, consapevolezza ma soprattutto inizio. O meglio, “L’inizio”: è questo il titolo del nuovo album di Biagio Antonacci, uscito il 12 gennaio. Un disco profondo e intenso che contiene brani inediti, singoli già noti ai fan e un successo senza tempo (“Sognami”) rivisitato con Tananai e Don Joe.
La cifra stilistica è quella di sempre, inconfondibile e al passo con i tempi. Il Biagio che emerge è un uomo che ha dato, ha vissuto, ha imparato. Ora è più consapevole che mai e «più libero di prima». Può finalmente permettersi di vivere «ciò che vuole vivere e basta».
Il titolo dell’album è “L’inizio”. Che cosa rappresenta per lei?
«Il titolo è una partenza-ripartenza. In realtà credo poco all’inizio, perché nella mia testa tutto è un circolo. Voglio immaginare che la mia vita, da questo momento in poi, sia un continuo. Senza una fine, perché c’è un nuovo inizio. Sembra un controsenso ma non lo è. Oggi voglio vivere come la natura ci insegna: in un ciclo che non si ferma mai».
Questo per lei è l’album della consapevolezza?
«Consapevolezza vuol dire aver conosciuto momenti tristi e felici, e aver fatto una somma di tutto. Un uomo consapevole è un uomo libero, che vive ciò che vuole vivere e basta. Adesso sono così».
C’è un brano dedicato a suo figlio Carlo, nato nel 2021. Che cosa vuole trasmettergli?
«Speranza. Sono sicuro che lui non vedrà fiori crescere sulle autostrade (come canta proprio nel brano “L’inizio”, ndr), affronterà difficoltà e vivrà in un mondo complesso. Mi auguro però che sia architetto di sé stesso, in grado di costruire la sua vita nel miglior modo possibile. Ecco il mio messaggio per lui».
Invece i più grandi, Paolo e Giovanni, stanno seguendo le sue orme nel mondo della musica. A loro consigli ne dà?
«In realtà sono io che li chiedo a loro! I miei figli hanno voglia di fare, di esserci. Ambiscono all’indipendenza e alla libertà. È una cosa bella che apprezzo molto».
Lei è un grande tifoso dell’Inter. Ha trasmesso anche questa passione?
«Io ero interista ancora prima di nascere: la prima volta che sono andato a San Siro ero nella pancia di mia madre. Così anche per loro, che sono nati con la maglia nerazzurra. Ci piace andare allo stadio insieme».
Quando non canta e non scrive, che cosa fa?
«Un po’ mi annoio, ma mi piace. La noia è costruttiva perché ci permette di progettare cose. Poi ho un’azienda agricola e produco olio».
Quindi trascorre molto tempo nella natura?
«Certo, e mi piace moltissimo. Ora faccio un po’ il contadino: uso il trattore, sto nella vigna e mi godo l’essenza che la natura mi regala. In questo periodo della mia vita sono figlio della libertà e questo mi permette di fare ciò che mi fa stare bene».
A novembre ha spento 60 candeline ma sul palco è sempre energico e vitale. Qual è il suo segreto?
«Mi alleno. Corro, cammino e faccio sempre attività fisica così da avere una certa elasticità sul palco. A dire la verità, non mi sento gli anni che ho quando mi esibisco. Il palco poi mi premia e io voglio che ai miei concerti il pubblico si diverta. Rispetterò sempre i miei fan e continuerò a dare l’anima per loro».
Ne 2023 ha portato a Sanremo, ospite di Tananai, un suo successo del 2007, “Sognami”. È una canzone senza età...
«Che grande soddisfazione! È un brano che non ha armi, ma ha sempre combattuto e resistito nel tempo. Non è mai stata una moda né una hit musicale, eppure oggi anche i giovanissimi la cantano a squarciagola. Penso che non morirà mai».
A proposito del Festival… oggi che rapporto ha con Sanremo?
«La prima volta che ho partecipato era il 1988, mi presentai tra le Nuove proposte e andò male. Tornai nel 1993, ma ero già famoso. Quando invece sono stato invitato come superospite è stato per decretare un successo. Diciamo che il Festival non è mai stato la mia zona di comfort, ma l’ho sempre visto come una manifestazione molto importante. In questi ultimi anni poi c’è stato un cambiamento significativo».
A cosa si riferisce?
«Amadeus ha aperto le porte ai giovani e di questo lo ringrazio. È stato capace, da grande uomo di musica, di trasformare il Festival. Ha rotto con il passato, rischiando molto. Mi dispiacerebbe se fosse davvero il suo ultimo anno».
Lei ci tornerebbe a Sanremo?
«Se avrò una canzone valida che racconterà qualcosa di bello sì, altrimenti no. Per me sarebbe più interessante fare il direttore artistico. Mi stimolerebbe molto».
E se diventasse direttore artistico su che cosa punterebbe?
«Sulla qualità e sull’eternità delle canzoni. Oggi si consuma tutto velocemente e io sono convinto che le canzoni, per rimanere nel tempo, debbano avere valore sul piano melodico e di linguaggio».
Piani per il futuro?
«Li stiamo valutando. Un nuovo tour? Lo decideremo più avanti...».