La nonna fidanzata con un cantante famoso, due dischi «sbagliati», la balbuzie. Poi finalmente...

Il palco dei Wind Music Awards di Verona a giugno. I mega concerti di settembre a Milano (Assago il 7, 9 e 10) e Roma (Palalottomatica il 14, 16 e 17). Un album nuovo che uscirà nel 2017. Forse un romanzo. Biagio Antonacci, 52 anni, è inarrestabile. Come la sua carriera. Iniziata nella periferia di Milano tra mille difficoltà. E che il cantautore ha voluto rivivere con noi, sfogliando il suo album dei ricordi…

C’era una volta un piccolo batterista
«La foto che vedete qui sotto l’ho fatta quando avevo 9 anni a casa dei vicini del sesto piano, i Fantozzi. Il capofamiglia Paolo era un amico dei miei, faceva l’impiegato e suonava la chitarra con un gruppo in cui io mi intrufolavo e suonavo le percussioni. È stato lui a insegnarmi a 14 anni il “giro di do”, che poi ho usato per tante mie canzoni. Però il mio primo strumento è stato la batteria. O meglio, il divano di casa che “percuotevo” con le bacchette a ritmo di musica finché a 10 anni mio padre mi comprò una batteria usata. Fu pazzesco. La suonavo nella mia cameretta, ma vivendo in una casa popolare all’ottavo piano, non certo isolata, il vicinato non era molto contento…».

La mia prima band
«Dai 10 ai 17 anni ho suonato la batteria e cantato ne “I falchi ”. Ci esibivamo alle feste politiche, dove suonavamo il liscio, ma il nostro repertorio era soprattutto rock (Deep Purple, Jethro Tull, Genesis, Led Zeppelin). Tra i nostri maggiori sostenitori c’era il preside della scuola media di Rozzano, Roberto Filia, anche lui batterista. Ci faceva fare due concerti all’anno a scuola obbligando tutti a venirci a sentire e ci accompagnava alle prove. Che grande uomo!».

«Nonno» Tajoli
«Il cantante Luciano Tajoli fu fidanzato con nonna Giuseppina quando erano giovani, ma la mia bisnonna non voleva che lei lo frequentasse perché, non essendo ancora famoso, suonava nei bar. Viveva in via Oglio, a Milano, dove stavano i miei nonni e dove sono cresciuto anch’io. Ricordo che i suoi genitori, anzianissimi, quando da piccolo mi sentivano cantare nella tromba delle scale (mi piaceva l’effetto eco!) mi facevano i complimenti. Tajoli venne a vedermi in ospedale quando nacqui. Tutti mi chiamavano Biagino, ma lui disse che era brutto usare il vezzeggiativo. Da allora sono sempre stato solo Biagio».
O un cagnolino o un fratello
«Graziano l’ho voluto io. Ai miei genitori continuavo a chiedere un cagnolino o un fratello, perché a Rozzano se in famiglia si era meno di sei ti guardavano male. Così quando avevo 10 anni è nato Graziano, che oggi è anche il mio manager. Non sono mai stato geloso di lui. Anche se da piccolo non stava zitto un secondo, lo viziavo, lo difendevo dai miei, andavo a prenderlo all’asilo ed era la mascotte della mia band: a 4 anni lo abbiamo chiuso nella cassa della batteria e ho suonato con lui dentro!».
Che festa la prima tv a colori!
«Ce la regalò la nonna e fu come andare in vacanza a Miami. Ricordo che il pomeriggio guardavo il programma musicale di Arbore “D.O.C.”. Ma la maggior parte del tempo la passavo in cortile a giocare o a smontare e rimontare motorini e biciclette. Non c’erano ancora i social ma essendo un radioamatore la sera parlavo da casa con tutti gli amici. Mi facevo chiamare Bufalo Bill, come l’album di De Gregori del 1976».
Il primo amore
«Si chiamava Gabriella ed è stata con me dai 15 ai 24 anni. L’ho conosciuta in cortile. Faceva ripetizioni sotto casa mia. Aveva 14 anni, era carina, timidissima. Veniva da me tutte le sere, ci chiudevamo in camera, ascoltava le mie canzoni e poi se ne andava. Ha sopportato tutto il “viaggio”, le mie paturnie, le attese, senza poi godere del mio successo».
Un talento precoce
«Da piccolo balbettavo molto, ma mi accorgevo che cantando non lo facevo più. Così ho cominciato a cantare. Non ricordo nemmeno se ho iniziato prima a parlare o a cantare!».
Volevo raccontare i miei demoni
«A 17 anni decisi che avrei fatto il cantautore. Volevo raccontare il tormento che avevo dentro. A 19, dopo il diploma, iniziai a lavorare come assistente di un geometra. La mattina alle 7.30 andavo in cantiere e la sera facevo piano bar sui Navigli e a Brera, a Milano. Dormivo pochissimo. Quando nell’88 partecipai a Sanremo Giovani ero convinto che non sarei più tornato in cantiere. Invece fui eliminato e poco dopo ero di nuovo lì».
Al terzo album ho fatto centro
«A 24 anni scrissi i primi pezzi da proporre alle case discografiche. Ricevetti diversi no, tra cui quello di Mara Maionchi. Invece Bruno Tibaldi, allora direttore generale della Polygram, oggi Universal, fu il primo a credere in me. A sua moglie Simonetta, infatti, era piaciuta una mia cassetta e lui volle conoscermi. Così nel 1989 produsse il mio primo album “Sono cose che capitano”, ma ebbe poco successo. Anche con il secondo “Adagio Biagio” non successe quasi niente. Al terzo Tibaldi mi disse: “O la va o la spacca”. Poi il contratto sarebbe scaduto. Avevo 26 anni e mi sentivo ormai vecchio. Eros, che ha la mia stessa età, a 18 anni era già una star. Io temevo che non ce l’avrei mai fatta. Così feci un ultimo tentativo e andai a lavorare a Bologna con Mauro Malavasi, arrangiatore di grido. Con lui registrai “Liberatemi”. Era il giugno 1992. A settembre uscì il singolo omonimo e ottenne un successo strepitoso. Fu allora che iniziò davvero la mia carriera. Arrivarono anche i primi segnali di popolarità. A novembre dovevo fare un concerto contro la droga al Palaeur di Roma. C’erano grandi artisti. Ero abituato che il mio nome non fosse molto applaudito. Invece quella volta ci fu un boato. Salii sul palco con i capelli lunghi e una camicia bianca comprata da un hippy a Porta Portese che andò a ruba tra i miei fan, tanto che mia madre me ne cucì altre dieci per usarle durante la tournée di “Liberatemi”. In autunno finalmente lasciai il lavoro, anche se i primi tempi era strano. Mi sentivo in colpa perché non producevo».

La prima copertina
«Dopo aver venduto tanti dischi e inciso diversi album (il sesto, “Mi fai stare bene” del 1998, arrivò a un milione di copie), nel 2001 ottenni la mia prima copertina: fu quella di Tv Sorrisi e Canzoni. E questo significava essere diventato davvero famoso»
Orgoglio di papà
«Il mio concerto più bello fu al Forum di Assago nel 1996. Mio padre Paolo lavorava lì dal 1991. Faceva il responsabile dell’Arena. Organizzava le pulizie, montaggio e smontaggio palchi. Aveva assistito ai concerti dei più grandi e tutti gli amici chiedevano a lui per entrare gratis. Fu una grande soddisfazione per papà vedermi cantare nel posto dove si erano esibiti Frank Sinatra, gli U2, Bruce Springsteen. Era più emozionato lui di me. E non era il tipo che si emozionava tanto o ti dava soddisfazioni. La prima volta che mi ha detto “bravo, complimenti” è stata nel 2007 per il concerto di San Siro. Non è mai stato a favore della musica, se non quando eravamo piccoli per toglierci dalla strada. Quando ha capito che mi ero innamorato della musica si è spaventato, temeva mi illudessi. Io allora lo odiavo perché voleva fermarmi. Ora lo capisco. Poi è diventato complice, è stato il mio primo manager e ha visto tutto ciò che ho fatto. È mancato due anni fa. È bella la storia della nostra famiglia. Venivamo dal niente, dai quartieri popolari. Mia mamma faceva la sarta, sono cresciuto con il ricordo dei fili per terra e la macchina da cucire in corridoio contro cui sbattevo le gambe. Oggi io e Graziano siamo riusciti a trovare la nostra strada».