Bobby Solo: «La mia vita spericolata (ma piena di bambini)»

Debutterà come autore allo Zecchino d’Oro e ha un figlio di 4 anni che è...lo zio dei suoi nipoti ventenni. Leggete la sua storia!

1970: All’apice del successo Bobby Solo (vero nome Roberto Satti) abbraccia una chitarra con un look tipico dell’epoca.
17 Marzo 2017 alle 17:16

Ha vinto due Festival di Sanremo, ma questa volta Bobby Solo debutta allo Zecchino d’Oro come autore nella 60a edizione, che vedremo su Raiuno in novembre.

Bobby, ma da dove ha tirato fuori questa canzoncina, «Bumba e la zumba»?
«Quando mia figlia Muriel aveva sei anni (oggi ne ha 42, ndr) avevo improvvisato questa canzone per lei e le sue amichette Laura e Samantha. Al mio “Bumba bumba tira la bumba” (canticchia, ndr) le tre smorfiosette ballavano e si divertivano. Dopo tanti anni, lei e le sue amiche ancora se la ricordano. Così quando il mio amico produttore Alberto Zeppieri mi ha chiesto se avessi una canzone per i 60 anni dello Zecchino d’Oro mi è venuto in mente questo motivo. Abbiamo lavorato sul brano e dopo pochi giorni ci ha telefonato frate Giampaolo Cavalli, direttore dell’Antoniano di Bologna, per comunicarci che la canzone era stata scelta».

Che cosa ha provato?
«Una grande emozione. Lo Zecchino d’Oro lo seguo dai tempi del Mago Zurlì, che già allora era un caro amico».

Lei era un bambino che cantava tanto?
«Macché, io non sapevo nemmeno dove stesse di casa la musica. Tutto è cominciato quando, a 14 anni, mi innamorai della figlia del corrispondente da Roma del “New York Herald Tribune”. Lei, occhi verdi e coda di cavallo con capelli color platino, mi diceva sempre: “I love Elvis Presley, I love Elvis Presley”, ma io non sapevo chi fosse. Chiamai mia sorella Fiorenza, che viveva negli Stati Uniti, per farmi inviare dischi di Elvis. Ascoltai “Love me tender” e rimasi folgorato. Un giorno, dopo avere visto per tre volte in un pomeriggio il film “Il delinquente del rock and roll”, tornai a casa e con un atteggiamento alla Elvis dissi a mia madre che mi doveva aiutare a fare il cantante».

Ma la chitarra in mano quando l’ha presa per la prima volta?
«Da adolescente. All’inizio pensavo che la chitarra suonasse da sola: non scherzo! Sotto casa c’era un falegname che sapeva suonare un po’. Lui aveva la cantina infestata dai topi e gli dissi che glieli avrei ammazzati io, in cambio di una lezione. Avevo una fionda e riuscii ad eliminare quattro topi. Lui mi insegnò quattro accordi. Da lì è partito tutto».

La sua prima occasione?
«Mia madre conosceva il grande regista Giuseppe Patroni Griffi perché giocavano a carte insieme. Gli chiese una raccomandazione alla Rai. Avevo 14 anni e mezzo. Al provino c’erano persone con i capelli bianchi. Cantai la canzone di Elvis “Old shep” e da dietro il vetro una voce disse: “Signor Satti, lei è negato per cantare, è anche stonato. Finisca gli studi e pensi ad altro!”. Scoppiai a piangere. Il maestro Mario Gangi mi abbracciò e mi disse: “Questi non capiscono niente. Tu hai un talento, continua”».

E dunque non mollò.
«No, ma intanto ci eravamo trasferiti a Milano dove, andando a ripetizione di greco, conobbi per caso il fratello di Andrea Lo Vecchio, paroliere di Roberto Vecchioni e di Mina. Andrea andava ogni giovedì alla casa discografica Ricordi. Io mi intrufolai e mi sedetti vicino alla segreteria davanti a una porta con su scritto “Direttore artistico”. Era l’ufficio di Vincenzo Micocci, leggendario talent-scout. Presi la chitarra e dedicai un paio di brani di Elvis alla bionda segretaria. A un certo punto si aprì la porta e Micocci disse: “Chi stava cantando?”. E io: “Mi scusi se ho disturbato”. Lui mi fece entrare, mi fece cantare e mi chiese: “Lei firmerebbe un contratto discografico?“. Ero confuso e gli risposi che potevo dare solo 5.000 lire al mese. Micocci sorridendo mi disse: “Se vende, i soldi glieli diamo noi”. Io non capivo niente di soldi, volevo solo cantare. I primi tre dischi furono un disastro ma a questo punto entrò in scena il mio secondo angelo custode…».

Cioè?
«Mariano Rapetti, il papà di Mogol, che dirigeva le edizioni Ricordi. Mi trattò come un figlio e mi disse: “Prima che ti caccino da qui, dimmi se hai una canzone tua”. Tirai fuori “Una lacrima sul viso” che aveva altre parole. Faceva così: “Dietro quella duna, quando spunterà la luna, io ti amerò così...”. Rapetti mi disse che la melodia era bella ma che le parole facevano schifo e le avrebbe fatte scrivere al figlio. Mi fissò il provino dopo due giorni. Mi venne a prendere Mogol con una vecchia Renault e mi disse candidamente di non avere scritto ancora niente: “La facciamo in questi 15 minuti di viaggio, intanto canticchiami il motivo”. Mi diede una matita morsicata, un foglietto a quadretti tipo quello che usavano i salumieri per fare i conti e dettò: “Da una lacrima sul viso...”. La finimmo davanti alla sala d’incisione nella zona di Porta Romana a Milano dove aveva già lavorato Lucio Battisti. Il provino lo facemmo nella chiesa che il parroco concedeva alla Ricordi quando non c’erano funzioni. Credo proprio di essere stato benedetto!».

E finì a Sanremo...
«Sì. All’Hotel Royal mi sistemarono in un sottoscala perché ero un novellino. Ma la mattina dopo la mia esibizione al Festival quelli della Ricordi mi comunicarono che avevano ricevuto 300 mila ordini in poche ore e mi trasferirono dal sottoscala all’attico. Non vinsi, ma alla fine ho venduto 11 milioni di copie in tutto il mondo».

Lei è sposato con una donna di origini asiatiche, Tracy Quade. Proprio come John Lennon e Yoko Ono. La cultura orientale quanto ha influito sul suo equilibrio?
«Mi piace il confronto. Mia moglie è americana di origini coreane e come la giapponese Yoko Ono è una donna intelligente, ha la dolcezza delle donne asiatiche e una visione globale del mondo. Tracy è il mio angelo. Non capisco ancora come una ragazza di 23 anni si sia innamorata di uno di 50. E stiamo insieme da 21 anni».

È diventato papà per la prima volta a 23 anni con Alain e l’ultima a 67 con Ryan. Prima era un po’ immaturo, ora invece...
«Provo immensa gioia e anche ansia, perché sono consapevole che non gli potrò stare una vita accanto. E allora vado in panico per tutto. Ho l’attitudine del nonno perché, per esempio, quando Ryan mangia ho paura che gli vada qualcosa di traverso. La notte mi alzo e vado a controllare se respira. Con il mio primogenito era diverso. Dicevo a mia madre: “Io devo partire, se sta male portalo al pronto soccorso”».

Che effetto le fa quando vengono a trovarla i suoi nipotini che hanno l’età di... suo figlio?
«Ryan, che ha 4 anni, paradossalmente è lo zio di mia nipote Gaia (figlia di Muriel, ndr) che ne ha 21. Tutti adorano Ryan e non vedono l’ora di stare con lui. È una gran bella famiglia».

Ryan capirà presto quant’è famoso papà.
«Quando vede in televisione vecchi filmati, mi dice: “Quello è papà vecchio” e poi toccandomi mi fa: “Questo è papà giovane!”».

Se dovesse scrivere un libro, quale sarebbe il capitolo più doloroso?
«Sto davvero pensando di scrivere un libro perché la mia vita è stata rocambolesca. Avrei già il titolo: “Cronache di una lacrima sul viso”. Il capitolo più doloroso è quello in cui mi sono trovato alla fine degli Anni 70, senza una lira. Ero a casa di Andrea Lo Vecchio e, non mi vergogno a dirlo, non avevo i soldi per comprarmi uno yogurt nella latteria di sotto. Sono stati periodi duri, così come quello di 12 anni fa quando ho avuto una forte depressione. Volevo stare solo in ospedale. I medici mi dicevano che non avevo niente. In effetti era così, siamo solo noi gli artefici della nostra depressione. E poi c’è una giornata che non dimenticherò mai…».

Quale?
«Un giorno l’usciere della mia casa discografica mi disse: “Signor Solo, la carriera è finita”. Scoppiai a piangere e per poco non finii sotto un tram. Poi per fortuna sono ripartito ed eccomi qua».

Ecco, mi parli dei suoi progetti futuri.
«Entro l’estate, in occasione dei 40 anni dalla scomparsa di Elvis (16 agosto 1977, ndr), uscirà “Swing for the King”, un tributo in chiave jazz a Presley, realizzato con Max Passon e prodotto da Sylvia Pagni. E a settembre uscirà in tutto il mondo, compresa l’America Latina, il mio nuovo album intitolato “Nuove canzoni italiane”».

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