«Sono già solo» dei Modà, pezzo pop-rock di forte impatto uscito nei primi giorni di primavera, è la canzone italiana del momento...
Ci sono canzoni (negli Stati Uniti le chiamano «sleeper hit») che all’inizio vengono ignorate dalla tv, dalla stampa e da quasi tutti i grandi network radiofonici. La loro forza, però, è talmente grande che, giorno dopo giorno, il passaparola (soprattutto quello online) le spinge sempre più in alto, fino alla vetta delle classifiche. «Sono già solo» dei Modà, canzone pop-rock di forte impatto, uscita nei primi giorni di primavera, è la «sleeper hit» di questa fine d’estate. Da alcune settimane è il brano italiano più scaricato, mentre il video ha totalizzato quasi 4 milioni di visualizzazioni su YouTube. «Volevamo portare “Sono già solo” a Sanremo 2010 ma a dicembre abbiamo saputo di non essere stati selezionati» racconta il cantante Kekko (alias Francesco Silvestre), leader della band nata a Cassina De’ Pecchi, nell’hinterland milanese. «Abbiamo passato un Natale e un Capodanno abbastanza deprimenti . A gennaio, quando siamo andati a Londra per girare il video, avevamo perso quasi tutto l’entusiasmo per il pezzo. Eravamo delusi per il fatto che non avremmo potuto presentarla sul palco dell’Ariston con l’orchestra. E abbiamo messo in dubbio la sua forza. Poi, quando è uscita e abbiamo visto i primi riscontri, tutto è passato».
Kekko, come nasce «Sono già solo»?
«Una notte stavo lavorando a un altro brano, cercando un riff di pianoforte che non arrivava mai. A un certo punto mi sono messo a giocare con due note, e in quei minuti è nata “Sono già solo”. La forza del brano e la sua sensualità derivano probabilmente dalla stanchezza e dall’angoscia di quella notte al pianoforte. Il testo l’ho scritto di getto in un paio d’ore».
Perché questa canzone piace così tanto?
«Parla di qualcosa che ci tocca tutti. Chi non ha nel suo cuore una persona che non riuscirà mai a dimenticare? Quando canto “Ci graffiamo per non far guarire i segni” esprimo con una metafora un sentimento che molti provano prima o poi nella loro vita. Il successo è anche merito del grande lavoro di Brando e dell’etichetta Ultrasuoni».
Quando vi siete resi conto che «Sono già solo» era il pezzo della svolta?
«A Verona, alla fine di maggio, quando siamo stato ospiti dei Wind Music Awards e migliaia di persone l’hanno cantata con noi. E pensare che non avevamo mai suonato all’Arena perché il Festivalbar ci ha sempre ignorati».
Quel giorno è cominciata un’estate da ricordare…
«Già, è stata l’estate più dura fisicamente ma anche la più bella. Siamo in giro da maggio, su e giù per la Penisola. Gli spostamenti in auto sono duri ma poi tutta la fatica svanisce quando saliamo sul palco e iniziamo a suonare».
Quando uscirà il nuovo album?
«È tutto scritto, i pezzi sono pronti ma dobbiamo finire di inciderlo. In questo senso, il successo di “Sono già solo” è stato un ostacolo perché ci ha tenuto occupati per tutta l’estate. Comunque, entro questo mese uscirà un nuovo singolo, siamo indecisi tra “La notte” e “Vittima”. Sarà sicuramente all’altezza di “Sono già solo”, abbiamo fatto del nostro meglio. Perché in questo ambiente non basta una canzone di successo per avere il premio alla carriera. Poi, in inverno, uscirà l’album “Viva i romantici”».
Perché questo titolo?
«È lo stesso di una delle poche canzoni dei Modà che non parlano d’amore. Parla della vita, delle persone, come la mia famiglia e i miei amici più cari, che prendono sempre la vita con il sorriso anche se la vita non gli ha mai regalato niente. Dai miei genitori ho imparato a vivere così».
Da quanto tempo tu e i Modà fate musica a tempo pieno?
«Dal 2003. Prima era un hobby che affiancavamo al nostro lavoro. All’inizio è stato difficile emergere perché non abbiamo mai voluto fare cover, solo pezzi originali, e questo ti chiude le porte dei locali che preferiscono ingaggiare le cover band. Allora ci siamo dedicati agli oratori, alle feste piazza, a volte pagando di tasca nostra i service e il palco. Poi le cose sono migliorate».
Avete mai pensato di non farcela?
«Spesso, perché vivere di musica non è facile. Quante volte mi sono chiesto in questi anni se non fosse meglio un lavoro fisso. Di certo mi avrebbe aiutato a gestire meglio la vita e ad arrivare con più serenità alla fine del mese. Per questo i risultati di oggi ci rendono così orgogliosi, è una cosa bellissima. E siamo sicuri, proprio perché abbiamo sofferto tanto per arrivare qui, che non rovineremo tutto facendo le “stupidate” tipiche delle rockstar. Gestiremo il successo con una consapevolezza tutta nostra».
La formazione dei Modà di oggi non è quella del 2004.
«Un paio di elementi hanno abbandonato la barca in uno dei momenti di grande difficoltà di cui ho parlato prima, tra il 2006 e il 2008. Tino e Manuel avevano delle difficoltà economiche che li hanno spinti a lasciare il gruppo. Tino si è laureato e ha lasciato la musica, mentre Manuel è ancora un musicista e lavora come turnista. Con entrambi sono in ottimi rapporti».
E Paolo, che presenti nei concerti come il sesto Modà?
«Lui decise di lasciare dopo lo sfortunato Sanremo del 2004, quando fummo eliminati dopo la prima esibizione. Ma poi, una volta superate le difficoltà, è rientrato come fonico. Oggi cura tutta la parte audio delle serate e fa anche la doppia voce».
Quali sono state le tue influenze musicali?
«I miei genitori mi hanno cresciuto facendomi ascoltare le canzoni di Battisti-Mogol e i successi italiani degli Anni 60. Ho poi amato gli album di Vasco e degli U2 ma in realtà quando scrivo non mi ispiro a qualcuno in particolare. Scrivo canzoni d’amore semplici, melodiche, senza scimmiottare nessuno. L’amore lo conosco bene, sto da 11 anni con la stessa persona».
In concerto e online è evidente la forza del rapporto tra i Modà e i fan.
«È un rapporto che abbiamo curato personalmente fin dall’inizio. Certo, prima era più facile tenere i contatti con tutti, ma adesso che gli amici di Facebook sono quasi 60.000 è un po’ più complicato. Ma appena possiamo lo facciamo sempre con piacere. Non dobbiamo mai dimenticare, e io lo ricordo in ogni concerto, che se siamo arrivati fin qui è tutto merito di chi viene ai concerti e di chi compra i dischi. Loro sono orgogliosi di noi e noi lo siamo di loro».