Caparezza «Ti fa stare bene»: tutto sul singolo (e sul testo). L’intervista

Abbiamo chiacchierato con l'artista per parlare di questo brano così speciale che è subito balzato in testa alle classifiche

13 Ottobre 2017 alle 15:01

C'è un motivetto in queste settimane che sta risuonando nelle nostre (e siamo sicuri anche nelle vostre) orecchie. «Ti fa stare bene» di Caparezza non è solo il singolo apripista del bellissimo album «Prisoner 709» ma un motore che in questo malinconico autunno ci sta aiutando a sorridere. «Non è una guida strategica per sentirsi meglio» ci racconta Caparezza «ma un modo attraverso il quale ho affrontato i miei fantasmi e poi li ho fatti fuori tutti».


Sappiamo che stai preparando freneticamente il tour in questi giorni.
«Ero così concentrato sull'album che ho accantonato i concerti. C'è molto da fare, ma stare tranquilli: è tutto sotto controllo. Sarà un ciclo di concerti spettacolare».

L'accoglienza per «Prisoner 709» è stata ottima.
«Ne sono davvero felice anche perché io quando preparo un album non esisto. I miei social sono fermi quasi sempre e torno quasi solo per dire che ho dato vita a un nuovo progetto. Quando mi riaffaccio verso il pubblico, ritrovo sempre lo stesso entusiasmo. Mi muovo diversamente da altri artisti per una sola ragione, penso che sia più interessante quello che faccio di quello che sono».

Partiamo dall'inizio: quando hai scritto «Ti fa stare bene»?
«Nel culmine di un mio periodo di crisi. Tra i vari problemi di quel momento, ho scoperto di avere un forte acufene, una sorta di conto da pagare per chi fa il mio mestiere».

Cos'è di preciso?
«Avete presente quando state in un posto molto rumoroso e quando uscite vi fischiano le orecchie? L'acufene è il permanere di quel problema».

Come l'hai affrontato?
«All'inizio ne parlavo con degli amici che continuavano a dirmi di provare a fare quello che mi faceva stare bene come soluzione, pensando che fosse "lo stress", come se lo stress fosse la causa di tutti i malanni».

L'hai poi risolto?
«Non del tutto, ma ho capito che l'unico modo per uscire da quel problema, causato dalla musica stessa, era da risolvere facendo altra musica».

«Ti fa stare bene» nasce da un periodo di crisi, ma i suoni sono molto allegri.
«Sì, proprio in quel periodo per colpa di vari malesseri stavo scrivendo solo canzoni tristi, così ho deciso di voltare pagina. Quando dico all'inizio "Ho bisogno di un motivo che mi faccia stare bene", non intendo solo una "ragione", ma una melodia».

Dove l'hai scritta?
«Tra le mura del mio studio di Molfetta, come tutti i miei brani. Non riesco a scrivere altrove».

Da dove arriva la scelta di avere un coro di bambini nel ritornello?
«Perché il brano stesso li chiama a raccolta, citando l'anima del coro dell'Antoniano. Li ho voluti perché mi sono reso conto che il vero antidoto alla tristezza non è mai la consolazione, ma il gioco e l'inaspettato. Per quello nel ritornello parlo di sporcarsi le mani di nero, di fare bolle di sapone, proprio come i bambini».

Come mai «Ti fa stare bene» è inserita al centro dell'album?
«È l'ottava su sedici brani. Il mio ultimo disco si chiama "Prisoner 709": sette è il numero di lettere che compone il mio vero nome, Michele, nove quello che compone il mio nome d'arte, Caparezza. Quel brano è esattamente al centro tra quelle due parole e non è un caso. È il brano più intimo che ho scritto in carriera finora».

Hai ideato anche il videoclip?
«No, ho lasciato tutto in mano a persone che sanno fare il mestiere dei videoclip meglio di me. Volevo solo che fosse solare».

Infatti è impossibile non farsi conquistare dai volti di quei bambini.
«È vero! Abbiamo creato un po' di scompiglio in un vero ospizio di Cologno Monzese. Alcuni degli ospiti della struttura hanno partecipato al videoclip come comparse. Il coro non è lo stesso della registrazione».

Quale coro ha cantato nel brano?
«Il coro dei Rumori Bianchi di Molfetta. Prima di guardare alle risorse fuori dal territorio, guardo sempre se le ho nel mio».

Grazie! Di solito i cantautori non amano molto spiegare le canzoni.
«È stato un piacere, perché so che molti fan aspettano di vedere se la loro chiave di lettura corrisponde alla mia. Però non va fatto sempre perché in effetti la musica è un po' come un origami. Se lo spieghi, è solo un foglio».

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