Dal 23 al 27 maggio 1971 John Lennon incise una canzone immortale con cui voleva cambiare il mondo
Potremmo immaginare un mondo senza “Imagine” di John Lennon? No. Un attimo e ci suona nel cuore. Le prime note di pianoforte, la voce asprigna di John, quelle parole forti, quasi scandalose: “Immagina che non ci sia un paradiso, è facile se ci provi, e che non ci sia neppure un inferno sotto di noi. Sopra la nostra testa solo cielo”…
“Imagine” compie 50 anni. E li porta benissimo, anche perché quel mondo unito nella pace che ci invita a sognare è ancora tutto da conquistare. Sorrisi rende omaggio a questa “splendida cinquantenne” con una torta fatta di curiosità.
Dalla campagna ai grattacieli
“Imagine” nasce a Tittenhurst Park, la residenza nella campagna inglese del Berkshire dove John Lennon vive tra il 1969 e il 1971. La canzone è registrata qui tra il 23 e il 27 maggio 1971; il 4 luglio “vola” a New York per arricchirsi con le parti degli archi. Il mondo la ascolta il 9 settembre: è la prima canzone di “Imagine”, secondo album da solista dell’ex Beatle.
Chi c’era e chi no
Nella canzone suonano Lennon (piano e voce), Alan White (batteria), Klaus Voormann (basso) e un gruppo di archi dell’orchestra New York Philharmonic. Uno storico pianista del rock, invece, perde la sua occasione: Nicky Hopkins dovrebbe suonare il piano a quattro mani con Lennon, ma l’idea non convince nessuno e quindi si limita ad ascoltare.
Un autore. Anzi due. Quasi tre
L’ispirazione principale viene da “Grapefruit”, opera di arte concettuale di Yoko Ono del 1964 che univa testi e performance. Lennon però firma la canzone da solo e anni dopo se ne pente: «“Grapefruit” contiene molti brani in cui si dice “Immagina questo… Immagina quello…”» spiega. «“Imagine” non avrebbe mai potuto essere scritta senza Yoko e io so che mi ha aiutato tanto, ma non sono stato abbastanza uomo da riconoscerglielo». Dal 2017 Yoko è riconosciuta come coautrice. Altra dichiarata fonte di ispirazione è un libro di preghiere che Lennon riceve in regalo da Dick Gregory, artista e attivista americano.
Il canto del cigno
“Imagine” è l’ultima canzone cantata da Lennon nella sua ultima esibizione del vivo, il 18 aprile 1975. All’hotel Waldorf Astoria di New York, in un galà in onore di un discografico inglese, John si presenta in completo rosso fiammante e chitarra acustica a tracolla, per cantare due classici della musica nera, “Slippin’ and slidin’” e “Stand by me”, e la sua “Imagine”. Lo accompagna una band, che nello special televisivo sulla serata viene chiamata gli Eccetera, perché il nome vero è un po’ forte: sono i Bomf, una sigla che sta per “Fratelli di figli di buona donna”.
La cantano tutti
Secondo il ricchissimo sito “Second-hand songs” (canzoni di seconda mano), “Imagine” ha avuto quasi 500 cover. L’elenco è in continuo aggiornamento.
Il ruolo di Paolo Limiti
“Imagine” è stata tradotta e incisa in italiano. La prima versione esce nel marzo del 1972. Intitolata “Immagina che…”, è cantata sia da Ornella Vanoni sia da Wess, cantante americano che troverà poi il successo in coppia con Dori Ghezzi. Il testo è firmato da Paolo Limiti, all’epoca affermato paroliere e autore tv, ma non ancora il popolare conduttore che conosceremo. Aiutato dal produttore Felice Piccarreda, Limiti cancella i riferimenti “impegnati” e reinventa “Imagine” come una ballata d’amore venata di tristezza.
Canzone monumentale
Il brano ispira la Imagine Peace Tower, un monumento in memoria di Lennon realizzato nel 2007 da Yoko Ono sull’isola di Viðey in Islanda. È una colonna di luce che raggiunge circa 4 mila metri d’altezza. La luce si accende solo in alcuni periodi dell’anno. Si può ammirare il monumento “in attività” in streaming sul sito imaginepeacetower.com e sul canale YouTube dedicato all’opera.
Il piano(forte) di George Michael
John Lennon suona “Imagine” su un pianoforte a coda bianco in un salone di Tittenhurst Park… Il video iconico della canzone è questo, e lo troviamo in “Imagine”, il film che John e Yoko realizzarono per raccontare la nascita dell’album. Il pezzo, però, nasce su un piano Steinway Z verticale color legno, che Lennon “rovina” spegnendoci sopra le sigarette. George Michael lo acquista all’asta nel 2000 pagandolo (al valore attuale) due milioni e mezzo di euro. Lo usa nell’album “Patience” (2004) e poi lo “manda in tour” con l’“Imagine Piano Peace Project” in varie località americane note per fatti di sangue; sarà poi esposto in musei e mostre sui Beatles.
La vista lunga di John
Nel breve concerto del 1975 a New York, Lennon inserisce nel testo due modifiche ancora attuali. Esorta a immaginare un mondo in cui non ci siano vincoli ai permessi di soggiorno (dal 1972 è impelagato in una battaglia legale per non essere allontanato dagli Usa, vinta proprio nel ‘75) e valorizza la parità di genere dicendo di non immaginare solo il mondo come una “fratellanza di uomini”, ma come “una fratellanza e una sorellanza di uomini”.
Fu subito un successo?
In Italia sì: il singolo arriva al primo posto nella “Hit Parade” della Rai condotta da Lelio Luttazzi, mentre nella classifica di Sorrisi raggiunge il terzo posto (l’album, però, passa cinque settimane al numero 1). Anche in Usa e Gran Bretagna il 33 giri arriva in testa alle Top ten; il 45 giri, invece, nel 1971 esce solo negli Stati Uniti e si piazza tra i primi tre nelle principali classifiche; in Gran Bretagna viene pubblicato nel 1975 e arriva appena al sesto posto: sarà primo solo con la ristampa uscita dopo l’omicidio di John.