The Kolors: «L’idea di “Italodisco” viene da un tatuaggio»

Un nuovo successo (fortissimo nelle radio) travolge Stash e la band: «Lo canticchia anche la mia bimba di 2 anni!»

I The Kolors nella nuova formazione: da sinistra, Dario Iaculli, i cugini Stash Fiordispino e Alex Fiordispino #
12 Giugno 2023 alle 08:08

Nella nostra redazione è già un tormentone. “Italodisco”, il nuovo brano dei The Kolors, in poche settimane ha conquistato le radio, lo streaming, i social ma soprattutto il cuore del pubblico. «Sono così felice» racconta Stash, cantante e chitarrista del gruppo. «Questa emozione non l’ho mai provata prima».

Come mai?
«È un brano che sta unendo adulti e bambini, persone che mi avevano perso per strada ai tempi della nostra “Everytime” (del 2015, ndr) o che mi hanno visto ad “Amici” ma non seguivano più la nostra musica».

In gergo si dice che state “spaccando”, in un periodo di affollamento di collaborazioni pensate ad hoc per l’estate.
«È questa la cosa più sorprendente. Noi di duetti ne abbiamo fatti tanti, ma ci siamo accorti che spesso per fare risonanza con un brano si perde di vista il calore della musica. Questo approccio naturale è un nuovo grande inizio».

C’entra anche l’allontanamento di Daniele Mona dalla band?
«Non del tutto, il suo è stato un cambio di rotta meno traumatico di come si è raccontato. Daniele è il fratello che non ho mai avuto e lo aspettiamo, quando vorrà, per tornare a suonare con noi. Il nuovo musicista Dario Iaculli “nuovo” non è: lavora con noi dal 2017, ma non lo si vedeva spesso. È da tempo un’anima fondamentale per il gruppo, una voce di confronto e crescita».

Come è nato il brano?
«È il frutto di una serie di coincidenze: ho detto al co-autore e amico Davide Petrella che volevo coprirmi un tatuaggio, stavamo giocando con uno strumento Anni 80, il sintetizzatore Moog Prodigy, creando quel suono ritmato che sentite durante tutto il pezzo e cantandoci sopra le mie parole. In pochi attimi è arrivata la canzone».

Ma questo tatuaggio l’ha coperto alla fine o no?
«Non ancora. E non vi dico adesso qual è perché ho paura che si offenda il tatuatore (ride)».

Nel testo si cita il Festivalbar: le manca?
«Tanto. Nel 2002 non avevo nemmeno 12 anni e degli amici mi portarono in piazza Plebiscito a Napoli. Di fronte a me vidi i Red Hot Chili Peppers: indimenticabile».

Il brano contiene tante immagini sconnesse, come se fosse un sogno.
«Sì, è lo spirito con cui sono nati i brani del genere Anni 70 al quale ci siamo ispirati. Crea un’atmosfera, uno stato d’animo di divertimento e nostalgia, senza raccontare una storia».

Cosa ne pensano le sue bimbe, Grace, 2 anni, e Imagine, di 10 mesi?
«Loro ne vanno matte. Grace sta cominciando a parlare. Prima di pubblicare le canzoni, spesso le ascolto dal cellulare o in macchina, perché è così che fa la gente. Le bimbe l’hanno sentita tanto nei nostri viaggi dall’Abruzzo, dove vivo, verso Genova per andare a trovare gli zii. Insomma, è la prima canzone che ho sentito canticchiare a Grace».

Il videoclip è girato in una bocciofila!
«Sì, con un gruppo di signori e signore alla Martesana vicino a viale Monza a Milano: mi hanno fatto impazzire di gioia. Più che un videoclip è un “video karaoke”. Non abbiamo fatto richieste particolari, solo un ballo di gruppo come in una normale serata. Il risultato è incredibile e naturale, come il brano».

Ma è vero che ha appena inaugurato una gastronomia a Capri?
«Sì, con un amico di sempre abbiamo inaugurato una “gastronomia pop”, si chiama “Calamore”. Dopo un concerto a Capri ho visto questo locale in affitto e da lì è nata l’idea di far servire pesce fresco, nel rispetto della celebre Piazzetta».

Nel rispetto di cosa?
«Per tutelare la magia del luogo abbiamo deciso di non servire pesce fritto, per l’odore. Nel nostro locale serviamo un tipico cono, il “cuoppo”, con all’interno riso e insalata di mare, panini col pesce e altre ricette speciali da mangiare in giro».

Mi è venuta fame.
«È l’obiettivo (ride). È un sogno che si esaudisce e so che sta piacendo molto a chi vive lì, che per me è la soddisfazione più grande».

Cosa unisce la sua musica e il cibo del vostro locale?
«Non ci sono differenze: la ricetta è tutta nell’amore che ci metti dentro. Agli inizi, dopo tante esperienze nei locali più in voga di Milano e non solo, abbiamo deciso di toglierci il chiodo di pelle e indossare le felpe di “Amici” per uscire dalla nicchia. Quando puntavamo sull’immagine, abbiamo perso di vista le priorità. Dopo varie docce fredde oggi pensiamo a ciò che conta davvero: l’amore della gente e la buona musica».

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