Claudio Baglioni: 50 anni di carriera con un’intervista esclusiva

L'artista ci racconta: «Ho un segreto: io lavoro ogni giorno per meritare il successo che ho avuto. E non do nulla per scontato».

Claudio Baglioni sul palco. In 50 anni di carriera ha scritto quasi 400 canzoni e venduto 60 milioni di album
20 Agosto 2018 alle 14:05

Un concerto-evento all’Arena di Verona per i 50 anni di carriera trasmesso anche su Raiuno, un lungo tour, un Sanremo «raddoppiato» (in onda già in dicembre) da pensare, costruire e condurre. Ma chi glielo fa fare, a Claudio Baglioni, di cacciarsi in questi guai, proprio ora che è al di sopra di ogni giudizio e di ogni sospetto? L’estate la trascorre nella «sua» Lampedusa, a fare ciò che ama: «Combattere con il giocattolo più bello del mondo, il mare». E la domanda incalza: ma chi glielo fa fare di sottoporsi allo stress, alle critiche dei critici, allo scetticismo degli scettici, al giudizio dell’Auditel, al ringhio degli influencer? «Faccio lunghe nuotate alla scoperta di calette e grotte» dice lui con ineffabile contegno, impedendo a quella domanda di prendere forma. «Sembrerà strano, visto che sono un musicista, ma per me il silenzio è un bene prezioso».

Andiamo per ordine. Qual è il momento esatto da cui si iniziano a contare gli anni di una carriera?
«Personalmente, dal primo contratto discografico, nel 1968, e dalla registrazione della prima canzone pubblicata, “Signora Lia”, nel 1969».

Non era neppure maggiorenne.
«Infatti il contratto lo firmò mio padre».

Papà Riccardo, maresciallo dei Carabinieri.
«Contrariamente a quel che si può pensare mi ha sempre incoraggiato. Gli piaceva l’idea di un figlio cantante, di cui parlare in caserma».

Sua madre, è noto, era invece più concentrata su questioni oculistiche.
«Ero un ragazzino molto miope e lo studio, diceva lei, rovinava la vista».

La sua prima apparizione sulle scene però risale al 1964.
«Cantai “Ogni volta” di Paul Anka alla festa patronale del mio quartiere, Centocelle».

I primi soldi guadagnati con la musica?
«Mille lire nel 1966, in un cineteatro di quartiere. Cantavo tre canzoni tra numeri di avanspettacolo e balletti di soubrette poco vestite. Il pubblico, per lo più militari in libera uscita, non era lì per me. Ma i miei genitori vennero comunque a vedermi».

Cosa fece con quelle mille lire?
«Invitai i miei genitori in pizzeria dopo lo spettacolo».

Equivalevano a circa 15 euro di oggi.
«Infatti non bastarono, mio padre dovette mettere la differenza».

Sono passati 50 anni anche da un episodio che ha raccontato in un suo libro. Quello della ragazza che si sottrae al suo corteggiamento dicendole: «Sarebbe solo una storia qualunque». Cosa le direbbe se la incontrasse oggi?
«La ringrazierei».

Andiamo...
«Sincero. Sono stati episodi come questi a farmi tirare fuori la tenacia, la testardaggine, la voglia di uscire dall’anonimato».

La sua carriera è un bizzarro miscuglio di ambizione e timidezza.
«Sono due aspetti del mio carattere che ho conservato anche dopo il successo. All’inizio desideravo conquistarlo, poi ho iniziato a lavorare per meritarmelo».

Ha raccontato che fino al 1975, quando uscì «Sabato pomeriggio», poteva andare in giro tranquillamente per la città. Nostalgia di quei tempi?
«Su questo è facile essere ipocriti. Tutti quelli che fanno il mio mestiere vorrebbero fermarsi eternamente al momento in cui sono amati dalla gente ma possono ancora fare una vita normale. Quando sono noti, ma non braccati».

Ora poi ci sono i cellulari.
«Come dico sempre, a volte mi pare di fare concerti per una platea di cineoperatori».

Lei non è il tipo che asseconda il pubblico su tutto. Spesso ha cambiato le canzoni più famose, quasi per evitare che la gente potesse cantarle in coro.
«Non per cattiveria. Ci sono dei momenti, all’interno di un concerto, che vorresti fossero vissuti in un certo modo. A volte chi è sul palco è come la guida turistica che tiene in alto l’ombrellino per farsi seguire dal proprio gruppo: è giusto che detti i tempi, che dia un ritmo all’esplorazione, che ponga l’accento su alcuni momenti. Ma capisco che qualcuno possa rimanerci male».

Come quella volta a Palermo.
«Quando una signora mi aspettò alla fine di un concerto e mi sgridò per aver cambiato troppo un brano: “Quella canzone non è più tua, è nostra” disse. In fondo un po’ aveva ragione».

Oggi i cantanti usano molto i social.
«Noi andavamo poco in tv, la nostra “fisicità” era poco esposta e questo ci rendeva mitici. Oggi molti offrono di sé più di quanto i fan chiedano. È come se dalla mattina alla sera documentassero la propria vita per far vedere che in fondo è normale, come quella di tutti».

La sua vita ogni tanto è normale?
«Sì, in certi momenti di solitudine “procurata”. Sarà che sono figlio unico, è una sorta di ritorno alle origini».

Facciamo un gioco pescando tra le 400 canzoni del suo repertorio. Il brano del quale più spesso i fan le hanno detto: «Sembra che l’abbia scritto per me».
«Difficile sceglierne uno. “Questo piccolo grande amore” o “E tu...”».

Il brano che suo padre amava di più.
«“Poster”».

Quello che avrebbe voluto scrivere lei.
«Quand’ero più giovane “Yesterday” dei Beatles. Poi “La notte dei miracoli” di Dalla. Lucio me la fece sentire a Bologna prima che fosse pubblicata e io provai un misto di ammirazione e invidia. “Spero che l’abbia copiata” pensai» (ride).

Il primo suo brano sentito alla radio.
«“Io, una ragazza, la gente”. Mi fece molta impressione. Ma la sorpresa più grande fu quando sentii “Porta Portese” provenire da una radiolina, probabilmente rubata, esposta in una bancarella di Porta Portese».

Quello che non avrebbe voluto scrivere.
«Per molti anni non ho voluto bene a “Sabato pomeriggio”. Non era venuto fuori come l’avevo immaginato all’inizio. Ma anche con “Bolero” ho avuto un rapporto difficile. Il testo era troppo complicato, facevo fatica a impararlo a memoria e sul palco dovevo arrangiarmi con dei “pizzini”».

Il brano che non si stanca di cantare dal vivo.
«“Strada facendo” e “Mille giorni di te e di me”».

Quello che non ama più cantare «live».
«Alcune canzoni con gli anni diventano estranee, come vecchie foto nelle quali uno non si riconosce più. Ad altre manca il “passaporto del tempo”, soprattutto quando contengono riferimenti concreti. Come “200 lire di castagne”, per esempio. In “E tu come stai?” canto “...chi ti apre lo sportello?”. Ma oggi chi lo fa più?».

Nella sua vita alla fine degli Anni 90 è entrata anche la televisione.
«“Anima mia” fu un’esperienza bellissima anche perché eravamo noi i primi a divertirci».

E se Fabio Fazio le chiedesse di rifarla, magari dedicandola agli Anni 90?
«Il progetto di un sequel c’era, ma non se ne fece nulla. Certe cose non vanno rifatte allo stesso modo, è la fortuna e la disgrazia del mestiere. Ma per la tv credo che sarò sempre “uno di passaggio”. La televisione è un’arte sopraffina che noi profani non eseguiamo alla perfezione. Magari nel registrare musica in studio siamo attentissimi, poi in una trasmissione manchiamo di precisione e di preparazione».

Lei cosa guarda in tv?
«Sport e news, innanzitutto. Ma sono onnivoro, e a volte anch’io mi perdo a fare zapping e mi scorrono davanti immagini di cui fatico a capire il senso».

Capitolo Sanremo. Guardi, ho una domanda banalissima che vorrei tanto risparmiarle ma proprio non riesco. Chi gliel’ha fatto fare?
«Presentando la scorsa edizione dissi che avrei voluto avere più tempo. Sentivo il bisogno di completare il percorso».

Una cosa si sa già che cambierà: la parte riservata ai giovani.
«L’avevo detto: mi sarebbe piaciuto raddoppiarlo, il Festival. Ecco, ora è successo. I giovani avranno a disposizione una intera settimana televisiva: due prime serate di Raiuno a dicembre, più quattro puntate di avvicinamento nel preserale, sempre su Raiuno. Io per primo lavorerò duro perché questa parte abbia la stessa caratura e la stessa rilevanza del Sanremo di febbraio, al quale approderanno i vincitori delle due serate di dicembre. Credo che la concomitanza con la gara dei Big finisca sempre per togliere luce ai giovani. Ma sia chiaro: quello che ho in mente non è un talent che si aggiunge a quelli che già ci sono in tv».

A dicembre si sarà da poco conclusa la nuova stagione di “X Factor”.
«Lo ripeto, io non ho in mente un talent. Non speriamo di pescare un talento tra migliaia di ragazzi che tentano la sorte: selezioneremo talenti veri tra veri talenti. Tutti giovani sì, ma tutti bravi. Non ci saranno cover da eseguire né sfide a eliminazione. È un vero “contest”: un concorso, riservato a chi ha già una sua identità artistica e un minimo di esperienza discografica».

Che cosa non cambierà, invece, rispetto allo scorso Sanremo?
«Non ci saranno eliminazioni».

Ancora niente nomi sicuri, giusto?
«Giusto. Al momento sto “fantasticando” su alcune soluzioni estetiche».

C’è qualcosa che teme?
«Ancora oggi mi chiedo come sia possibile che la mia storia sia andata così, che la mia vita mi abbia portato così lontano. Perché in 50 anni di carriera il rischio di perdere il senso della realtà è sempre lì in agguato. E io ho sempre lavorato mettendomi in dubbio, impegnandomi nel faticoso esercizio dell’autocritica, partendo dal presupposto di non aver fatto abbastanza, di poter migliorare ciò che avevo già portato a termine».

Ad averlo saputo. Se avessi aspettato ancora un po’, la risposta a quella domanda insopportabilmente banale, «Chi gliel’ha fatto fare», me l’avrebbe data lui.

Un grande evento all’arena e un tour rivoluzionario

«Al centro», il tour dei 50 anni di carriera di Baglioni, parte il 14 settembre dall’Arena di Verona (dove ci saranno le telecamere di Raiuno, che proporrà il live in prima serata). Il palco sarà al centro e vedrà il cantautore muoversi a 360°. «La scaletta ripercorrerà la mia storia in ordine cronologico» spiega Baglioni. «Sarà un racconto per suoni e immagini in cui diverse discipline artistiche si intrecceranno. Ho cercato di riprodurre visioni, colori ed emozioni che hanno ispirato le canzoni quando le scrissi. Ho trovato un grande appoggio in Giuliano Peparini (regista e coreografo noto anche per le cinque edizioni da direttore artistico di “Amici“, ndr). Sul palco ci saranno 21 musicisti polistrumentisti e 21 artisti di altre discipline». Gli spot dell’evento su Raiuno sono già in onda e nascondono una sorpresa: «La musica che ascoltate è un breve estratto dalla “suite” che ho scritto come una sorta di inno: aprirà e chiuderà ogni concerto. È il mio personalissimo “Buon compleanno”». È un inno maestoso: «Massì, ogni tanto bisogna prendersi un po’ sul serio!» conclude Baglioni.Dopo le date all’Arena di Verona il 14-15-16 settembre seguiranno Firenze il 16 e 17 ottobre, Roma il 19, 20 e 21, Ancona il 23 e 24, Milano il 26, 27 e 28, Perugia il 30, Acireale (CT) il 2, 3 e 4 novembre, Bari il 6, 7 e 8, Eboli (SA) il 10 e 11, Bologna il 13 e 14, Padova il 16 e 17, Montichiari (BS) il 20 e 21, Torino il 23 e 24. Su www.ticketone.it informazioni e biglietti.

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