Antonello Venditti e Francesco De Gregori: «Siamo nati per cantare insieme»

«Siamo amici da 50 anni ma pensavamo che le nostre voci non andassero d’accordo. Invece... Vi aspettiamo al nostro grande concerto allo Stadio Olimpico di Roma il 5 settembre 2020!»

Antonello Venditti e Francesco De Gregori si conoscono dal 1969, anno in cui entrambi iniziarono a esibirsi al Folkstudio, storico locale di Roma  Credit: © Daniele Barraco
12 Dicembre 2019 alle 08:30

Nella saletta di un hotel di Milano tutto è pronto per scattare le fotografie per la copertina e il servizio di Sorrisi. Francesco De Gregori e Antonello Venditti sono in arrivo. Tarderanno? Probabile, con questa pioggia monsonica il centro è tutto un ingorgo. Ma non c’è neppure il tempo di iniziare a preoccuparsi sul serio che loro sono già qui.

Chiacchierano fitto tra loro. Venditti inizia a salutare tutti. De Gregori si toglie il suo cappello da cowboy nero per indossarne uno bianco e canticchia a mezza voce: «Quando la banda passò...». La banda? Ma sì, è “La banda” di Mina! “Quando la banda passò, nel cielo il sole spuntò”, e fuori dalle finestre anche questa Milano non pare più nemmeno così grigia.

Nell’aria c’è anche una bella promessa. Il 5 settembre 2020 Antonello e Francesco suoneranno finalmente insieme in un eccezionale concerto-evento allo Stadio Olimpico di Roma.

I biglietti sono già in vendita (info: ticketone.it). E noi oggi siamo qui con i due cantautori per capire come mai, a una cinquantina d’anni da quando si conobbero al Folkstudio, storico locale romano, solo adesso si decidono a fare un vero concerto insieme. E per farci raccontare quel che hanno già deciso della serata di settembre. Bisognerebbe fare un’intervista, ma in effetti la cosa si trasforma in una chiacchierata in cui le battute s’inseguono e ciascuno ruba il tempo all’altro...

Direi di partire proprio dall’annuncio del concerto.
Venditti: «Oh, vedi che bello? Adesso si mette a fare il giornalista!».
De Gregori: «Ma dai! Dovrà impostare l’intervista, no? Lasciamolo lavorare! Allora: in effetti è un po’ di tempo che ci incontriamo sul palcoscenico. Nel settembre del 2018 io sono andato ospite al concerto di Antonello all’Arena di Verona per i 40 anni di “Sotto il segno dei pesci”, e in marzo lui è venuto a un mio concerto al Teatro Garbatella a Roma. Insomma, c’è stato un riavvicinamento musicale e “intellettuale”, anche se in realtà noi ci siamo sempre sentiti e visti a pranzo o a cena. Non avevamo mai pensato di suonare insieme, però. Io avevo anche la sensazione che le nostre voci non fossero compatibili e invece miracolosamente è successo, non so dire neppure quando».
Venditti: «Quando? La verità è che noi siamo nati per cantare insieme. Prendiamo Dalla e De Gregori: erano due personalità distinte. Noi no. Noi siamo una cosa sola, siamo Theorius Campus, il “personaggio” che dava il nome al nostro primo album. Ecco, adesso lui non se lo ricorda…».
De Gregori: «Oh, mica sono rimbambito!».
Venditti: «Ah, te lo ricordi? Quando abbiamo fatto quel disco non ci siamo chiamati Venditti e De Gregori, ma Theorius Campus, anzi Alexis Theorius Campus, che quando suona l’organo sfonda il cielo. Ecco, io credo che noi siamo ancora quello».

Il pubblico dei vostri concerti è “stratificato”, dai fan storici che hanno più di 60 anni fino ai ragazzini. Come avete tenuto insieme tante generazioni?
Venditti: «Guardi, io sono amico di Ultimo. Lui sa le mie canzoni meglio di me. E sono amico di Ermal Meta, di Mahmood... Pare che “Sora Rosa”, il primo pezzo che ho scritto, sia una canzone di riferimento per tutto il nuovo canto romano. Avverto per noi amore e rispetto, sento un “riconoscimento” di paternità di cui forse non ci siamo neppure mai accorti».
De Gregori: «Una paternità che non abbiamo mai cercato. D’altra parte, io non avrei mai potuto scrivere le mie canzoni senza tener presente la lezione di Paoli, Endrigo, Lauzi, De André... E allora diciamo che tra i rapper e i trapper di oggi ci stanno quelli più ispirati e quelli meno, come in tutte le congreghe, cantautori storici compresi. I più ispirati hanno anche una buona cultura musicale e quindi non mi sorprende che Ultimo conosca le canzoni di Venditti meglio di Venditti. Tra i nostri esordi e oggi passano 50 anni, no? Noi abbiamo cominciato attorno al 1970: leviamogli 50 anni e fa 1920. Ecco, noi non sentivamo nessun appeal per le canzoni del 1920, appartenevano a un mondo passato, c’era stata una guerra di mezzo... E invece siamo stati a “X Factor” e i ragazzi ci hanno battuto le mani: è un po’ miracoloso».

Immagino che incontriate ovunque persone che vi dicono quanto siano legate a una vostra certa canzone, che è come se l’avessero scritta loro.
De Gregori: «Posso dire una cosa immodesta? Erano belle canzoni e le belle canzoni restano. Torno al discorso storico: se avessimo avuto una Terza guerra mondiale tra il 1970 e oggi, forse saremmo stati messi da parte».

Però dev’essere pesante sapere che se nel concerto non fate “Notte prima degli esami” o “Rimmel” la gente si arrabbia.
De Gregori: «Io ringrazio Dio di aver scritto certe canzoni, perché sono meravigliose e la gente ci si è attaccata. È come andare a sentire Frank Sinatra e non ti fa “Strangers in the night”... Meno male che ci sono!».
Venditti: «Io ora sto vivendo un miracolo: nei concerti suono integralmente l’album “Sotto il segno dei pesci” e sento che ha una forza evocativa che tiene in comunicazione più generazioni. È come se avessi colto un punto che sa di storia e di futuro al contempo».

A proposito di concerti, che cosa vedremo nel 2020 allo Stadio Olimpico?
De Gregori: «Faremo delle cose singolarmente con le nostre band e moltissime fondendo le due band. Io non escluderei, anzi, che le band unite suonassero per l’80% del concerto: verrebbe un suono straordinario».

Non oso pensare alla costruzione della scaletta…
Venditti: «Ma no! Sarà la cosa più bella e naturale del mondo: le cose stanno già saltando fuori. Lui però mi pone dei limiti, mentre io sono illimitato...».
De Gregori: «Eh, qui siamo in forte “disaccordo”! Per me, la durata ideale di un concerto è un’ora e tre quarti. Lui fa tre ore. E la gente non si dispera...».
Venditti:«Arrivo a tre ore e 40 minuti, quattro ore, e sono tutti contentissimi. Pagano un sacco di soldi per vederci e quindi... Insomma, ho scoperto in me una generosità che non pensavo di avere ed è bellissima».
De Gregori: «Ha ragione lui, in effetti, ma non volevo dirlo. All’Olimpico non faremo meno di tre ore».
Venditti: «Anche perché ogni giorno riscopriamo delle canzoni l’uno dell’altro che sono pazzesche!».

Antonello, cosa la sorprende oggi di Francesco?
Venditti: «Che sembra che tra noi ci sia stato un “travaso di cellule”. Io che normalmente sono considerato deciso e iracondo, divento una mammoletta in confronto a lui. E poi ha delle doti di showman insospettabili!».

Francesco, cosa la sorprende di Antonello?
De Gregori: «Il suo canto: è impressionante. Ha sempre cantato benissimo, ma mi stupisce ancora. E poi mi colpisce la qualità dei suoi pezzi. Mi sono innamorato di alcune sue canzoni diversi anni dopo l’uscita. Per esempio di “Che stupida storia è la vita”...».
Venditti: «Ma no! Si chiama “Che fantastica storia è la vita”!».
De Gregori: «Vabbè, non puoi pretendere che alla mia età io ricordi i titoli esatti!».

Perché non avevate mai fatto un concerto insieme?
De Gregori: «Perché ogni cosa vuole i suoi tempi. Ora lo facciamo perché abbiamo scritto una quarantina di buone canzoni che in qualche modo hanno pesato sulla vita dei nostri ascoltatori».
Venditti: «Posso dire un’altra cosa? Io ho scoperto Francesco come cantante e gli ho fatto i complimenti».
De Gregori: «Eh, sì, io canto meglio di lui ormai. Questo me lo dicono tutti».

Mentre le chiacchiere si sfrangiano e si smonta il set fotografico, c’è ancora tempo per qualche battuta. Venditti pensa bene di riaprire una ferita lontana: «Oh, io comunque t’avevo prestato tre dischi e non li ho più rivisti: “Tumbleweed connection” di Elton John, “Catch bull at four” di Cat Stevens ed “Every picture tells a story” di Rod Stewart...».

De Gregori non raccoglie. Lascia la stanza canticchiando ancora. Questa volta però non è Mina. È Celentano: «Siamo la coppia più bella del mondo...». Cinquant’anni dopo è ancora vero.

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