Claudio Lippi: «Cantare è la mia vera passione»

Il conduttore, che negli Anni 60 era una voce di successo, annuncia a Sorrisi una serie di concerti nelle piazze per la prossima estate

Claudio Lippi in versione cantante
23 Gennaio 2020 alle 16:44

E così, Claudio, ritorna a cantare? Sono passati alcuni anni da quando la sua carta d’identità d’artista prevedeva la dicitura “cantante”… «Direi che è stata cancellata all’inizio degli Anni 70. Ma quest’estate si riparte: spettacoli con una band di sette musicisti per far capire che la musica è sempre nella mia natura. E potrebbe esserci anche un nuovo disco: ho nel cassetto un 45 giri. Oddio, se dico “45 giri” tradisco la mia età… Adesso si dice “pezzo”!».

Sull’onda del successo ottenuto affiancando Elisa Isoardi nella conduzione di “La prova del cuoco” («È davvero un momento felice: sento l’affetto del pubblico, che ormai mi vede come un parente, che però non ti “inchioda” alle riunioni di famiglia»), Claudio Lippi ha deciso di tornare a fare ciò che lo lanciò nel mondo dello spettacolo nella Milano dei primi Anni 60. Già allora era un eclettico, per così dire. Era il momento in cui tramontava la stagione degli urlatori del rock’n’roll, stava esplodendo il beat (i Beatles suoneranno al Vigorelli nel giugno del 1965) e artisti come Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci stavano costruendo la grande canzone d’autore milanese… Lippi invece era un ragazzo dal sorriso accattivante, un’importante zazzera bionda, una voce calda e un repertorio molto soffice. Per capirci, il suo cavallo di battaglia esce nel 1965 ed è “Per ognuno c’è qualcuno”, la versione italiana di “Everybody loves somebody”, romanticissima ballata di quel rubacuori di Dean Martin. «Con quella canzone ho vinto il Disco d’oro: un milione di copie vendute! E secondo me erano anche molte di più».

E poi che cos’è successo?
«Sono stato travolto dal grandissimo fenomeno del cantautorato. Se non fosse nato Fabrizio De André, insomma, forse avrei continuato a cantare. All’inizio degli Anni 70 l’industria discografica iniziò a puntare soprattutto su chi non solo scriveva canzoni ma se le cantava anche. Iniziarono a scarseggiare gli autori che componevano per altri, “sarti” abilissimi che ti cucivano i pezzi addosso. Io non avevo il talento per scrivere e capivo che pian piano restavo senza canzoni. Così, per non sembrare una vittima dei “tempi nuovi”, ho preferito lasciare».

Ma la passione è rimasta.
«Per me il canto rimane l’espressione artistica più potente. Quando canto mi emoziono e soprattutto si emoziona il pubblico. Mi colpisce il fatto che siano sempre molto più numerose le persone che mi chiedono: “Quando torni a cantare?” rispetto a quelle che dicono: “Ah, tu cantavi?”. L’incontro con nuovi collaboratori e con un musicista e produttore di talento come Maurizio Ferrante mi ha fatto prendere questa decisione».

Cosa vedremo questa estate, dunque?
«Trasformerò gli spettacoli che già faccio dando molto più spazio alla musica. Tutto dal vivo, naturalmente. Gireremo molte piazze, perché mi piace trovare quel pubblico così genuino, con cui puoi stabilire un contatto vero. A teatri e locali magari penseremo più avanti».

Le serate hanno già una scaletta?
«Ci stiamo lavorando, anche se io vivo sempre di improvvisazione. I copioni mi danno il mal di stomaco. Canterò canzoni mie e di altri. Tanto repertorio degli Anni 60 e 70, attualizzato negli arrangiamenti ma trattato col massimo rispetto».

Farà le sue canzoni del cuore, insomma. Per esempio…
«Ci sarà la mia “Per ognuno c’è qualcuno”, certo: canzone eccezionale e anche molto amata dal mio conto in banca (ride). Poi parto da Domenico Modugno, che considero un angelo geniale e preveggente. Lo sento davvero come una parte di me. La sua “Meraviglioso” è la canzone che avrei voluto scrivere io. È un inno alla bellezza delle piccole cose che dovremmo tutti ascoltare una volta al giorno per vivere meglio. Ogni volta che la canto mi viene da piangere. Ancora di Domenico c’è “Dio come ti amo”: in un mondo come il nostro, così violento con le donne, le sue parole cancellano tante asprezze del carattere maschile. Poi c’è “Una carezza in un pugno”, perché sono sempre stato un fan di Celentano. E “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” di Gianni Morandi, che ahimè si classificò prima della mia “Maria Maria”al Festival delle rose di Roma nel 1966. Purtroppo è una canzone sempre attuale».

Una sua “avventura” nel mondo musicale viene spesso evocata quando si parla della storia del beat italiano: la Pattuglia Azzurra…
«Io non sono un tipo da aneddoti. Tante cose non le ricordo. O forse ho avuto una vita un po’ piatta. Però la Pattuglia Azzurra è un rimpianto vero. Nel 1968 avevo creato l’etichetta Disco Azzurro, per la quale avremmo inciso io e questa Pattuglia Azzurra. Era un complesso di grandi musicisti, con Massimo Boldi (sì, proprio quel Boldi) alla batteria. Abbiamo fatto due 45 giri, uno io e uno loro. Un giorno, poi, il nostro finanziatore principale è scomparso (mai più visto né sentito!) e noi siamo rimasti con una barca di debiti. Fine della storia. Almeno, però, la Pattuglia è diventata mitica».

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