E Taylor Swift è la ciliegina sulla torta di D’Alessandro & Galli

Domenico D’Alessandro con il suo socio Adolfo Galli ha portato in Italia le grandi star, da Bob Dylan a Ed Sheeran

5 Agosto 2024 alle 08:06

Il trionfo è stato colossale. Con i concerti del 13 e 14 luglio, nel delirio di 130 mila fan, Taylor Swift è saltata dritta dritta dallo stadio di San Siro alla storia della musica live in Italia. Non dimenticheremo mai le sue serate milanesi, e fortunato chi potrà dire: “Io c’ero!”. Ma dietro a questo balzo nella leggenda c’è un retroscena che conoscono bene solo Domenico D’Alessandro e Adolfo Galli, ovvero la premiatissima ditta D’Alessandro e Galli che ha organizzato tutto. Tutto comincia dalla “rincorsa” presa per il salto, lunga 13 anni…

E Sorrisi ha chiesto di raccontarla proprio a Domenico “Mimmo” D’Alessandro che, prima da solo e poi (dal 1987) in società con Galli, ha fatto ascoltare in Italia tanta della più bella musica della nostra vita. Da nomi che hanno fatto la storia, come Rolling Stones, Bob Dylan, Simon & Garfunkel e Paul McCartney (ogni omissione è una vergogna) a quel gioiello che è il Lucca Summer Festival, che quest’anno compie 26 anni («Ma in realtà sono 36» specifica D’Alessandro «perché è stato preceduto da dieci anni di concerti in Versilia, nel teatro tenda Bussoladomani»).

Torniamo subito alla “rincorsa”, però: «Abbiamo visto Taylor Swift per la prima volta nel 2011 a Londra. Era ancora molto country, l’accompagnava la mamma. Insomma, la nostra conoscenza nasce da lontano…».

“The Eras Tour” di Taylor è partito nel marzo del 2023. Voi quando siete “saliti sulla giostra”?
«Circa un anno prima. Noi lavoriamo molto con Aeg Presents, la società che l’ha “organizzato”, e ce ne hanno parlato. Si sentiva profumo di cosa fenomenale, ma sarei bugiardo se dicessi che m’immaginavo un successo così. Nessuno si aspettava che si sarebbe mosso un popolo (è l’unica definizione che posso usare) per vivere un’esperienza incredibile: tre ore e un quarto di spettacolo perfetto… In febbraio ho visto il concerto a Melbourne per rendermi conto della produzione. Perché un concerto non è un gioco: è una macchina paurosa che, a un livello come questo, coinvolge migliaia di persone in un lavoro che può essere allucinante, che impone sacrifici veri, grossi, e che puoi fare solo se lo ami».

A San Siro avete chiacchierato con Taylor?
«No, in una situazione così non c’è tempo. Con lei parlammo a Londra, 13 anni fa».

Taylor viene e va, il Lucca Summer Festival rimane. E anche quest’anno è stato una foto dello “stile” D’Alessandro & Galli: ha unito classici, come Eric Clapton e Lenny Kravitz, alla “attualità” di Geolier, Ed Sheeran, Calcutta, Tedua…
«Galli e io siamo malati di musica. Dei soldi non ce ne frega un cavolo: amiamo la musica e facciamo le cose che amiamo. Organizziamo poco negli stadi perché non ci piacciono, e piuttosto cerchiamo location speciali, da Pompei a Caracalla alle Mura di Lucca… Poi scegliamo artisti veri, andando in giro per il mondo. Noi ci becchiamo tutte le emozioni che poi daremo al pubblico, e niente regala più emozioni della musica, l’unica cosa al mondo che unisce sempre. Amore, famiglia, sport, politica: tutto può dividere. Meno che la musica».

Da ragazzino lei voleva fare il cantante…
«Io sono nato a Napoli, e a Napoli o fai il musicista o fai il cantante. Io però non facevo bene nessuna delle due cose, e per rimanere nella musica ho fatto il manager, il produttore, il promoter… Tutto purché fosse musica. Poi ho “studiato” a una scuola veramente altissima: ho lavorato alla Bussola di Sergio Bernardini, il mio grande maestro. Anni meravigliosi, dove c’era un contatto diretto con gli artisti. Ci si confrontava, si parlava, si litigava, si mangiava insieme… Oggi ci sono centomila filtri e io lo trovo abbastanza orribile. Un tempo si facevano contratti di due, tre pagine; oggi sono documenti di sette, ottocento pagine, e se ti metti a leggerli non li firmi più… Ma poi che senso ha leggerli, se già sai che non puoi modificare nulla?».

Nel 1987 si incontrano D’Alessandro e Galli…
«Non abbiamo mai litigato. Alle volte discutiamo, certo, ma per cose stupide, per troppo amore per gli artisti… Non è facile trovare una società che duri 37 anni in armonia. E pensi che lui sta a Brescia e io in Versilia».

La distanza aiuta, no?
«Vero. Ma aiuta anche il fatto che siamo diversissimi in tutto: ci accomuna solo la passione per la musica».

Ci racconta una vostra discussione vivace?
«Sui Rolling Stones a Lucca. Per Galli era un concerto impossibile da organizzare, e allora mi sono incaponito. È andata a finire che abbiamo stalkerizzato gli Stones. Siamo andati con loro a Cuba e poi in Argentina, parlandoci finché non siamo riusciti a convincerli… E così, nel 2017, nel “No Filter Tour” tra capitali e metropoli europee come Barcellona, Amsterdam, Londra, c’era anche Lucca».

Qual è la richiesta più strana che le ha mai fatto un artista?
«Trent’anni fa potevo stranirmi; oggi no. Chi è in tournée (magari da un anno…) chiede solo cose legittime, perché possono servire a dare “sicurezza” psicologica. Mi ricordo, però, che per un concerto di Joe Cocker mi chiesero 700 chili di ghiaccio, e lì mi interrogai…».

Rimpiange un concerto mancato?
«No, ho avuto la fortuna di lavorare con i più grandi. Ho un tale amore per Stevie Wonder che mi dissi che se l’avessi portato a Lucca avrei chiuso col lavoro: lui è venuto, e io comunque sono ancora qui. Poi chiaramente c’è sempre qualcuno che ti manca: non ho mai lavorato con Bruce Springsteen e mi piacerebbe farlo, perché ho visto tanti suoi concerti».

Qual è la cosa più pesante del suo lavoro?
«La burocrazia stupida. Poi, però, vedi che il tuo progetto fa felici migliaia di persone e pensi che un po’ di merito, oltre all’artista, lo hai pure tu».

La canzone della vita?
«Tantissime! Io ascolto musica a 360 gradi. Da napoletano devo dire Peppino Di Capri (il primo concerto l’ho organizzato con lui: era più popolare dei Beatles!), Pino Daniele, Edoardo Bennato, perché sono cresciuto con loro. Poi c’è Stevie Wonder che mi fa piangere… Se però devo sperimentare un impianto stereo, allora scelgo la perfezione incredibile degli Eagles. Per Paul McCartney nel 1989 sono addirittura diventato vegetariano: dovevo farlo per poter lavorare con lui, che è vegano».

I concerti di Taylor Swift sono stati perfetti, e va bene. Ma c’è qualcosa che lei avrebbe aggiunto?
«Niente, se non un po’ di imperfezione».

Riporterete Taylor in Italia?
«Spero proprio di sì. Ma l’artista con cui io rilavorerei anche subito rimane il mio amatissimo Stevie Wonder».

Seguici