Edoardo Bennato: «Porto Napoli nel cuore perché è rock come me»

Il cantautore napoletano sta per iniziare un grande tour nei teatri e a Natale canterà per il Papa. «Ma resto un ragazzaccio di periferia» dice

Edoardo Bennato fotografato per Sorrisi lungo i 900 metri del pontile nord di Bagnoli, a Napoli  Credit: © Alessandro Garofalo Newfotosud
11 Ottobre 2018 alle 10:04

«Sono un infedele, una mina vagante. Caustico e incontrollabile». Edoardo Bennato, mito della musica italiana, in questa intervista promette di non fare sconti a nessuno. «Per primo a me stesso» dice. Il cantautore napoletano nella sua lunga carriera non ha mai smesso di provocare (e divertire). Quando il suo nome è in cartellone, il pubblico accorre: se lo contendono i festival di musica indipendenti e le piazze. «Edo» ha tenuto un concerto anche da noi, a Palazzo Mondadori, e ci ha fatto cantare e ballare come matti.

Magari qualcuno non sapeva a memoria i testi delle sue ultime canzoni. «Colpa delle radio che non le trasmettono» osserva lui. Ma brani come «Pronti a salpare» del 2015, sul dramma dei migranti, si sono rivelati profetici, attualissimi. «Mi ha appena chiamato il Vaticano: canterò “Pronti a salpare” al concerto di Natale» svela l’artista. Lui, che è stato il primo rocker italiano a riempire lo stadio di San Siro nel 1980, ora sta per iniziare un tour nelle grandi città italiane: Milano, Roma, Trieste, Catania, Bari e molte altre. E c’è da scommettere che i biglietti andranno a ruba.

• Vi piacerebbe vedere il concerto di Edoardo Bennato a Milano e poi andare a cena con lui?

Edoardo, le sue canzoni piacciono a tutti. Anche ai bambini. Ha visto i due piccoli artisti russi che si sono esibiti sulle note de «L’isola che non c’è» a «Tú sí que vales»? Anche all’estero conoscono il suo Peter Pan...
«Come no! Per questo mi piacerebbe portare la versione in inglese del musical a Broadway. L’ho già fatta in Oman, alla Royal Opera House di Muscat e la figlia del sultano è impazzita: vuole entrare nel cast! Intanto lo spettacolo torna in tanti teatri italiani (il 9 e 10 novembre a Forlì, dal 16 al 18 novembre a Torino e a seguire tante altre date, ndr). Peter Pan è una delle mie favole preferite, da sempre».

Gliela raccontava mamma Adele?
«Mia madre non mi leggeva fiabe, raccontava le storie della sua vita. Ha plasmato lei me e i miei fratelli, Eugenio e Giorgio. Aveva un asilo nido e sceglieva lei le maestre della sua scuola e quelle per noi. Voleva che studiassimo le lingue con la signora Tammaro, che nel nostro quartiere era un’istituzione. Ma lei non aveva più posto. Quindi finimmo per studiare musica tutti e tre».

Cosa sognava sua madre per lei?
«Che mi facessi una posizione. Ma quando Renato Carosone mi sentì cantare da ragazzino le disse: “Signo’, suo figlio è il mio erede”».

Lei voleva diventare un cantante?
«Io da ragazzo volevo fare l’architetto. Così sono emigrato a Milano dopo le superiori e ho preso la laurea al Politecnico».

«Progetta» mai le sue canzoni usando disegni, bozzetti?
«No, le creo usando un inglese-americano finto: “Uàn agàn ciuccilèng...” (ride). Se la metrica funziona, poi arrivano le parole vere».

Per la sua Napoli ne ha avute tante, di parole.
«Stanca, rassegnata, innocente, invasata, nuda, svergognata, tradita, dolce... (intona il brano «La mia città», ndr). Ho usato 55 aggettivi per descriverla. Un segno del destino: sono nato a Napoli, in viale Campi Flegrei 55, un numero che mi ha portato sempre fortuna. E, guarda caso, nella smorfia napoletana il 55 è la musica».

Cos’è per lei la sua città?
«Tutto. Io, al contrario di altri, da qui non me ne sono mai andato. Ci vivo, anche se non è sempre facile. Sa cosa mi piacerebbe? Scriverci un libro, una guida della mia Napoli rock».

Invece c’è una cosa che proprio non le piace?
«Quando mi chiamano “Maestro”. Io mi sento un principiante, un saltimbanco, sono un “pazzaglione”. E poi non mi piacciono gli schieramenti politici. Ogni tanto nelle facce del pubblico ai miei concerti leggo il dubbio: “Ma Bennato è di destra o di sinistra?”».

E la risposta qual è?
«Io non milito nei partiti, sono un militante del rock».

Lei è considerato da molti il nostro Bob Dylan.
«Prima di scoprire Bob Dylan, sono cresciuto ascoltando Paul Anka, Joe Damiano, Frankie Avalon. E Tony Renis: “Dimmi quando tu verrai, dimmi quando... quando... quando...”».

Miti italiani?
«All’epoca in Italia c’era Modugno, un monumento».

Oggi chi c’è?
«Morgan, che per me è un genio. Zucchero pure è bravo e mi piace molto anche Jovanotti».

Amici suoi?
«Piero Pelù. E Alex Britti: sono lo “zio” preferito di suo figlio Edoardino».

Ma lei ci va ai concerti degli altri?
«Sì, ultimamente ho apprezzato Lenny Kravitz. Io guardo i colleghi. Mi piace capire come si muovono, come impugnano la chitarra. Prendo ispirazione, studio».

Anche Sanremo è una scuola. Perché non ha mai partecipato in gara?
«Non ce n’è stato bisogno. Ho fatto la gavetta ai vari Castrocaro e “Vota la voce”».

Se glielo chiedesse Claudio Baglioni?
«Me l’aveva chiesto l’anno scorso, ma alla fine non ci siamo accordati».

Magari quest’anno ci riprova.
«Non credo. Ma Baglioni farà bene anche stavolta, è un artista molto amato».

C’è una canzone italiana che ama e che avrebbe voluto scrivere?
«“Una notte in Italia” di Ivano Fossati. Quella che fa: “È una notte in Italia che vedi, questo darsi da fare, questa musica leggera, così leggera che ci fa sognare...”. La musica leggera si chiama così perché fa evadere. Il rock invece fa emergere tensioni e contraddizioni e le trasforma in pulsazioni, vibrazioni, energia».

Come sarà il suo «Pinocchio & Company Tour 2018» nei teatri?
«Aspettatevi tante mazzate! Sfasceremo il palco (ride). I personaggi di Collodi, quelli dell’album “Burattino senza fili”, sono sempre attuali. Ho aggiunto quelli che mancavano quando lo incisi. Cioè Mastro Geppetto e Lucignolo che, già nel nome, ironicamente indica la luce, la via verso la perdizione: l’ho immaginato come un pr che porta i giovani ai rave party. Allo sbando. Sbandati tutti, sbandato io».

Più «Sbandato» o più «Rinnegato»? Sono titoli di canzoni sue, scelga.
«Mettiamola così: mi fingo sbandato e mi dichiaro rinnegato per conservare la stima di me stesso».

Che caos interiore...
«Anche casa mia è un vero caos, mi rispecchia. Un laboratorio: fogli e appunti dappertutto. Mia figlia Gaia mi prende in giro perché dormo in una stanza con il materasso sul pavimento».

Per terra?
«Sì, non riesco a dormire in alto, sui letti. Devo essere ancorato alla terra».

Sua figlia le assomiglia?
«Ha preso gli occhi azzurri da mio padre Carlo ed è “scandinava”, come mia moglie Silvana: biondissima».

È orgoglioso della sua bambina?
«“Ogni scarafuncella è bella a o’ pate suie” (ride). Ha 13 anni, parla benissimo l’inglese e le piacciono gli animali: ha una cagnolina che si chiama Zoe e un coniglietto, Batuffolo».

Sa che è un papà tenero?
«Tenero come il ripieno del calzone che piace a me: in pizzeria lo chiedo sempre bianco, puro, senza salsa».

Alla ricotta?
«No, io dentro ci voglio la provola!».

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