Fatti portare dalla mamma a vedere Gianni Morandi

Lui è un giornalista di Sorrisi. Sua madre l’ha cresciuto a “pane e Gianni”. Sono bolognesi. E hanno vissuto una serata speciale

Gianni Morandi con il nostro giornalista Enrico Casarini e la madre Rina
14 Novembre 2019 alle 09:35

Antefatto: sono i primi di ottobre e mi ritrovo in riunione con la direzione di Sorrisi, i famosi “capi”. Tutto è filato liscio. Poi il signor Precisino che è in me sente il dovere di comunicare che il 20 dicembre prenderò mezza giornata di ferie perché ho un impegno con mia madre.

Il direttore “approfondisce”: «E che cosa fate di bello?». Io, zelante: «Devo portarla a vedere il concerto di Gianni Morandi al teatro Duse. Per dei bolognesi come noi questi concerti sono un evento imperdibile». Potrei finirla qui e invece insisto: «Io da bambino cantavo tutto il giorno “Belinda” e “Scende la pioggia”: una vera educazione morandiana!».

• Gianni Morandi, al via "Stasera gioco in casa"

Qui c’è un attimo di silenzio. Ho visto un milione di film in cui qualcuno dice: «Questo silenzio non mi piace» ed è il segno che bisogna andarsene di corsa. Invece resto. E su di me scende il diluvio, altro che la pioggia! «Allora fatti portare dalla mamma a vedere Morandi!». In che senso? «Andate al primo concerto possibile e raccontategli di questa “educazione”, vediamo cosa ne pensa». Bene, sono di nuovo sotto esame e devo portare tutto il programma…

E allora eccoci, domenica 3 novembre al Duse, storica casa del teatro di prosa a Bologna. Ci aspetta il terzo dei 21 concerti che Morandi terrà qui (gli americani lo chiamano “concert residency”, in pratica una tournée in cui l’artista sta fermo nello stesso posto) fino al 26 gennaio. Forse anche oltre, visto che i biglietti volano via. La maratona ha un titolo inequivocabile, “Stasera gioco in casa”, e infatti mi accorgo che oggi ci sono Morandi, i due giovani musicisti che lo accompagnano (Alessandro Magri al pianoforte ed Elia Garutti alla chitarra), 997 vecchi amici di Gianni e, unici “estranei”, noi due: l’allievo e la maestra di “scuola morandiana”.

Il ragazzo di Monghidoro fila come un treno. Dopo il primo pezzo, “Stasera gioco in casa”, appunto, scritto da Paolo Antonacci (nipote di Gianni, figlio di Biagio e Marianna Morandi), il mio modello educativo tiene la scena per 44 canzoni. C’è di tutto: i successi di sempre; Lucio Dalla, Elvis Presley, Nino Rota e Sergio Endrigo; brandelli di “orrori” come “Meglio il madison” e “La befana trullallà” cantati con affetto sincero; i duetti “In amore” e “Grazie perché” che verranno cantati ogni volta da una voce femminile diversa, meglio se esordiente (oggi tocca a quella pazzesca di Eleonora che viene da Dosso di Cento, un borgo di 200 abitanti tra Bologna e Ferrara). Poi cento saluti, cento battute, un po’ di dialetto, tanti aneddoti e una cortese richiesta: «Se volete fare le foto con i cellulari, portate pazienza che poi vi do io il via». La promessa è mantenuta a cinque canzoni dal termine.

Dopo due ore e mezza si chiude il sipario. Sta arrivando il momento del mio esame. C’è giusto da pazientare ancora un poco: «Eh, Gianni si deve riposare». Non posso neanche “ripassare”, perché il riposo del “maratoneta” dura appena dieci minuti. Io e mia mamma saliamo sul palcoscenico e sediamo sul divano che fa da scenografia per il concerto. C’è un curioso effetto “salotto di casa”. Intorno a noi girano decine di persone che Morandi saluta, una per una, con la cordialità che hai con chi vedi un giorno sì e l’altro pure. E finalmente tocca a noi.

L’approccio mi mette subito a mio agio: «Oh, Aldo Vitali s’inventa certe cose che…» dice serio il “professore” «prima quella copertina con la corona e adesso questo». L’evocazione del direttore di Sorrisi mi dà quel tanto di “coraggio” che serve a scaricare ogni colpa su mia madre: «Mamma, perché da bambino mi facevi ascoltare sempre Morandi? È ora di confessare!». Mia madre Rina, infinitamente più tranquilla di me, in due secondi diventa la novecentonovantottesima “vecchia amica” di Gianni, e risponde: «Perché è un esempio di serietà, di impegno. Guarda dov’è arrivato! E poi ha l’animo del montanaro, come me. Sa che bisogna imparare a non lamentarsi quando hai perfino l’acqua calda in casa».

Morandi annuisce: «È vero, non ci si lamenta quando sai che puoi avere un brodo caldo! Ma, Rina, ti piacevano anche le canzoni?». Lei, colloquiale: «Beh, moltissimo. Pensa che quando ho conosciuto mio marito, io 16 anni e lui 19, ci vedevamo al bar della signora Nora a Castel d’Aiano dove io andavo a prendere il latte con la bottiglia. Non ti dico quando pochi anni dopo ho sentito la canzone…».

A questo punto sono al tappeto. È possibile che Franco Migliacci, il genio di “Nel blu dipinto di blu”, abbia scritto “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte” ricordandosi di una qualche visita sull’Appennino bolognese? Morandi ci riporta sulla terra: «Ma sono stato anche molto fortunato, sai Rina? Sono arrivato a Roma nel 1962 e alla Rca ho trovato Migliacci e due premi Oscar, Ennio Morricone e Luis Bacalov. Con le canzoni che hanno scritto non facevo nessuna fatica. Nessuno con un po’ di talento avrebbe fatto fatica. Io non so se ce l’avevo, secondo me ero un po’ un dilettante allo sbaraglio e loro mi hanno raddrizzato. Hanno trovato questo “montanarino” forse simpatico, forse comunicativo, e hanno giocato su quello».

È il momento giusto per intromettermi e porre ordine nella chiacchierata: «Morandi, lei sapeva di essere così ascoltato nelle famiglie?» chiedo. «Me ne sto accorgendo adesso» dice lui. «Questi concerti vogliono proprio raccontare un momento di storia che abbiamo vissuto insieme e che io, i miei coetanei e quelli che hanno qualche anno in meno ci ricordiamo. Non ho fatto niente di straordinario, sono passato attraverso quelle stagioni cantando canzoni che magari non t’immagini nemmeno che in quel momento qualcuno stia ascoltando mentre sta sognando qualcosa».

Vogliamo mettere nero su bianco le canzoni necessarie per una solida “educazione morandiana”? Gianni non esita un secondo: «Per la gente direi “Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte”, la canzone icona, quella che cantano tutti. È una canzone da adolescenti, ma “segna” una Italia. “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” è il pezzo del cambiamento, della presa di coscienza. E sicuramente “Uno su mille”. Poi c’è anche “In ginocchio da te”, il successo più grande, e “La fisarmonica”, “Scende la pioggia”… Secondo molti però, per esempio Baglioni e Fossati, la mia canzone più bella è “Se non avessi più te”». E i suoi mitici “musicarelli”? Visto il successo de “L’isola di Pietro” sono stati un’esperienza utile? «Quando capita li guardo… Ma ogni volta mi sembra di vedere un altro. Sono proprio cambiato. Forse è rimasto lo spirito, ma sono successe tante di quelle cose in questi 50 anni…».

Come colpo di scena finale estraggo i miei libri di testo, pardon i miei due 45 giri del cuore, “Scende la pioggia” e “Belinda”. E da signor Precisino devo commentare: «Mi è un po’ dispiaciuto quando ha cantato “Belinda” nel medley delle canzoni che lei ha definito bruttine…». Un attimo di silenzio, un sorriso: «Ma no, dai, era una canzoncina, è vero, però piace sempre!». Il mio programma di studi era giusto, l’esame è passato. Il professor Morandi mi ha promosso. Mia mamma non ne aveva bisogno. Da anni è laureata in... Morandologia.

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