Kendrick Lamar a Milano: una terapia di gruppo a cielo aperto

Torna a Milano dopo 9 anni, in un attesissimo abbraccio tra il rapper e 24 mila persone

Kendrick Lamar  Credit: © Getty
24 Giugno 2022 alle 16:13

Alla vigilia aveva tutti i crismi dell'Evento ed Evento è stato il concerto italiano di Kendrick Lamar del 23 giugno a Milano: data unica in Europa, dove tornerà a ottobre. L'attesa era spasmodica, dopo la data romana saltata il 7 luglio 2020 causa Covid. Torna a Milano dopo 9 anni, prima volta dal vivo per le canzoni di “Mr. Morale & The Big Steppers”, finalmente, una superstar dell'hip hop sul nostro suolo.

Un artista che ha venduto oltre 70 milioni di dischi solo negli Stati Uniti, con tutti i suoi album certificati almeno disco di platino e tre di essi inclusi nell'elenco di “Rolling Stone” dei 500 migliori album di tutti i tempi. Premiato con 14 Grammy Awards, due American Music Awards, sei Billboard Music Awards, 11 MTV Video Music Awards, un Premio Pulitzer, un Brit Award e una nomination all'Oscar.

Il concerto, chicca del “Milano Summer Festival”, va in scena all’Ippodromo Snai e il rapper di Compton si presenta in abito di gala, vestito in “triple white”, circondato da danzatori che si muovono all'unisono. Niente gruppo (così come non c'è stato alcun opening act), niente dj, niente trucchi e niente inganni: solo il suo metro e 67 di energia e poesia pura sbattuto in faccia a 24 mila persone di età, etnia, nazionalità e colore diversi.

Molti arrivano dall'estero, come il rapper dell'Alabama Vy Moon e sua moglie che non riescono a capacitarsi di come tutti quegli italiani cantino a memoria i versi di Kendrick. E li cantano eccome! Lamar dice «Sing» e il pubblico lo segue per tutta l'ora e venti di spettacolo.

La sua entrata sembra un'apparizione, la sua camminata sul palco è energica, ma allo stesso tempo restituisce qualcosa di profondamente spirituale. Dietro di lui, un megaschermo distorce e fa a pezzi le immagini, come le canzoni, le rime, i suoi versi, frammentano la realtà e vi si incuneano alla ricerca di significati, risposte, molto più spesso altre domande. La poetica di Lamar è allo stesso tempo introspettiva e universale, una terapia di gruppo per chi ha voglia di comprendere.

Si parte con “United in Grief”, dal nuovo album, tanto per far capire che il motivo per cui siamo qui è che è tornato con un disco nuovo dopo cinque anni. Poi “m.A.A.d city”, “Money Trees”, "Backseat Freestyle, “The Art of Peer Pressure”, “Swimming Pools (Drank)”, “sputate” senza soluzione di continuità, certificano che su quel palco c'è davvero il Bob Dylan nero, l'uomo che ha ridato un senso profondo all'hip hop contemporaneo.

Quando canta “Poetic Justice”, omaggio affettivo al suo idolo Tupac Shakur, la folla dell'ippodromo è ormai ai suoi piedi e lui assesta il colpo di grazia con “Bitch, Don't Kill My Vibe”. Le canzoni si susseguono, le parole raccontano le sue paure e le sue angosce come giovane uomo afromaericano e i suoi fallimenti come uomo, come artista, come marito, che deve trovare l'equilibrio fra le responsabilità che il successo comporta e le tentazioni a cui esso espone chi lo vive.

La forza delle parole si fonde con i corpi di danzatrici, vestite di rosso, che sembrano uscite da “Black Panther” e i movimenti ritmici dei danzatori avvolgono Lamar. Il senso dello spettacolo non gli manca di certo ed è consapevole di saper fare il proprio lavoro.

Dopo la suggestiva “N95”, che ha inaugurato la sua nuova era, si accelera con “King Kunta”, “I”, “Alright” e “The Blacker The Berry”. Per chi del rap ama anche tecnica, è come assistere a un corso avanzato: solo il rapper e il suo pubblico, fusi in un abbraccio. C'è tempo anche per “Element”, “Loyalty” e “Love”, poi Lamar annuncia “Savior”, “la mia canzone preferita dell’ultimo disco”.

Prima dei saluti l'artista di Compton si lancia in una riflessione su come le persone siano tutte connesse fra loro. Le uniche parole che contano davvero sono “respect” e “love”, rispetto e amore. «Stasera, stando insieme a voi, mi sono sentito in mezzo alla mia gente», dice con un tono di voce che appare sincero, poi si lancia in una promessa: «We'll be back». Torneremo.

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