Lady Gaga, Joanne World Tour: la recensione del concerto

Il 18 gennaio 2018 è una data da ricordare. Abbiamo assistito a uno dei live più attesi dell'anno

19 Gennaio 2018 alle 02:42

Lady Gaga è tornata a casa. Il 18 gennaio 2018 Stefani Joanne Angelina «Ragazza Milano» Germanotta ha fatto di nuovo capolino al Mediolanum Forum di Assago, questa volta per il suo «Joanne World Tour». 

Ci ha fatto tremare la fibromialgia che l'ha tenuta bloccata per qualche tempo, rimandando la data del 26 settembre a oggi, quasi quattro mesi dopo. Eravamo tutti un po' impauriti innanzitutto per la sua salute e poi per un possibile annullamento del concerto.

La domanda alla quale risponderemo oggi è se è valsa la pena aspettare così tanto.

La proposta di questo tour è completamente in rotta con il passato: in apparenza niente circhi e niente Moire Orfei: la struttura è meno scenografica nel senso teatrale del termine e vira sull'impatto tecnologico. È un palco essenziale, il meno mastodontico della sua carriera. Sembra uno e invece sono tre. Visto dall'alto appare come un fiore che sboccia dal terreno. I tre palchi, uno più grande, gli altri più piccoli, sono collegati da passerelle che scendono all'occorrenza da "nuvole luminose".

Chi non ha mai visto Lady Gaga dal vivo, qui ha avuto tutto quello che aveva bisogno di vedere. La scaletta, generosa, accontenta tutti tranne chi ha amato «Artpop». È evidente la volontà di mostrare tutte le sue anime, imparando la lezione estremamente positiva del memorabile Super Bowl Halftime Show, ma anche quella del Coachella. Insomma, alla fine ha ascoltato il pubblico un'altra volta.

È infatti questo il motore che muove le sue nuove gambe, anche in questo concerto. Lady Gaga, partita ieri sera in ottava con «Diamond Heart», in realtà offre il suo meglio dopo la prima mezz'ora, in un crescendo dove le insicurezze iniziali si azzerano per dare spazio alla sua magnificenza. Il calore del pubblico cancella ogni santa volta le sue debolezze, donna imperfetta e magnificamente umana.

Chi si aspettava una performance influenzata dalla sua «rock/country mania» ha invece ritrovato un equilibrio bilanciato (a tratti confuso, ma chi se ne frega) tra l'eccentrica euforia del passato e la composta essenzialità del presente. 

Ogni passo mosso in questi anni dalla nostra è infatti diventato un culto: anche le coreografie proposte dal grande Richard Jackson sono le originali che lui stesso ha inventato. Anche quei gesti sono diventati a loro modo delle hit di successo. Lei non rinnega o tradisce il suo passato, anzi, lo celebra.

Ma adesso affrontiamo un tema delicato.

La nostra Lady Gaga secondo voi, ad un certo punto della parabola magnifica del primo grande successo, si stava smarrendo? Forse. Se è vera questa teoria, è anche vero che ha ritrovato se stessa nell'unico luogo dove gli asciugamani hanno un odore in cui ti riconosci: la casa di famiglia.

Quella ricerca di intimità trasposta in «Joanne» (un album che più lo ascolti, più è bello) non è solo concettuale o drammatica: è ciò che oggi ha permesso di togliere quello strato di "qualcosa" che ancora la divideva dal suo pubblico. Oggi, osservandola a pochi metri, sembrava di vedere un'amica.

Ma perché la conosciamo così bene?

È un rapporto strano quello ci lega a lei: ci ha fatto sognare, ogni tanto arrabbiare, a volte ci abbiamo pure litigato. Spesso ci ha semplicemente chiesto di non essere trattata come un cartone animato. Ha assecondato le sue esigenze perché aveva bisogno di non stare più male. Tolta ogni barriera, oggi si mostra per quello che è nella sua interezza. A figura intera. Nuda come non è mai stata finora.

Negli anni, in tanti non se ne sono accorti, lei ci ha portato in giro: dai territori comodi dell'eurodance fino al country, passando per il jazz, il rock e la tecno. L'abbiamo seguita dovunque, magari sbuffando un po'. «Mi comporto in maniera differente perché non so come ci si comporta sempre nello stesso modo» ha detto. Ecco perché è una delle poche artiste al mondo sulle quali la parola eclettica non stona. Il «Joanne World Tour» è il riassunto di chi può essere la nostra Dinner Bambina, senza eccezioni.

Mi ha colpito la geometria del palco e l'assenza di geometrie nella gestione degli spazi, la diversità dei ballerini che rappresentavano per etnia, altezza, età e canoni di bellezza, la più completa rosa di possibilità mai vista in un concerto (la curvy Caroline Diamond è stata clamorosa). Mi ha stretto il cuore quella lacrima che si è asciugata dal volto a riflettori spenti dopo aver cantato «Joanne».

Potrebbero arrivare camion pieni di cereali sottomarca da mangiare per gran parte delle stelle del pop internazionale che oggi dominano faticosamente le classifiche italiane, ma quell'affidabilità non verrebbe facilmente uguagliata. Nemmeno se domani dovesse realizzare un album di sigle dei cartoni animati giapponesi e lo comprassimo solo io e tu che mi stai leggendo. Sarebbe un altro fiore di cui vedremmo i frutti con il tempo.

Nel 2012, dopo aver visto il «Born This Way Tour» e se ci penso sono ancora un po' scosso, scrivevo: «Se togli tutte quelle sovrastrutture e quegli eccessi rimane il suo talento. Che basta e avanza». Detto, fatto.

Seguici