Sul Nove ci sono due concerti di “Autoritratto”, il tour con cui sta girando l’Italia. E si racconta a Sorrisi
Renato Zero non si ferma. Continua a portare la grande e buona magia della sua musica e della sua vita su e giù per l’Italia con il nuovo tour “Autoritratto I concerti evento”, partito in marzo e, tra oggi e novembre, destinato ad altre 18 serate in dieci città (si parte da Milano, dal 29 settembre al 2 ottobre, poi verranno Torino, Livorno, Bologna, Mantova…). Ad aprire questo autunno di emozioni, però, sono anche due prime serate sul Nove, il 29 e 30 settembre, in cui rivivremo il doppio concerto di Renato in giugno a Napoli, in quella meravigliosa piazza del Plebiscito dove Zero non si era ancora mai esibito…
Renato, qual è il momento del suo concerto in cui lei si sente più sé stesso?
«Non c’è un Renato più “debole” o un Renato più “convincente”. Prima di salire sul palcoscenico, in quella sorta di sagrestia che è il camerino avviene la trasformazione: lì si accende in me la consapevolezza di avere una responsabilità, di dover mantenere le mie promesse. Quando entro in scena sono coinvolto e non posso non dare quel che devo dare, per esperienza e per amore del pubblico».
A proposito di “responsabilità”, in questa tournée affida al coro un medley con alcuni dei suoi classici, come “Mi vendo”, “Triangolo”, “Baratto”… Perché cederli a loro?
«Se un ragazzo di 20 anni può ancora sfogare la sua felicità ascoltando quelle canzoni, vuol dire che sono rimaste intatte, e allora la scelta di far intervenire i ragazzi del coro mi pare doverosa: certe cose vanno consegnate ad altri, perché non nascono per essere “mie”, ma di tutto il pubblico».
Ci sarà però una canzone di cui si è stancato…
«L’unica pecca di certi brani è che hanno anticipato troppo i tempi. Quando ho scritto “Qualcuno mi renda l’anima” era il 1968; parlavo di pedofilia e la gente mi chiedeva perché cantavo di qualcosa che non esisteva. E invece sappiamo che questa “epidemia” era già in atto. A certe sensazioni, intuizioni, non si comanda».
In “Autoritratto”, l’album del 2023 che ha dato nome e idea alla tournée, c’è una canzone, “L’avventuriero”, in cui dice: «Ho sempre qualcosa da farmi perdonare». Cosa, per esempio?
«Penso di aver scosso coscienze che forse non volevano essere scosse, o per lo meno non così presto. Devo dire, però, che i miei sostenitori migliori sono quelli che hanno creduto in me per ultimi, che hanno ragionato su di me, mi hanno analizzato… Devo essere scelto con consapevolezza. Non mi devi scegliere perché sono strano oppure ho dei costumi luccicanti. L’anima mia è nuda, non ama essere agghindata, e nemmeno manomessa: deve essere libera».
Si è mai immaginato nato o vissuto lontano da Roma?
«Non posso pensarlo, perché mi sarebbe dispiaciuto tanto: da Roma ho ricevuto schiaffi e carezze del tipo migliore».
Abbozziamo un suo autoritratto in poche domande. Qual è il tratto più simpatico di Renato Zero?
«Il non cercare di essere simpatico a tutti i costi».
La cosa più deludente?
«Il fatto che non mi accetto a tutti i costi, che mi voglio sempre mettere in discussione. È deludente perché quando smonti un “modello” spiazzi tutti. Io invece mi smonto tutte le mattine e poi mi rimonto».
Il suo passatempo?
«Andare in giro per Roma, stare con la gente. Mi ricorda di quando ero bambino, in una Roma che non c’è più, in cui un bimbo riscuoteva più credito rispetto agli adulti, e io, furbo, approfittavo del fatto di essere molto gradevole. Una volta mi sono fatto prendere in braccio da Primo Carnera! Ho visto prima queste scarpe enormi, e poi queste mani che mi hanno sollevato come l’ascensore dell’Empire State Building: in un secondo ero su in alto… Ho guardato giù e ho visto questi occhi grandi che sapevano di tenerezza, di malinconia».
Cosa la infastidisce?
«Quando mi scattano le foto. Non riconosco la foto come ingrediente utile alla vita, né confortante. Quando penso a mia madre, per esempio, la vedo a colori, sorridente… Poi vedo sul comodino la sua foto e capisco che non c’è più… Alla mia anima non serve una “documentazione”: so bene come conservare le emozioni e gli episodi belli e brutti».