La rock band suonerà il 21 giugno all'Ippodromo Snai San Siro, nel corso del Milano Summer Festival
Un lungo periodo di stop, un disco poco glam e un viaggio introspettivo alla riscoperta delle origini: per i The Killers gli ultimi anni, un po’ come tanti altri colleghi, sono risultati iper produttivi e li hanno portati, con un flusso creativo quasi inaspettato, alla pubblicazione del loro settimo progetto discografico prima del ritorno in tour.
Dopo l’acclamato “Imploding the Mirage”, uscito nel 2020, Brandon Flowers, Ronnie Vannucci Jr. e Mark Stoermer hanno registrato e pubblicato, a distanza di un anno, anche “Pressure Machine” e la successiva riedizione deluxe (marzo 2022) con alcuni brani rielaborati e un film, "Notes From a Quiet Town", ambientato nella città natale del frontman della band.
Li abbiamo incontrati (virtualmente) per farci raccontare non solo il processo creativo dell’ultimo lavoro ma anche qualche dettaglio in più sul tour e su cosa dovremmo aspettarci dalla data italiana, l’unica nel nostro Paese, che sarà martedì 21 giugno al Milano Summer Festival.
Come è stato il vostro rientro dal vivo?
«Abbiamo suonato alcuni concerti in Messico e poi ci siamo esibiti a Las Vegas. Ovunque tu sia, in qualunque paese ti trovi, le persone sono pronte a tornare a condividere le emozioni e a celebrare il nostro ritorno».
Gli ultimi due album sono molto differenti tra loro, come avete costruito la scaletta?
«Se ”Imploding the Mirage” era il disco perfetto per essere suonato dal vivo, “Pressure Machine” non è stato scritto con quell’intenzione, lo vedrei bene in un teatro o in un piccolo locale, ma non in una grande location. Oltre ai successi del passato, stiamo costruendo lo show soprattutto su questo primo album e sarà bellissimo!».
Le canzoni che non possono mancare?
«Immagino "Mr. Brightside"...potrebbe essere! Ma anche “When you were young” o “Somebody told me”: credo sia importante ripagare il pubblico che acquista il biglietto con le canzoni che vorrebbe ascoltare».
L’ultimo disco ruota intorno all’infanzia di Brandon a Nephi, una piccola cittadina americana.
«È stato illuminante comprendere l’impatto che la città ha avuto su di me, sono stato lì per cinque anni e ho evitato di tornarci per molto tempo. Non avevo mai pensato fosse qualcosa di cui avrei scritto realmente: una volta tornato in quei luoghi, ho scoperto personaggi e storie che hanno avuto un'influenza profonda su di me. È stato come scrivere un primo album, mi ero portato dietro tutto questo e avevo tante cose da dire».
A proposito di “Pressure Machine”, a marzo ne è uscita una riedizione deluxe.
«Avevamo già diverse versioni di alcuni brani e abbiamo pensato fosse interessante far vedere alle persone cosa succede in studio e quanto, una canzone, possa avere innumerevoli sfaccettature sonore. Mi sembrava stessimo facendo qualcosa di nuovo, ci siamo divertiti anche se il lavoro è stato tanto».
Cosa vi aspetta dopo questo periodo di live?
«Abbiamo già iniziato a scrivere qualcosa, stiamo masterizzando alcuni brani in studio con Stuart Price e Shawn Everett. Chissà, speriamo di aver pronto anche un singolo per l’estate».