Umberto Tozzi festeggia i 70 anni con “Gloria forever” il suo tour estivo

Nella sua carriera ha venduto oltre 80 milioni di dischi e continua ad appassionare il pubblico con i suoi successi intramontabili

26 Luglio 2022 alle 08:26

Nella sua carriera ha venduto oltre 80 milioni di dischi ed è uno degli artisti italiani più conosciuti all’estero: Umberto Tozzi continua ad appassionare il pubblico con i suoi successi intramontabili. E ora, in occasione dei suoi 70 anni, il cantautore torinese si regala (ma è soprattutto un dono che fa ai suoi fan) “Gloria forever”, un tour estivo dal vivo in tutta Italia. Poi, a fine autunno, sarà in concerto anche nei principali teatri del Paese. E sono già tante le date previste all’estero. «Ora sì che sto bene. Ho appena fatto il Covid e non vedo l’ora di tornare sul palco» ci dice.

Sarà impegnato d’estate e d’inverno, in Italia e all’estero. Ma quanta energia, Umberto…
«Sì, c’è tanto entusiasmo. Ma io, per come ho vissuto la mia vita, me ne sento il doppio (sorride). E sono anche fortunato perché non avrei mai pensato di mettere in piedi un repertorio che potesse essere cantato 40 anni dopo. Ho assorbito molto i Beatles, ecco perché per molti miei brani ho adoperato metriche musicali molto vicine alla cultura inglese. ¬E non mi stanco mai di cantarli».

“Gloria” è stata utilizzata come colonna sonora in film come “Flashdance”, “The wolf of Wall Street”, “Tonya”, “Gloria Bell”... E pensare che, all’inizio, dicevano che lei faceva solo canzonette…
«Come artista sono nato negli anni in cui venivi preso in considerazione nella musica soltanto se eri Fabrizio De André o Francesco De Gregori, e se non riuscivi a sfondare quel muro eri tagliato fuori. A quell’epoca i critici, ogni anno, prendevano di mira un artista e lo distruggevano. Per un po’ mi ha dato fastidio, ma da un certo punto in poi me ne sono fregato perché a 26 anni ero il numero uno in Europa».

E meno male che non ha fatto il calciatore, che era il suo sogno. Altrimenti avrebbe dovuto smettere di lavorare molto prima…
«(Sorride). È vero e devo ringraziare mio padre che mi proibì di andare a Coverciano dove ero stato convocato per poter essere valutato da tecnici e allenatori. Per ribellione, e per non assecondare le sue richieste, cominciai a suonare».

Suo padre cosa sognava per lei?
«Dopo essere stato una guardia notturna per 23 anni, a Torino con un freddo polare, negli ultimi otto anni papà era riuscito a ottenere un impiego in banca. Voleva anche per me il “posto fisso” e mi diceva che da artista avrei fatto la fame».

“Gloria”, “Ti amo”, “Tu”, sono canzoni rimaste in classifica per mesi e ancora oggi vengono cantate. I brani di oggi durano poco in testa. Perché?
«Oggi non c’è originalità vocale né creativa. Ai miei tempi uscivi con un singolo o con un album solo se avevi personalità, altrimenti nemmeno te lo facevano registrare. Oggi non canta più nessuno. Parlano… Sinceramente non mi emoziono per quello che sento. Unica eccezione, quando ascolto i Coldplay o Sting. Anche i Måneskin si vestono molto bene, ma canzoni forti io non ne ho sentite, per quello che è il mio gusto. Mi auguro che riescano a scrivere pezzi in grado di lasciare il segno. Il genere che propongono io lo facevo a 16 anni. Hanno talento, sono bei ragazzi, ma devono continuare a dimostrare il loro valore».

Lei ha creato il cosiddetto “tappeto sonoro” sovrapponendo le voci, una tecnica che è stata ripresa da molti artisti italiani. Glielo riconoscono?
«No, nessuno, ma non me ne frega niente. Il mio scopo è emozionare chi mi ascolta. A me piace solo cantare, tutto il resto è noia».

Lei ha vissuto tante fasi: il successo, l’abbandono della grande ribalta e poi, per fortuna, la risalita. Oggi qual è il suo equilibrio?
«Ho la fortuna di avere vicino una moglie (Monica Michielotto, ndr) che è una grande donna. È l’unica persona ad avermi dato stabilità e logica».

È per questo motivo che l’ha sposata quattro volte?
«(Sorride). Il primo matrimonio è stato celebrato nel 1995 in municipio, successivamente in chiesa. Poi ci siamo sposati a Mauritius e il quarto matrimonio è stato celebrato a Monte Carlo, dove viviamo con la nostra famiglia. È un modo per dare amore ma anche per premiare chi mi ha dato equilibrio».

Che cosa canta a sua moglie?
«Niente, ma le faccio ascoltare quello che scrivo e mi fido del suo giudizio. Lei è molto schietta, così come mio figlio Gianluca che gestisce da 15 anni le mie produzioni. Sono loro due a spingermi a fare le cose anche a costo di litigare quando non ne ho voglia».

Lei vive a Monte Carlo da trent’anni. Perché proprio lì?
«Io e Monica abitavamo a Roma e quando Gianluca aveva 6 anni e Natasha 3 abbiamo deciso di trasferirci a Monte Carlo. Avevo lavorato in questa città e ce ne eravamo innamorati. Ora non vivrei mai in una metropoli, perché soffocherei».

Avrà accumulato una fortuna... Che ricordi ha di quell’Umberto che, a inizio carriera, aveva pochi soldi?
«A casa mia il filetto non esisteva: l’ho scoperto solo a 18 anni nei ristoranti dove mangiavo con i primi soldi che guadagnavo suonando. Pur non avendo una lira, non ho mai provato invidia nei riguardi di quegli amici che avevano belle case e macchinoni. L’invidia è un sentimento inutile. Non diventi grande soltanto grazie ai soldi e al potere».

Oggi dove trova l’ispirazione per scrivere le sue canzoni?
«Mi basta un angolino. Non ho bisogno di grandi panorami o di case particolari. Meglio uno spazio piccolo stile “Silvio Pellico” che un ampio locale. Ogni tanto, quando ho voglia e mi sento ispirato, vado nella cameretta dove ho i miei quattro strumenti e provo a inventare qualcosa. Il più delle volte viene roba brutta ma almeno mi svago (sorride)».

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