Diodato: «E ora con la musica vi voglio portare al mare»

Il 16 maggio ha cantato "Fai rumore" in una Arena di Verona deserta, facendo emozionare il pubblico di tutto il mondo

Antonio Diodato all'Arena di Verona
4 Giugno 2020 alle 17:04

L’aria immobile, l’atmosfera sospesa. L’Arena di Verona è vuota, nella sua magnificenza, e immersa nel buio della notte. Il silenzio è interrotto solo dall’eco dei passi di Diodato, che sale sul palco e si avvicina al microfono. Partono le note di “Fai rumore”, Diodato attacca a cantare ed è subito magia.

La musica della canzone che ha vinto Sanremo e che è entrata nel cuore delle persone riempie lo spazio vuoto dell’Arena e dà il via a uno spettacolo suggestivo di luci che la rendono viva. E tutta questa bellezza varca i confini e arriva negli oltre 40 Paesi collegati, il 16 maggio, per vedere la serata speciale “Europe shine a light”.

Antonio, il suo rumore è arrivato lontano... fino in Australia.
«È vero (sorride). Sa che a un certo punto ho smesso di leggere i messaggi che arrivavano sotto al video di quella esibizione? Un’ondata continua di amore da tutto il mondo... quasi non riesco a rendermene conto. Ne sono travolto e ho la pelle d’oca ancora adesso a parlarne».
Le persone cantavano “Fai rumore” sui balconi durante il lockdown.
«E tutto questo ha dato alla canzone un’altra profondità. Quando scrivi un brano pensi che poi potrebbe fare parte della vita di qualcun altro, ma immaginare un percorso di questo tipo era impossibile, è accaduto qualcosa di straordinario con “Fai rumore”. Ti vergogni quasi a dire che quella canzone è tua, hai paura di sentirti indelicato».


Uscendo dalla metafora, quale rumore le piace di più?
«Il boato del pubblico quando sali sul palco per un concerto: la gente che urla, che ti abbraccia e ti dice: “Siamo qui!”. È una delle cose che mi mancano di più in questo momento. E proprio quel boato è stato uno dei rumori che mi ha convinto a fare musica a 18 anni».
Come è andata?
«A scuola, alle superiori, avevo una band. Un giorno la preside ci chiese se potevamo suonare in palestra in occasione dell’assegnazione dei diplomi di inglese. C’erano i ragazzi di tutte le scuole di Taranto, un migliaio di persone. Entrammo in palestra con gli strumenti. I professori erano seduti davanti all’ingresso, lo spazio era ristretto e il bassista entrò alzando il basso per non urtare il professore davanti a lui. Questo gesto è stato frainteso, sembrava un incitamento, un “siamo arrivati!”. È esploso l’entusiasmo del pubblico proprio nel momento in cui, subito dopo, stavo entrando io, sembrava che il boato fosse per me. Allora ho pensato: “Io nella vita voglio fare questo!”. È stata una folgorazione. E non finì lì».
Cosa è successo poi?
«Ricordo che cantai “One” degli U2 come primo pezzo. Attaccai: “Is it getting better…” con il mio inglese da 4 in pagella. La professoressa di inglese era in prima fila. Il giorno dopo entrò in aula e mi disse: “Bravo Diodato, la pronuncia non era male”. Da quel giorno il 4 è diventato 7. E ho capito che la musica mi avrebbe salvato la vita (ride)».
Torniamo a oggi: è appena uscito il suo singolo “Un’altra estate”.
«Posso dire che è nato da un altro rumore che amo tantissimo: quello del mare. Ho avuto la sensazione di sentirlo parecchie volte qui a Milano in questi mesi. Può far ridere ma è così. Aprivo la finestra e c’era quel silenzio che di solito appartiene ai luoghi di villeggiatura la mattina presto. E ho avuto la sensazione di stare al mare».


È partito da lì?
«Sì. E dalla considerazione di quanto fossero speciali le cose che prima ritenevamo banali, come poter andare al mare. Tutti noi abbiamo sofferto, alcuni di più perché hanno perso i propri cari, ma ho pensato che nei momenti difficili che ho vissuto il mare mi ha sempre aiutato. La cosa strana è che solo un anno fa non avrei mai scritto un ritornello così: “E ce ne andiamo al mare…”, l’avrei considerato banale, invece ora credo che delle parole così semplici siano legate a questo periodo storico. C’è bisogno di leggerezza. Ma non volevo la canzoncina estiva spensierata, volevo un brano che contenesse consapevolezza del periodo che abbiamo vissuto e dell’inverno dell’anima che stiamo vivendo».
È il suo anno: con “Che vita meravigliosa” ha vinto anche il David come Migliore canzone originale per il film “La dea fortuna”.
«E io lo sto ancora aspettando (ride). E sto aspettando pure il Telegatto che il direttore di Sorrisi mi ha promesso! Ci tengo tanto e penso proprio di essermelo meritato quest’anno, no?».
Avrà un bell’affollamento di premi a casa.
«Già. Avrò molto da spolverare... (ride)».

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