I 60 anni di carriera di Gino Paoli in “Appunti di un lungo viaggio”

Il cantautore genovese torna alla musica con un album pieno di “chicche” e si racconta a Sorrisi: «Appunti di un lungo viaggio celebra i 60 anni della mia carriera. Per questo ho voluto dargli una forma originale»

Gino Paoli è nato il 23 settembre 1934 a Monfalcone (GO). Sarà protagonista di tre eventi dal vivo: il 12 maggio a Roma, il 13 luglio a Perugia e il 18 luglio a Genova  Credit: © Pigi Cipelli
18 Aprile 2019 alle 15:25

A 84 anni, con gli occhi celesti ora spalancati sul mondo, ora socchiusi come quelli di un gatto, Gino Paoli siede nel suo studio che si affaccia su una terrazza da cui ammiri tutto il Golfo di Genova. Il mare c’è sempre, nelle sue canzoni e nella sua vita («Mio zio era un campione di nuoto, io ancora gattonavo quando sono entrato in acqua dietro di lui e buonanotte»).

Vive arroccato su una verde collina costellata di glicini e mimose in fiore, è qui il suo rifugio, con moglie, figli, nipoti, due cani, due gatti, pianoforti, chitarre, quadri, libri, bonsai. Fuma sempre («Ogni tanto ho l’abbassamento di voce, ma non per le sigarette»), scrive, compone, guarda il mare. Il 19 aprile esce “Appunti di un lungo viaggio”, un doppio cd con 13 suoi classici riarrangiati in chiave jazz, un brano inedito (“I ricordi”) e, soprattutto, quattro particolarissime “composizioni” dedicate alle stagioni.


https://youtu.be/NUXPAmymMdk

Paoli, con questo album celebra 60 anni di musica. Un bel viaggio.
«Direi di sì».

È stanco?
«No, anche se non mi piace viaggiare. Mi muovevo perché dovevo andare a lavorare, solo per quello. Mia moglie, invece, sarebbe sempre in giro. Le dico spesso: “Io ero nato per fare il casalingo e tu per fare la cantante”. Io odio i viaggi».

Però li ha fatti. Un posto che le è piaciuto?
«Il Messico. La prima volta che ci sono andato ho visto solo l’albergo e la televisione, poi ci sono tornato con mia moglie, al Festival di Acapulco, e ho visto mezzo Messico. Ma preferirei che fosse qui, al posto di Camogli».

Come è nato questo nuovo progetto?
«L’artista in generale è un trasgressore, tant’è vero che Platone nell’“Utopia” dice che l’artista è inutile perché lì non c’è nulla da trasgredire».

Quindi cosa bisogna fare per trasgredire?
«Nel mondo attuale non ci sono più i limiti, li hanno buttati giù non gli artisti, i poeti, gli scienziati, ma gli imbecilli. Non c’è niente da trasgredire se non te stesso, la tua maniera di esprimerti. Per me è prendere la forma canzone, disfarla e usare in un’altra maniera note e parole».

Così ha fatto quattro “non-canzoni” dedicate alle stagioni.
«Mi sono ispirato a una sorta di “essenzialismo”. Non c’è uno schema canzone. Canto, e quando ho detto quello che devo dire mi fermo. Infatti le ho chiamate “canzoni interrotte”».

L’album, invece, lo ha chiamato “Appunti di un lungo viaggio”.
«Non sono uno che prende appunti. È una sorta di individuazione di ricordi, di nostalgie, di melanconie, cose che vengono da tutti gli anni passati».

A che punto è del viaggio?
«Sono nel viaggio. Non credo che ci sia un inizio e una fine. Dentro ogni fine c’è un inizio e dentro ogni inizio c’è una fine. Non ho mai pensato a una retta, qualcosa che parte da un punto e arriva in un altro, ma a un fiume, qualcosa che scorre».

A scorrere le cronache la sua vita è stata un viaggio piuttosto avventuroso.
«Già, non mi son fatto scappare niente. Picasso, che era un mascalzone, diceva: “Gli artisti cercano, io invece trovo”. Era una boutade, è morto cercando. L’artista cerca risposte e si rende conto che le risposte a ogni domanda sono altre domande. Arrivi a una certa saggezza quando capisci che la risposta “vera” è un equivoco, una truffa».

Eppure lei cantava che con “quattro amici al bar” volevate cambiare il mondo.
«Era una parafrasi. Dei quattro ne resta uno solo e poi ne arrivano altri quattro, è il susseguirsi della gioventù. I giovani sono dell’idea che il mondo non vada e occorra cambiarlo, poi la vita ti porta a fare altre cose, il bancario, il padre di famiglia...».

Le è passata la voglia di cambiare il mondo?
«Ti rendi conto che è difficile. Il mio amico Beppe Grillo ha cercato di farlo un po’ in ritardo, a 60 anni, e ora si rende conto che non ci si riesce».

Come mai non ha scritto un pezzo per Genova dopo la tragedia del ponte Morandi?
«Quanto è successo era troppo tragico, sono cose quasi private, uno di Genova è come ferito, è una cosa tua e non hai voglia di raccontarla. Noi genovesi siamo “rusteghi”, “refiosi”, non siamo espansivi. Poi il Comune e la Regione hanno fatto quello che dovevano fare».

Invece, tra i pezzi inediti del nuovo album ce n’è uno dedicato a “I ricordi”.
«I ricordi non sono quello che effettivamente è successo, li ricostruiamo come vogliamo. Per essere felici. Il ricordo filtrato attraverso il tempo diventa piacevole».

Qual è il primo ricordo della sua vita?
«Avevo sei anni quando è cominciata la guerra, prima non ricordo nulla, ero troppo piccolo, e la guerra non è un gran bel ricordo, anzi è un ricordo drammatico. Quando è finita avevo 11 anni e il dopoguerra è stato peggio, un periodo non felice».

Il primo ricordo felice?
«I miei genitori. Si amavano molto, erano immersi nell’amore».

Per questo ha sempre cantato l’amore?
«Probabilmente. Mio papà e mia mamma erano dipendenti l’uno dall’altro; due persone diversissime tra loro, mio padre era figlio di un operaio della Magona di Piombino, mia madre figlia di un mediatore che poi è diventato sindaco di Monfalcone».

C’è un ricordo che le torna spesso in mente?
«Quando perdi una persona i primi giorni è sempre presente, poi pian pianino si appanna. I ricordi sono così. Dei miei amici attacco le foto alle pareti, per ricordarli. Lì c’è Arnaldo Bagnasco, il mio amico più caro, e Bruno Lauzi, Luigi Tenco, un po’ tutti. A 84 anni, diversi sono andati via prima di me».

Farà altri album?
«Non lo so, io vivo l’oggi».

Com’è oggi Gino Paoli?
«È difficile farmi dire qualcosa che non penso. In uno degli “Appunti” ho scritto: “Se una volta saranno tutti d’accordo con me vorrà dire che ho scritto qualcosa di sbagliato”».

Che musica ascolta?
«Quelli che mi piacciono. Nat King Cole, Billie Holiday, Ray Charles, Rachmaninov, Ciaikovskij, Puccini, i sudamericani come Cuco Sanchez».

Perché ama tanto il jazz?
«Il jazz è sempre stato nella mia vita, è invenzione, è non stare a degli schemi. Da bambino scambiavo i pomodori del giardino con i dischi di Luis Armstrong, me li davano gli americani posteggiati con i carri armati davanti a casa, a Pegli».

Con che musica è cresciuto?
«All’inizio suonavo la batteria in un gruppo rock, Bruno (Lauzi, ndr)  era al basso, un basso piccolo che si chiamava “bassetto”, su quello grande lui non ci arrivava. Il rock esprimeva esattamente quello che sentivamo nel dopoguerra. Un giorno io e Luigi (Tenco) eravamo al cinema, il film era “Il seme della violenza”, lo schermo tutto nero e a un tratto parte il rock. Siamo rimasti fulminati».

Ascolta il rap, il trap, la musica moderna?
«Mi sembra in qualche maniera finta. I ragazzi non mettono la cintura ai pantaloni e non allacciano le scarpe, in America lo fanno perché ti tolgono le stringhe e la cintura se vai in galera. Ma a Milano che senso ha? O parlare di cose tragiche se non le hai vissute? Se le racconti per fare la canzone che venda, non dico che sia sbagliato, però non me ne frega nulla».

Con quali colleghi è in contatto?
«Non ho rapporti con altri, a parte Ricky (Gianco). La Vanoni è di famiglia, un giorno sì e un giorno no chiama mia moglie e fanno grandi chiacchierate. Mina non la sento da anni. A volte sento Tony Renis. Adriano (Celentano) l’ho visto l’anno scorso da Beppe (Grillo), ma anche lui vorrebbe solo stare a casa a trafficare con gli orologi».

Come passa le giornate?
«Leggo, lavoro, ogni tanto vado al piano, suono un po’, inseguo qualcosa, l’emozione è qualcosa che ti sfugge e tu la insegui. Poi mi vengono le manie».

Quali manie?
«Negli ultimi due mesi ho avuto la mania di una sedia a dondolo. Cerca cerca, l’ho trovata da una vecchietta che la vendeva. Ce l’ho qui sul terrazzo, mi piace anche solo guardarla».

Le canzoni di “Appunti di un lungo viaggio”

“Appunti di un lungo viaggio” è un doppio cd che celebra i 60 anni di carriera di Gino Paoli. Il primo cd, intitolato “Canzoni interrotte”, contiene quattro composizioni arrangiate
dal pianista Danilo Rea e intitolate alle stagioni (“Estate“, “Inverno“, “Primavera“, “Autunno“). Il secondo cd raccoglie 13 successi di Paoli rivisitati in chiave jazz, più un brano inedito, “I ricordi”.

CD 1 – CANZONI INTERROTTE
1. Estate
2. Inverno
3. Primavera
4. Autunno

CD 2 – I RICORDI
1. Che cosa c’è
2. Sassi
3. Il mare, il cielo, un uomo
4. Sapore di sale
5. Questione di sopravvivenza
6. La gatta
7. Ritornerai
8. Fingere di te
9. Senza fine
10. In un caffè
11. Una lunga storia d’amore
12. I ricordi
13. Il cielo in una stanza
14. Ti lascio una canzone

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