Alessio Bernabei per l’album «Senza Filtri»: «Ho bruciato le tappe ma adesso decido io»

L'intervista per il suo nuovo Ep. L'artista, per Sorrisi, si racconta a cuore aperto

7 Settembre 2018 alle 11:15

Alessio Bernabei ha festeggiato il 4 settembre i suoi primi 26 anni. In questi giorni, la sua carriera solista dopo i Dear Jack, si arricchisce non solo di un anno d'età, ma di un nuovo capitolo discografico. «Senza filtri», nei negozi dal 7 settembre 2018, ha tutta l'aria di un disco di rivoluzione, alla ricerca di un cambiamento netto, come quel ciuffo che questa estate si è tagliato, anche se non ha resistito molto senza.

Alessio, lo dice da molti anni, vuole che il pubblico veda al di là del suo volto e probabilmente al di là del suo passato. Questo progetto, di fatto, è un Ep di sole sei canzoni molto distante dai suoni rock dei suoi inizi e dal mondo ballabile e divertente in cui si è tuffato negli ultimi anni con «Noi siamo infinito» e «Nel mezzo di un applauso». «Per me "Senza filtri" è come un album, non avevo altro da dire ora e ho in progetto di pubblicare più in là una seconda parte» dice. I nuovi brani quindi, non sono già pronti ma in lavorazione. Destinazione Sanremo? Chissà.

«Non rinnego nulla del mio passato» spiega, ribadendo che non ha nessuna intenzione di mettersi alle spalle i punti più alti e nemmeno quelli meno alti della sua carriera recente «però cercavo maggiore autonomia e mi è stata data. I brani sono miei e di Alessandro Gemelli». Il produttore di Alessio in arte si chiama Blasterz ed è un nome piuttosto noto nell'ambiente progressive e house. Queste influenze elettroniche di «Senza filtri», declinate al pop, si sentono molto vive nei meandri del disco.

Il punto di forza di «Senza filtri» è una proposta di suoni stuzzicante e un approccio ai testi più personale e vicino al mondo di Alessio. Quello che canta oggi, è quello che Bernabei è adesso. Se non avete ancora ascoltato tutto il disco, concentratevi su «Messi e Ronaldo». Al di là della metafora calcistica, è un brano simbolico che oltre a «Ti ricordi di me?», spiega bene il suo nuovo corso.


Da quasi un anno, l'artista si è trasferito a Milano. «È il mio primo salto alla vita da adulto, vivevo con i miei nella provincia e questo arrivo mi permette di gestire un mio progetto di vita personale. Fare le lavatrici, la spesa, gestire tutta la mia vita è un passaggio di autonomia di cui sentivo forte il bisogno». Questo nuovo capitolo di vita e un bellissimo viaggio a New York hanno influenzato questo album, che seguendo le sue parole, «si respira quel mondo urbano che ricercavo».

I suoi riferimenti musicali sono sempre gli stessi: «Se guardo a dei miti da raggiungere, voglio che siano assoluti. Quindi penso a Vasco, Eros Ramazzotti, Tiziano Ferro, per fare degli esempi, artisti che hanno un posto importante nella musica e nessuno glielo toglierà». In effetti il «posto fisso» è uno dei sogni e dei grandi incubi di chi fa musica. Non solo di chi fa musica.

Quel miraggio sembrava vero agli esordi, quando cantava con i Dear Jack.

«Se devo parlare da sognatore, quel periodo mi manca» dice «mancherebbe a tutti perché facevamo sold out ovunque, eravamo gli artisti del momento, in prima linea». Con il tempo ha visto che l'«effetto talent», come sempre accade, a volte si spegne. «Eravamo alla moda e quell'esposizione e quella forza va coltivata a lungo, altrimenti succede quello che succede a tutti. Passata la moda in tanti se ne vanno e rimane lo zoccolo duro. È il destino di chiunque abbia bruciato le tappe, come abbiamo fatto noi in quel periodo».

E adesso? «Adesso ci si rimbocca le maniche partendo con un grosso bagaglio, ma dal basso, sapendo come tutti che nella musica c'è chi ce la fa e chi no. Mi impegnerò al massimo perché questo sogno continui il più a lungo possibile». 

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