La band canadese è pronta all'uscita del nuovo disco. «Il segreto del nostro successo? La calma e i cori tipo gli ABBA!»
C’è tanto, per non dire addirittura tutto, negli Arcade Fire del 2017. A cominciare dal titolo del loro nuovo album, il quinto, che uscirà tra qualche settimana: Everything Now. Quel “tutto ora” che loro – nel senso del bassista/chitarrista Tim Kingsbury e del batterista Jeremy Gara – ci spiegano così: «Significa che in quest'epoca, su Internet, puoi trovare qualsiasi cosa. E questo può essere sia un bene che un male. Idem in ambito economico: quel 'tutto' può sapere di 'arraffa quel che puoi' oppure ci sono risorse a sufficienza per il resto del mondo. Quindi, dal nostro punto di vista, è sia un titolo ottimista che pessimista.».
Chi parla in questo caso è Jeremy, t-shirt nera al contrario (si notano le cuciture), capelli a cespuglio e coolness che si taglia col coltello, intercettato nel backstage dell'Ippodromo di Milano dove gli Arcade Fire hanno tenuto la loro prima, applauditissima data italiana (la seconda è a Firenze, alla Visarno Arena, questa sera).
Accanto a lui c'è Tim, occhiali da sole e barba hipster, che interviene spesso nella conversazione. Nessuno dei due sente minimamente la pressione di un concerto "grosso" atteso da oltre diecimila devoti e che, al tirare delle somme, si rivelerà molto azzeccato sia come scaletta che come pathos e grinta on stage.
Perché la band dei coniugi Win Butler e Régine Chassagne è tante cose allo stesso tempo: epicità straziante e arrangiamenti che pescano dalla dance così come dalla world music passando per funk, Prince, sintetizzatori tedeschi, Bowie, new wave, indie e pure un pizzico di chitarre ruvide. La band "totale" di questi anni che scorrono liquidi su Spotify. Quelli che, nella migliore delle ipotesi, riempiranno gli stadi anche superata la cinquantina (e per ora Butler ne ha appena 37) visto il valore del proprio repertorio che resta a 24 carati. La parola passa alla corposa orchestrina.
Sbaglio o anche a questo giro avete realizzato un disco molto ballabile?
(Jeremy Gara) Dipende da cosa intendi con quel termine. Riteniamo ‘Everything Now’ un passaggio fondamentale perché il precedente ‘Reflektor’ era molto più improntato sul groove mentre stavolta abbiamo pure le canzoni. Certo, se mi fai un discorso più generale, devo ammettere che c’è parecchio ritmo anche dentro questi nuovi pezzi. In quasi tutti, perlomeno.
Come avete vissuto il vostro “epocale” cambio di etichetta discografica?
(Tim Kingsbury) Con molta naturalezza perché, nella nostra carriera, ne abbiamo sempre avute un bel po’! (ride) Magari prima l’album usciva contemporaneamente per la Merge, la Universal o la Warner mentre oggi ne abbiamo una e basta (la Columbia/Sony, Ndr) e, a livello burocratico, va meglio così. Anche perché, per gli Arcade Fire, il metodo è sempre lo stesso: ci chiudiamo in studio e non parliamo con i nostri datori di lavoro per almeno due anni. Poi presentiamo loro il disco finito e loro lo pubblicano senza interferire. Semplice, no?
‘Everything Now’ arriverà nel cuore dell’estate, il 28 luglio, quando noi europei saremo concentrati sulle ferie…
(Jeremy) Lo so, ne abbiamo anche discusso con la Sony e abbiamo ritenuto fosse una buona data. Ci piace pubblicare musica in estate. Lo stesso ‘The Suburbs’, nel 2010, uscì ad agosto.
Avete già una canzone preferita tra queste nuove undici?
(Jeremy) No, perché le stiamo ancora “imparando” direttamente dal vivo. Stasera a Milano (ieri, Ndr) ne suoneremo quattro o cinque. Come dici? A te è piaciuta ‘Good God Damn’? Vabbè, lì il massimo del lavoro lo abbiamo fatto Tim ed io! Quel pezzo nasce da una jam lunghissima dove basso e batteria ci danno dentro. Riascoltandola l’abbiamo accorciata di brutto ed è saltata fuori quella canzone.
Pensate che ‘Put your money on me’ possa diventare un nuovo classico degli Arcade Fire? Vi cito in particolare quella perché ‘Everything now’, il primo singolo, lo è già.
(Jeremy) No, guarda, siamo davvero pessimi in questo genere di previsioni. Però, già che me lo chiedi... Forse sì perché quel pezzo contiene la ricetta-base degli Arcade Fire: ci sono gli ABBA nel cantato, il country nel suono delle chitarre e i Kraftwerk nella base ritmica. ABBA-country-Kraftwerk: noi siamo esattamente questo! (risate)
Mi avete appena svelato, en passant, il segreto del vostro successo?
(Tim) Quello e poi la calma. A volte, nel retro dei festival, incontriamo altri gruppi famosi e loro sono sempre lì a raccontarci che hanno un aereo da prendere entro poche ore, che devono andare in Australia e in Sudamerica, che hanno questo impegno e poi, subito dopo, un altro ancora più pressante. Calma, ragazzi! Forse in questo mestiere bisogna davvero essere un po’ pigri. Prendersela comoda se no l’aspetto musicale ci rimette.
Non ve l’ho ancora chiesto, ma come è stato lavorare con Thomas Bangalter dei Daft Punk?
(Tim) Ah, lui è adorabile, il migliore di tutti. Diciamo che è molto filosofico nell’approccio al lavoro: a volte si perde in lunghe meditazioni e poi, nel giro di dieci minuti, se ne viene fuori con una soluzione geniale e punta decisamente al sodo. Lo abbiamo incontrato in uno studio di New Orleans.
Senza casco?
(Tim) Sì, senza casco solo che non si nota granché la differenza! (ride) Credimi, Thomas Bangalter in borghese è esattamente identico a quando sale sul palco coi Daft Punk…
Sentite, voi siete canadesi mentre Sorrisi è una rivista italiana. Voi avete l’hockey su ghiaccio e noi il calcio; voi la neve e noi le estati torride; voi Neil Young, noi Andrea Bocelli. Mi spiegate qual è il link, il punto di contatto, tra queste due nazioni?
(Jeremy) Semplice: la pizza!
Ah già, la famosa pizza canadese…
(Jeremy) Hai ragione, non è granché come collegamento. Beh, a Montreal c’è una folta comunità di italiani. E poi mio papà è nato in Argentina mentre i miei nonni sono italiani purosangue. Si trasferirono là due anni prima della sua nascita.
Vi posso fare un’ultima domanda malinconica?
(Tim) Certo. Proveremo ad essere seriosi.
Cosa provate quando intercettate su YouTube quella famosa performance (datata 2005) di ‘Wake Up’ assieme a David Bowie? Per me, finora, resta l’highlight musicale più intenso del terzo millennio.
(Jeremy) Eh, ricordiamo bene quella sera speciale: sia io che Tim eravamo là per il lancio del nostro primo album ‘Funeral’. Però, posso dirti la verità? Io le lacrime vere le ho provate una sola volta su di un palco: quando, come Arcade Fire, abbiamo eseguito ‘The Cutter’ degli Echo & The Bunnymen assieme al loro leader Ian McCulloch. Sentivo la voce di Ian arrivarmi forte e pulita in cuffia e mi sono emozionato tantissimo. Con Bowie, invece, è stato diverso.
Perché?
(Jeremy) Perché Il Duca, di persona, è stato affabile ed amichevole con noi: gli piacevamo proprio come gruppo e pensa che all’epoca non eravamo ancora così famosi... David Bowie è riuscito in un’impresa titanica che riesce a ben pochi in questo ambiente: separare l’uomo normale dall’icona/superstar.
(Tim) La sua musica è stata e sarà per sempre immensa, ma quando è morto abbiamo pianto per un’altra cosa. Ci manca tanto quella sua naturalezza nel fare le cose. Quel non tirarsela dietro le quinte. Quel suo essere Bowie, l'eroe della tua gioventù, e non fartelo pesare.
Il pregevole 'Everything Now' uscirà il prossimo 28 luglio su etichetta Columbia/Sony. Al momento, dopo lo show di Firenze, non sono ancora state annunciate nuove date italiane degli Arcade Fire.