Una raccolta di 14 canti popolari rivisitati in chiave intima e personalissima
Dopo il successo di “Canzoni da intorto”, il disco più venduto dell’anno scorso in formato fisico con 51 mila copie, Francesco Guccini ha pubblicato il nuovo album di cover “Canzoni da osteria”, una raccolta di 14 canti popolari selezionati da lui stesso da un vasto repertorio nazionale e internazionale e rivisitati in chiave intima e personalissima.
«Sono canzoni in cui ho creduto e che ho cercato di interpretare al meglio pur con la voce “sfatta” che ho adesso» dice il maestro di Pavana con la sua consueta ironia sorniona. E poi mette subito in chiaro: «Passo per grande esperto di osterie, ma in realtà ne ho frequentato solo tre tra la fine degli Anni 60 e i primi Anni 70 a Bologna: l’osteria dei Poeti, l’osteria da Gandolfi e l’osteria delle Dame. Erano luoghi tristi, pieni di vecchietti semi alcolizzati (anziani, ma meno vecchi di me oggi). Noi ragazzi andavamo lì a cantare con le chitarre e le studentesse e i vecchietti si entusiasmavano. All’epoca si bevevano soltanto due tipi di vino, il bianco e il rosso, e si mangiava l’uovo sodo per 25 lire. Oggi non è più come una volta: alle osterie non si beve più il Sangiovese, ma i vini hanno sentori di frutti di bosco. Mio nonno li avrebbe sputati…».
L’album ha gli arrangiamenti di Fabio Ilacqua (autore di diverse hit, tra cui “Occidentali’s Karma”, cantata da Francesco Gabbani), che ne ha seguito anche la produzione artistica affiancato da Stefano Giungato. Ed è disponibile in 5 diversi formati: CD, CD limited edition - maxi formato, vinile, vinile special edition (edizione limitata numerata e colorata), e per i veri intenditori uno speciale doppio vinile (in edizione limitata e numerata). Il disco si apre con “Bella ciao”, canto popolare simbolo della Resistenza italiana che «dopo la serie tv “La casa di carta” è diventata un inno di protesta internazionale» spiega il cantautore. «La cantano pure le donne iraniane contro la teocrazia. Pensando a loro, ho cambiato una parola del testo: E ho trovato “l’oppressor” anziché “l’invasor”. Perché sono oppresse, non invase. Tosca la canta tutta in farsi (la lingua persiana, ndr) ma per me sarebbe stato troppo complicato!». Guccini prosegue nei suoi racconti di gioventù: «Nelle osterie si tirava tardi, perché Bologna era una città che non andava a dormire mai. Eravamo i “biassanot”, i "mastica notte": fino all’alba a cantare (e a bere). All'università c'erano gli americani allora studiavano soprattutto Medicina. Poi c’erano i somali, iscritti a Scienze Politiche, e i greci che facevano Ingegneria. Qualche volta organizzavamo le “festine” in piazza e preparavamo il "rinfresco", che consisteva in un vassoio di paste e una bottiglia di vermouth che le ragazze ignoravano e che noi invece ci finivamo. E si andava a “tangare”, a ballare il tango. Ma era tutta una scusa per abbracciare le ragazze”.
Nel disco infatti c’è tanta Argentina, tanto Sud America. Per esempio, con la milonga firmata da Astor Piazzolla e Jorge Luis Borges “Jacinto Chiclana”. Oppure con i brani “El caballo negro”, “La chacarera del 55” e “Sur”. Una dolce malinconia pervade le canzoni d’amore “Amore dove sei”, “Maria la guerza” e “La tieta”, brano scritto in catalano dal cantante Juan Manuel Serrat Teresa e tradotta poi in italiano da Paolo Limiti per Mina ("Bugiardo e incosciente", 1969). Guccini qui la canta in catalano. «L’autore tanti anni fa mi aveva corretto gli errori di pronuncia, ma nel frattempo ho dimenticato tutto quindi nel disco gli errori sono rimasti» scherza Guccini. «Ma niente di grave: gli errori di pronuncia che non mi perdoneranno mai, a me modenese, sono quelli del dialetto bolognese che uso in “La maduneina dal Baurgh ’d San Pir”. A Bologna si sentono capitale e gli altri li guardano con sospetto. “Poteva andarvi peggio, avrei potuto essere ferrarese”, dico ai bolognesi per tranquillizzarli». Guccini canta anche in dialetto veneto “Il canto dei battipali” (i battipali del titolo sono operai della Laguna di Venezia che intonavano questo canto di lavoro per scandire il ritmo e ridurre la fatica delle loro giornate) e in ebraico “Hava nagila”, canzone popolare composta dal musicologo Idelsohn Abraham Zwi nel 1918. «Questa canzone è dedicata al mio vecchio amico Elisha che io avevo soprannominato Eliseo. Dopo tanto tempo, un anno fa mi ha telefonato da Israele e ha sentito il bisogno di ricordare, con nostalgia, il nostro periodo trascorso a Bologna assieme a tutti i compagni dell'Osteria delle Dame» racconta Guccini.
Il cantautore interpreta due brani in inglese: “The last thing on my mind”, struggente ballad country blues imparata dall’amico Lou Gottlieb e il canto folk americano “Cotton fields”. «Ricordo che me la insegnò Debbie, Deborah Kooperman, una ragazza che si trovava in Italia grazie a una borsa di studio per pianoforte e che poi avrebbe suonato in tanti miei Lp». Chiude il disco “21 aprile”, il brano bilingue in greco e in italiano scritto dall’amico del cantautore Alexandros Devetzoglou per raccontare il violento colpo di stato dei colonnelli greci avvenuto il 21 aprile 1967.