È uscito il nuovo album del cantautore romano, nato tra Tokyo, Marrakech, lisbona e Madrid, lo abbiamo incontrato nel suo studio di registrazione
«Riflessivo e intimo, sì è decisamente il mio disco un po’ più intimo. In controtendenza visto che ora si avvicina l’estate!» definisce così Carl Brave, senza troppi giri di parole “Migrazione” il suo ultimo album uscito venerdì 9 giugno, anticipato dai singoli “Remember” e “Lieto Fine”. Lo incontriamo nel suo studio discografico a Trastevere, nel cuore di Roma, la sua città.
Si apre per te un nuovo capitolo, in che periodo della tua vita è stato scritto questo album?
«Sono abbastanza tranquillo. L’album è nato in tre anni in cui ho viaggiato molto, è stato scritto un po’ in giro per il mondo. Sono stato a Marrakech, Lisbona, Tokyo, Madrid, ho preso i musicisti del posto ho organizzato uno studio in casa. Ho aggiunto dei suoni, alle cose che ho fatto a Roma. Alcuni brani li ho iniziati lì e poi li ho chiusi qui. Altri non li ho fatte proprio uscire (ride, ndr). Di base, però, ora ho trovato un bell’equilibrio dove la musica è l’ago principale della bilancia».
Come è arrivato il titolo “Migrazione”, che in copertina ha proprio degli uccelli in volo?
“La cover l’ho disegnata io, a 4 anni. Era un disegno che girava da un po’ a casa mia, ed era da un po’ che volevo usarla, così l’occasione è arrivata ora che per l’album ho fatto sia una migrazione geografica, perchè ho girato tutti questi posti, ma anche una migrazione di sound mio, perchè parto da ‘Biscotti’, che ricorda un po’ l’inizio della mia carriera è un po’ ‘Notti brave’, ‘Polaroid’ style e piano piano migro in altri mondi fino ad approdare ad ‘Applausi’».
E tu oggi da cosa scegli di migrare, cosa hai deciso di abbandonare?
«Dalle imposizioni. Cerco di fare sempre le cose che mi piacciono, anche dal punto di vista musicale cerco di abbandonare le regole… anche quelle del mercato discografico».
Nei brani che si alternano nell’album affronti l’amore da diversi punti di vista e in diverse fasi…
«La fase che ti ispira di più non coincide affatto con quella più bella. Sono ispirato quando le cose vanno male, quando sei felice e va tutto bene ti esce una canzone d’amore più scontata, invece quando stai male riesci a scrivere cose più intense, più sentite. Io ho questo difetto e devo dire che durante i periodi più calmi me le cerco pure un po’!».
A chi fai ascoltare le tue canzoni prima che escano?
«A parte me che le ascolto un miliardo di volte e vado a dormire con le canzoni nelle orecchie, ai miei genitori e ad alcuni amici, conosco i loro gusti e so già con quale pezzo andranno in fissa. Quando poi la tua musica arriva alla gente e ai fan non tutti hanno la tua visione, c’è a chi piace la hit, a chi la canzone più sussurrata…».
“Briciole di nachos” è uno dei brani più romantici dell’album...
«Sono abbastanza in fissa con i nachos, li mangio con le salse come il guacamole e l’idea era di far vedere questa coppia sul divano nella sua normalità!».
Nel disco ci sono un po’ di collaborazioni, da Clementino a Noemi, come sono nate?
«Con Clementino ci siamo conosciuti a "Battiti Live" a Gallipoli, siamo andati a pranzo insieme, lui aveva una canotta da basket, che io cercavo da quando ero piccolo, e nemmeno il tempo di dirglielo che me l’ha regalata. Non ci potevo credere! Poi ci siamo detti "Facciamo qualcosa insieme" e così è stato! Con Noemi, invece, volevo fare una cosa più scura, diversa da quello che si aspettava la gente dopo "Makumba". Con Mara Sattei avevo questo giro di organo, avevo fatto un provino con una melodia un po’ flamencata visto che lei sta in fissa con Rosalia. Con Bresh ero a Lisbona e le atmosfere di Lisbona mi hanno ricordato Genova, una città di mare. Con ognuno è nata spontaneamente e in modo diverso».
E ora non si può aprire il capitolo Roma. Quanta Roma c’è nell’album?
«Di Roma c’è tanto, forse tutto. C’è e ci sarà sempre, racconta il mio passato e la mia vita è qui».
Ci sono dei posti precisi?
«Sì, io sono nato all’Isola Tiberina, è un posto dove torno spesso anche a scrivere. Poi Trastevere in generale. C’è tanto Trastevere, anche se io vivo un po’ tutta Roma, sono uno che gira per locali, per diversi quartieri. Ho giocato a basket ai campetti San Lorenzo, al Celio, ho amici ovunque».
I posti del cuore?
«Partirei da Trastevere, che è il mio posto del cuore in assoluto, poi al Celio, dove c’è il mio primo campetto da basket, che sta davanti alle Terme di Caracalla, in uno scenario unico. Ce ne sono tantissimi, ma questi sono i due luoghi a cui mi aggrappo e torno sempre».
Come canti nel brano con Mara Sattei “Roma è sempre la stessa, ma sei tu che sei diversa”. In questi anni ti è capitato di passare in alcuni posti che ti hanno visto crescere e in cui hai capito che non eri tu lo stesso?
«Sì, caspita! Io penso di essere rimasto abbastanza simile, le mie radici sono quelle, però, sono cambiato sia anagraficamente che un po’ caratterialmente! Quando si inizia un percorso artistico e inizi ad avere successo ci sono tante cose che cambiano la tua vita, ma devi cercare di non cambiare tu!».
È impossibile ascoltare “Un’altra vita” e restare impassibili (parla di un incidente d'auto mortale, ndr). È una storia che hai vissuto personalmente?
«È una storia che ho vissuto personalmente ma romanzata. Purtroppo ho avuto vari amici che sono venuti a mancare, volevo raccontare qualcosa che tutti hanno vissuto, dal liceo in poi, e come una tragedia del genere ti segna. Si crea il gruppo, vai in ospedale, volevo raccontare in maniera cruda e vera questo dolore. I miei amici erano maschi, l’idea di parlare al femminile mi è venuta quando purtroppo sono state investite le due ragazze a Ponte Milvio, la loro morte mi ha toccato molto».
E invece la voce dell’audio di “Già lo sai” di chi è?
«Quella è della mia ragazza, è un audio che mi ha mandato davvero, ho lottato per inserirlo nell’album perchè lei non voleva assolutamente visto che piange e si dispera!!!».
Se chiudi gli occhi e potessi migrare anche tu come gli uccelli della cover dove andresti per un po’ di tempo?
«In un sacco di posti, forse tornerei in Giappone per rivederlo tutto. Però pensandoci andrei anche in Perù, a Los Angeles… vorrei girare tutto! A me serve tanto, da ogni viaggio imparo qualcosa, torno con nuovi stimoli!».
A volte pensi alla carriera che avevi iniziato con il basket? Hai qualche rimpianto?
«No, il basket mi ha formato ed educato anche nella musica. È un lavoro di squadra, io facevo il playmaker e questa cosa mi è servita anche nel lavoro, mi ha dato una disciplina costante. La fase artistica viene spontanea, ma la devi sorreggere con l’allenamento. Io scrivo sempre, faccio tante basi, mi alleno. Pensa che quest’estate non dovevo fare il tour, dovevo farlo ad ottobre, ma ho chiesto io di fare 20 date, anche quello è allenamento per me: se vai a giocare a basket e non tiri da due mesi non segni. Ti devi allenare, lo stesso vale per i live».
Sei pronto a incontrare il tuo pubblico live? Sei una persona ansiosa?
«C’è un po’ di anisetta pre-partita! Più che altro di sbagliare le parole, io ora dovrò imparare 16 pezzi nuovi insieme a tutti quelli vecchi e sono contro il gobbo, non lo voglio perchè sennò poi ti abitui e quindi sto lì a ripassare i testi. Sto prendendo integratori di fosforo… speriamo bene (ride, ndr)!».
Alla fine il vero “Lieto fine” nella vita esiste, che risposta ti sei dato?
«Non ci sarà mai o è un continuo esserci. Il mio obiettivo è riuscire sempre a fare musica e a cambiarla e farla evolvere. Ogni passo e ogni disco che faccio quindi è un lieto fine, da cui però poi inizia subito dopo un bell’inizio!».