Carl Brave: «Notti Brave» è una «Fotografia» del pop che cambia

Da due settimane in testa alla Superclassifica, il cantante Carlo Luigi Coraggio è una delle rivelazioni della nuova musica italiana. Nell'album troviamo collaborazioni con Francesca Michielin, Coez, Giorgio Poi e molti altri

Carl Brave è il nome d'arte di Carlo Luigi Coraggio
30 Maggio 2018 alle 15:40

Carlo Luigi Coraggio sembra il nome di un principe azzurro e la storia del suo successo ricorda quella di una fiaba. A 7 anni inizia a giocare a basket, a 13 comincia a fare rap. A 22, con una carriera promettente in Serie B, butta il pallone e, mentre questo rimbalza via, sceglie la sua promessa sposa: la musica. È così che con il nome d'arte di Carl Brave ("Brave" in inglese significa "coraggio") dalle strade dei quartieri di Roma, in pochi anni ha raggiunto la cima della Superclassifica con il suo primo album solista «Notti brave».

Nel 2017 con l'album «Polaroid» scritto a quattro mani con il collega rapper Franco126 (membro, come lui, del collettivo 126) ha raggiunto un consenso della critica inaspettato. Oggi si separa dal suo grande amico (per poco, lo ritroverà dal 6 luglio in tour) per cercare la sua strada. «Avevo materiale per dare vita a un album tutto mio, ma non volevo rinunciare all'idea di "collettivo" che caratterizza la mia carriera». Per questo ho coinvolto amici che vengono da mondi diversi (dalla cantautrice Federica Abbate al rapper Emis Killa) per arrivare al grande pubblico con quella che lui stesso definisce «un'aperturina pop».

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Con lo stesso spirito nasce «Fotografia», primo singolo con la collaborazione di Francesca Michielin e Fabri Fibra. «Sono due artisti popolari che ragionano come me: guardano la musica come un dado a molte facce. È questa la musica che amo e credo sia quella che oggi vuole ascoltare la gente».

Hai appena concluso un bel giro di firmacopie, il primo della tua vita. Com'è stato questo primo incontro con i fan?
«È diverso dai concerti perché più di un live sfidano il mio carattere. Sono un ragazzo schivo e loro sono lì per complimentarsi con te, spesso ti chiedono se possono abbracciarti, è un mondo nel quale non mi sentivo molto a mio agio, ma alla fine mi permette di avere un contatto piuttosto diretto con chi acquista gli album. Si può imparare molto».

Raggiungere la cima della Superclassifica come ti ha fatto sentire?
«Bene perché era un po' il mio obiettivo. Ci ho lavorato tanto, con la stessa intensità con la quale facevo basket. Guardo un punto lontano, trovo un modo per arrivarci e poi via, vado avanti finché non lo raggiungo».

Qual è l'ultima squadra con la quale hai giocato?
«Montecatini Terme. La verità è che del basket mi ero già rotto da un sacco di tempo. Mi appassiono tanto alle cose, poi quando non ho più stimoli nuovi, mollo tutto senza rimpianti».

Molti artisti di successo oggi ringraziano la tv, personaggi influenti, un evento musicale. Tu chi devi ringraziare?
«Per lo più me stesso e le persone che si sono avvicinate al mio mondo. È raro e ne vado orgoglioso».

Quel mondo, chiamiamolo «indie» per comodità, è molto inseguito dagli artisti, per così dire «pop».
«Partiamo da questo punto. Le parole "indie" e "pop" le uso poco, credo non vogliano dire proprio niente. La verità è che la musica sta cambiando e di fatto è già cambiata, anche nell'approccio alla scrittura delle canzoni. Dal punto di vista musicale sto notando una vera rivoluzione, fatta di nuove sonorità, contaminazioni e un senso di libertà che si respirava poco nella musica "da classifica" fino a qualche tempo fa».

Cosa avevi bisogno di fare nel progetto solista?
«Il playmaker, quel ruolo del basket dove oltre a giocare decidi gli schemi, come muoverti. In "Notti brave" ho davvero spaziato in solitaria facendo un po' trap, un po' reggaeton, un po' cantautorato tradizionale, accogliendo tanti amici che hanno collaborato con me nel modo giusto. Con il gusto di fare buona musica».

Hai parlato di una tua «aperturina pop». Cosa significa?
«Ho detto mille volte che odio le etichette, poi alla fine però mi tocca usarle! (ride) Volevo arrivare a un pubblico più vasto e farlo senza stravolgermi. Ci sono riuscito. Chi ascolta le mie canzoni del passato non troverà una differenza abissale, sono sempre io».

Questa apertura arriva dopo l'ottimo risconto della critica per l'album del 2017 «Polaroid» con Franco126.
«È vero. Dopo quel momento avevo due strade: chiudermi in me stesso e rimanere "acclamato dalla critica" o cercare una strada di accoglienza verso chi non mi conosceva ancora. Si è allargata la mia visuale ma la mia musica essenzialmente è la stessa: parlo di me, parlo della mia Roma, parlo di quello che mi passa per la testa».

Dicevi però di aver cambiato l'approccio musicale.
«Molto. Qui c'è molto più suono, sia analogico che digitale. Ho fatto un mix di tante cose che da tempo volevo fare, ma erano ancora chiuse nel cassetto. Queste idee ho fatte uscire e sono arrivate sui miei brani in modo spontaneo. Se certe cose non le fai in libertà, si sente tanto la differenza».

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