Chiamamifaro: «Nelle mie canzoni voglio ridare importanza alla normalità»

Dalla malinconia di “Se parlo di te” alle sonorità più funk di “Labbra blu”, ecco il nuovo EP “Default”

16 Gennaio 2024 alle 16:12

Ogni giorno vengono pubblicati circa centoventimila brani online con l’obiettivo di far sentire la propria voce sul rumore bianco di fondo, finendo al contrario solo per alimentarlo. Ogni giorno agiamo in automatico secondo una routine da cui siamo sempre più dipendenti, dimenticandoci di apprezzare i dettagli della quotidianità. Con il suo nuovo EP “Default”, chiamamifaro ripercorre proprio quei piccoli momenti della normalità cercando di restituire ad essi il valore che noi per primi troppo spesso trascuriamo. Dalla malinconia di “Se parlo di te” alle sonorità più funk di “Labbra blu”, questo EP riconferma la maturità artistica e la consapevolezza di questa giovane musicista.

Com’è nato e cosa significa Default?
«Ho avuto ben chiaro il tema di questo EP dal momento in cui ho iniziato a lavorarci, sapevo di cosa avrebbe parlato ancora prima di avere tutti i pezzi; eppure trovare una parola che racchiudesse in sé tutto ciò che volevo dire è stata la parte più difficile. Dopo averle provate tutte ho individuato quella giusta in “Default”, nel suo significato letterale di mancanza. Fare una cosa in default vuol dire farla in mancanza di un comando, quasi in automatico. Eppure “andare in default” viene inteso come denotazione di un fallimento. Volevo provare a giocare con la linea sottile che separa i due significati di questa parola, perché quello che facciamo di default col tempo va in default e perde qualsiasi valore. È una sorta di modalità di pilota automatico secondo la quale ogni tanto mi ritrovo a vivere. Ora parlo per me, ma penso che sia anche un carattere generazionale. In questo mare di notizie, trend e tweet in cui siamo bombardati di informazioni tendiamo a vivere quasi in automatico senza valorizzare le cose di tutti i giorni. Con questo EP voglio cercare di ridare importanza alla realtà quotidiana, alla normalità. 

In questo EP esplori tanti generi, dalle sonorità quasi funk di “Labbra blu” al pop rock di “MA MA MA”. C’è un genere in cui ti ritrovi particolarmente? 
«Io credo che il bello dell’indie-pop sia il fatto che la riconoscibilità delle canzoni non sta tanto nella produzione o nel sound quanto più nella penna. È importante come si canta, come si compone la melodia ma soprattutto come si scrivono i testi, perché quella è la propria firma. Di conseguenza tutto quello che ci si mette attorno può variare molto, permettendo di esplorare sound diversi. Per questo penso che “Default” da questo punto di vista sia un EP più coraggioso; ho voluto sperimentare e provare nuove strade, dal pop rock al pop-punk, fino anche al funk. Fortunatamente ho la possibilità di spaziare molto e per questo ho deciso di non “infilarmi” in un solo genere».

C’è un genere che non hai ancora provato e ti piacerebbe sperimentare? 
«Penso che mi divertirebbe provare qualcosa di lontanamente simile alla trap per non farmi mancare niente!».

Insomma, la monotonia non ti piace. In “Rumore bianco” parli proprio di questo, proiettandolo anche in musica. In che modo secondo te è possibile evitare di cadere nella produttività di serie di cui parli?
«Lavorando con la musica penso che il punto di partenza sia ascoltare tante cose diverse, anche quelle che non piacciono. È sbagliato chiudersi in una bolla in cui si ripetono sempre le stesse cose. Poi credo sia fondamentale il testo e il modo di comunicarlo. Parlando per la mia esperienza, tendo ad avere sempre un’idea molto chiara e precisa di quello che voglio dire prima di farlo. Anche se non fosse la più originale delle idee è importante che sia sentita e che rimanga a chi l’ascolta. Lasciare una storia, un messaggio o un’immagine è la chiave perché una persona torni ad ascoltarti».

In “Se parlo di te” affronti la tematica della violenza sulle donne, purtroppo più attuale che mai. Com’è stato scrivere di un argomento così impegnativo e quanto è importante farlo?
«È sicuramente una tematica più complessa rispetto a quelle che ho trattato finora, ma credo che le canzoni leggere possano affrontare anche gli argomenti più pesanti. “Se parlo di te” è una canzone che ho sempre voluto realizzare, ma ho sempre pensato di non esserne in grado e forse tempo fa era così. Servono maestria nell’uso delle parole, sensibilità, freddezza. Non è stato facile scriverla, per un brano del genere è importante ragionare su ogni parola perché è necessario capire come ogni concetto possa essere percepito dall’esterno per non essere fraintesi. Credo che parlarne sia fondamentale, soprattutto per gli artisti. Dobbiamo riconoscere la responsabilità che abbiamo di sensibilizzare su queste tematiche. È una questione di comunicazione e consapevolezza prima di tutto. Scrivere canzoni a riguardo è soggettivo, perché bisogna sentirle e non forzarle. Io l’ho sentita forte dentro di me e avevo bisogno di tirarla fuori. Tutto sommato sono contenta del risultato finale, penso di aver scritto una bella canzone che ora è una delle mie preferite del momento. Mi sono detta “ce l’hai fatta!”. È stato un grande passo nella mia crescita artistica e personale».

Di questa crescita artistica quali sono le tappe più significative?
«Sicuramente l’uscita di “Post nostalgia”, il mio primo disco, è stata un bel passo di maturità musicale. Durante la realizzazione dell’album ho vissuto effettivamente la musica come un lavoro. Prima di quel momento avevo lavorato in pandemia, ero una ragazzina non completamente consapevole di ciò che stava facendo, ma da quel momento ho raggiunto tanti obiettivi e grandi palchi. Mi ricorderò sempre le aperture ai Pinguini Tattici Nucleari in giro per i palazzetti d’Italia e l’Arena di Verona. È sempre stato il mio sogno nel cassetto e per quanto io non sia una persona ansiosa prima dei live devo ammettere che in quell’occasione mi tremavano le gambe!».

Cosa ti porti dietro da tutte queste esperienze?
«Ho imparato che per calcare palchi così importanti è fondamentale non pensare a niente, svuotare la mente e buttarsi. Basta un pensiero, una domanda, un’incertezza ed è la fine. Mi viene da dire che il palco è l’unico posto in cui ha senso viaggiare in modalità default, meno si pensa e meglio è. Alla fine credo che sia una questione di memoria muscolare, il corpo sa cosa deve fare ed è solo se si pone il problema che va in tilt».

A marzo partirai con il tuo primo tour nei club. Cosa possiamo aspettarci?
«Spero una bella esperienza per tutti e sotto ogni punto di vista. Voglio che siano live vari e interattivi, che il pubblico sia sempre coinvolto. Voglio farvi ballare, ridere e piangere insieme».

A proposito di pubblico, sappiamo che sei molto legata al tuo, hai anche un gruppo telegram molto attivo con i tuoi fan più appassionati. Quanto è importante secondo avere un rapporto con i propri fan?
«Per me è fondamentale. C’è da dire che le persone che mi ascoltano hanno tante cose in comune con me, quindi mi viene naturale trattarli come se fossero miei amici di sempre. Legarmi a loro non è una cosa che faccio per accontentarli ma perché fa stare bene me per prima, a partire dal gruppo telegram. Mi piace avere un rapporto così stretto con loro, ricercando e valorizzando sempre l’interazione e il confronto. Avere una community così unita mi fa sentire molto amata e mi ricorda quanto mi faccia stare bene condividere la musica con le persone».

In “Default” l’hai condivisa anche con altri artisti. Cosa ti hanno lasciato queste collaborazioni?
«Questi featuring sono nati anche per affinità personali. YTAM per esempio è un artista che conosco da tempo e che credo meriti tanto; ha grande potenziale e spero che questo brano contribuisca a portargli la visibilità che merita. Con Asteria invece è stato un esperimento a livello artistico, perché solitamente facciamo generi molto diversi. Abbiamo tutti in comune il fatto di essere ragazzi giovani provenienti da piccole realtà cittadine in cui emergere è più difficile e per questo ritengo che sia importante supportasti a vicenda, fare squadra fa vincere tutti».

Tu per un periodo ti sei allontanata da questa realtà, trasferendoti in Inghilterra. Questo ha influenzato in qualche modo il tuo modo di fare musica?
«Sicuramente Londra mi ha aiutata a ridimensionarmi. Vivere in una dimensione ristretta quale per me era Bergamo, ti permette di interfacciarti con poche persone. Spostandomi a Londra, la patria dei musicisti in Europa, mi sono ritrovata circondata da così tanti artisti validi da far vacillare le mie sicurezze. Ma ho amato questo aspetto perché per me è stato estremamente stimolante. Ho suonato con tantissime persone che mi hanno aperto nuovi mondi e mi hanno dato la motivazione per cercare di migliorarmi sempre»

Se potessi tornare alla Angelica del 2020 che in piena pandemia pubblica il suo primo singolo, cosa le diresti?
«Le direi di prepararsi perché sta per cominciare una bella montagna russa che nonostante tutto le porterà tante soddisfazioni. Le direi di godersi ogni momento e ogni fase, anche quelle che sembrano le più faticose, perché piano piano ce la stiamo facendo».

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