Dave Grohl: «“Medicine at Midnight” è nato con l’idea di fare una grande festa, per far ballare la gente»

Il 5 febbraio è uscito il 10° album dei Foo Fighters, la band che Dave ha fondato nel 1995, dopo la fine dei Nirvana di cui era il batterista

Dave Grohl
11 Febbraio 2021 alle 14:00

Sono le nove sera, siamo in collegamento via Zoom e Dave Grohl ammette candidamente: «Scusate eh, sto facendo colazione (a Los Angeles, dove vive, è mattina, ndr) e intanto sto guardando la diretta del processo per l’impeachment di Donald Trump».

Un po’ viene da sorridere, ma le nuove abitudini dell’era Covid ci hanno abituato anche a questo. Assieme ad altri giornalisti gli stiamo parlando perché il 5 febbraio è uscito “Medicine at Midnight”, il 10° album dei Foo Fighters, la band che Dave ha fondato nel 1995, dopo la fine dei Nirvana di cui era il batterista: «Abbiamo iniziato a scrivere “Medicine at Midnight” circa due anni fa, sapevo che nel 2020 avremmo festeggiato il 25° anniversario della nascita del gruppo e che quindi sarebbe stata un’occasione speciale per realizzare un disco nuovo. Inoltre avevamo progettato anche un tour di due anni. “Medicine at Midnight” è nato con l’idea di fare una grande festa, per far ballare la gente. Era tutto pronto a gennaio dello scorso anno, ma poi tutto si è fermato… Abbiamo iniziato ad aspettare e aspettare il momento giusto per farlo uscire. Poi abbiamo capito che non sarebbe mai arrivato e alla fine l’abbiamo pubblicato ora».


Un disco completamente rock, genere di cui i Foo Fighters sono rimasti tra gli ultimi alfieri.
«Sono quasi dieci anni che mi sento chiedere se secondo me il rock’n’roll sia morto. Sicuramente non lo è nel mio mondo, quando sono sopra un palco davanti a 100 mila persone che stanno cantando “My hero”».

Ma c’è qualcuno pronto a ricevere la torcia da band come i Foo Fighters?
«Uno dei migliori esempi per me è Billie Eilish. Molti non considerano la sua musica rock, perché ha un suono diverso o una strumentazione non strettamente rock. Ma lei è diventata così popolare per un fattore culturale ed emozionale: Billie raggiunge milioni persone che si sentono legati a lei. E questo è il senso vero del rock. Il rock è come uno zombie, che riesce sempre a uscire dalla tomba. Magari con una forma diversa, ma torna sempre. Vedo tutti i giorni le mie tre figlie confrontarsi con la musica. Da un lato amano e conoscono tutti i classici: Stevie Wonder, i Beatles, Sly and the Family Stone, Etta James, Billie Holiday. Ma allo stesso tempo guardano al futuro e questa è la base. È solo una questione di evoluzione».


La data dello scorso anno in Italia è saltata per via del coronavirus, una nuova è in calendario per il 12 giugno.
«Non so quando sarà possibile tornare a suonare dal vivo, però onestamente mi sono stufato dei concerti via streaming. Siamo noi, da soli con il nostro staff… che ci odia peraltro (ride, ndr). Ma sono sicuro che prima o poi torneremo perché è nella natura umana: trovarsi insieme, stabilire una connessione è il modo per non sentirsi soli. Non so come, dove e quando ma io sarò il primo a suonare dal vivo quando ne avremo l’opportunità, perché è la cosa più bella del mio lavoro».

A proposito di concerti, quali sono i ricordi di quelli dell’epoca dei Nirvana?
«I concerti dei Nirvana erano di sole due tipologie: o un assoluto disastro, oppure delle esperienze trascendentali, per noi e per il pubblico. Non c’erano vie di mezzo. Un esempio è l’Unplugged che fu veramente disastroso, ma con un momento assolutamente stupendo, ossia quando suonammo la cover di Lead Belly, “Where did you sleep last night”».

Proprio in Italia è nato il movimento Rockin’ 1000, ossia mille musicisti che suonarono la vostra “Learn to Fly” per convincervi a suonare a Cesena. Fu un’idea di Fabio Zaffagnini.
«In realtà non sento Fabio da qualche anno, ma quella di Rockin’ 1000 è stata davvero un’esperienza straordinaria. Aldilà di questo, comunque ho un grande legame con il vostro Paese da oltre trent’anni. La prima volta che sono venuto a suonare in Italia era ancora prima degli anni coi Nirvana. Ero in un gruppo punk chiamato Scream. Eravamo abbastanza popolari da avere un centinaio di persone che venivano a vederci: andavamo perlopiù nei centri sociali, suonammo al Leoncavallo a Milano, al Forte Prenestino a Roma, all'Isola a Bologna, ma anche a Torino e Pisa. C’era un grande senso di comunità che è rimasto nel tempo. Sapevamo che ogni volta in cui saremmo venuti in Italia saremmo stati i benvenuti. Non succedeva come a casa nostra, negli Stati Uniti, dove eravamo costretti a dormire per strada o a rubare la lattuga per farci un piatto di insalata. Ho ancora tanti amici in Italia, l’ultima volta in cui sono venuto ho incontrato dei ragazzi che conosco da quando avevo 18 anni!. È una famiglia».

Lo scorso 20 gennaio i Foo Fighters hanno suonato per l’insediamento del nuovo presidente americano Joe Biden.
«Quando ci ha chiesto di suonare “Times like these”, ho pensato che lo avesse fatto più per ciò che rappresenta il brano per le persone. L’ho scritta 18 anni fa, era una storia molto personale su un momento della mia vita e che parlava di una rinascita. Però può essere facilmente applicata ad altri ambiti, come la politica in questo caso. È un brano unificante. Mio padre era un giornalista che poi diventò uno “speech writer” dei politici repubblicani, ossia colui che scriveva i testi dei loro discorsi. Non ho mai voluto fare politica perché mi sarei dovuto ribellare a mio padre (ride, ndr)».

La tracklist di “Medicine at Midnight”

  1. Making a Fire
  2. Shame Shame
  3. Cloudspotter
  4. Waiting on a War
  5. Medicine at Midnight
  6. No Son of Mine
  7. Holding Poison
  8. Chasing Birds
  9. Love Dies Young
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