Il rapper noto come Dark Pyrex, membro della Dark Polo Gang, ci racconta il suo nuovo album
Dark Pyrex ha deciso di camminare da solo. Con l'uscita di “Love is war”, il 29enne trapper romano, pur restando a pieno titolo un membro della Dark Polo Gang, intraprende un percorso completamente nuovo e per certi aspetti radicale: un nuovo "moniker" (che poi altro non è che il suo nome di nascita, Dylan), nuove sonorità e nuovo genere musicale, meno street e più orientato al pop.
Anticipato dall’uscita dei singoli “Sinfonia della distruzione”, “Rasoi” e “Rigor mortis”, che hanno rivelato le diverse sfaccettature del suo nuovo progetto, nelle 14 tracce l'album parla di amore, ma anche di morte, dolore e solitudine, facendo ricorso a sonorità estremamente diverse tra loro, pescando tra trap, rap, latino e pop melodico, con l'ausilio di un team di produttori scelti tra i più “caldi” sulla scena urban italiana, da Durdust a Night Skinny, Katoo o Sick Luke, solo per citarne alcuni.
Partiamo dal “nuovo” nome, che poi è il tuo nome di battesimo. Ti hanno chiamato Dylan Thomas, come il poeta gallese considerato il precursore della beat generation: un bel carico...
«Sì, un carico che non riuscirò mai ad onorare del tutto (ride). Sarebbe impossibile, però qualcosina il nome me lo ha trasmesso, io cerco di mettere qualcosa di poetico nella mia musica. Pensare che porto questo nome qua mi rende molto orgoglioso. Ho provato a leggere i suoi testi, è molto complicato. In inglese poi, impossibile...».
Da dove nasce l'esigenza di un progetto solista?
«Quella principale era far vedere un lato opposto rispetto a quello che si era visto nella Dark Polo. Non avevo avuto l'occasione di mostrare il mio lato più introspettivo a livello di testi. Mi sono concentrato su brani più profondi proprio per scardinare questo cliché del gruppo superficiale. Più in generale volevo concentrarmi su me stesso, scollegarmi a livello artistico dal gruppo per creare un mio immaginario più personale».
Per la tranquillità dei fan: la DPG rimane...
«Sì. Comunque il gruppo può essere un buon punto di partenza, ma non deve essere una costante. Io mi auguro che faremo degli altri progetti insieme, però in questo momento le nostre carriere soliste sono la cosa più importante».
Il disco è molto vario, musicalmente. Sei contento di come hai dosato gli ingredienti?
«Sugli ingredienti mi sono un po' sbilanciato, secondo me ho esagerato, voglio essere onesto (ride). Però è un momento in cui qualsiasi cosa rap avessi fatto non avrebbe aggiunto nulla. Oggi, con tutto quello che c'è in giro, per fare qualcosa di soddisfacente a livello rap, non basta, almeno per quanto mi riguarda, mettere una base rap e rapparci sopra. È abbastanza satura come formula. E non volevo mettere dei brani rap tanto per metterli. Il disco è anche frutto dei punti su cui mi sono concentrato. E io mi sono concentrato tanto sulla parte melodica: quindi, quando ho tirato le somme, avevo più brani melodici. Comunque i qui pochi brani rap che ci sono sono fighi. Spaccano».
C'è anche molto cantato. Hai studiato?
«Sì. La prima persona che mi ha fatto davvero cantare è stata Dardust, quando ho inciso “Love is war”. Mi diceva: “Falla più alta”. E io: “Ma che vor dì?”. Da là mi si è aperto un mondo, mi sono detto che era figo e che voglio imparare anche 'sta roba: la voce è come uno strumento, se non la sfrutti è come se hai una chitarra e suoni sempre la stessa nota. Ho preso un sacco di lezioni. Cantare è una cosa che voglio sviluppare per portare avanti la mia carriera, per abbinarla al rap. L'obiettivo principale del disco era abbinare le due cose, però per qualche motivo è emerso di più il lato cantato, ma va bene così».
Tante collaborazioni: Rkomi, Ernia, Guè, Noyz Narcos, Tony Effe, Gaia, Icy Subzero. Artisti dalle voci e dagli stili molto differenti.
«Sì, ma tutte hanno una loro ragione. Prendi Noyz e Guè, presenti su “Illusi”. Sono cresciuto ascoltando la loro musica: in realtà il motivo per cui esiste la Dark Polo è che ho ascoltato loro, mi sono ispirato a loro e in qualche modo sono un loro frutto, inconsapevole. Ho sempre avuto il sogno di collaborarci e grazie a Nighty Skinny, che è un loro amico, ci sono riuscito. C'è molto rispetto da parte mia e se non ci fosse stato quello alla base non sarebbe nata la collaborazione. Sono super contento del pezzo. Sai, i tre rapper più forti d'Italia... (ride) ok, i due più forti più io, che certe mattine mi sento il più forte del mondo».
Se loro due sono icone Icy Subzero è il fenomeno nuovo...
«Icy Subzero sta rendendo credibile la trap latina in Italia. Mi piace molto la sua attitudine, e il pezzo, “Senza ali”, lo ha scritto lui e mi stuzzica molto. Mi piace lavorare coi giovani, con gli emergenti. Lui andrà avanti».
Da come parli dei giovani mi hai fatto riflettere sul fatto che voi della DPG siete ormai dei veterani.
«Sai, coi due anni di Covid in mezzo è tutto un po' strano, ma se devo fare una considerazione su questi anni della DPG dico che sono passati in fretta. Stare in un gruppo ti rallenta tanto, ogni volta serve l'ok di qualcun altro. Anche se ci sono buone intenzioni è impossibile andare ad un ritmo spedito. La percezione è di avere cominciato ieri, perché alla fine non abbiamo tirato fuori tanta, tanta roba, anche se sembra. C'è ancora tanto succo da spremere dal limone».
Dici di volerti staccare dagli stereotipi della trap, però, proprio voi della DPG avete contribuito tanto...
«Stare in un gruppo significa scendere un po' a compromessi. Se c'è da fare un video e due so' vestiti col piumino griffato, non è che tu puoi indossare l'abito elegante. Avessi fatto un percorso da zero e da solo magari l'immaginario non sarebbe stato così trap, però è quello che ci ha contraddistinto, non lo rinnego. Poi, crescendo, o sei davvero fino al midollo in quel modo o sviluppi un tuo stile».
In “Rigor mortis” dici: «Sperano che fallisca e non sono pochi». È davvero così?
«Non è che nel mio ambiente siamo proprio gente che fa il tifo... però è chiaro che il verso sia un po' romanzato, non credo che ci stia gente che sta lì a cospirare. Detto questo, uscire da un gruppo, cambiare nome, cambiare genere, non è proprio un cammino semplice e sicuramente c'è sempre qualcuno che fa festa se fallisci: sai, so' bello, so' alto, so' americano, rappo bene, canto benino, se poi ho pure successo inizio a rompe il c***o» (ride di gusto).
Ti vedremo anche dal vivo o 14 canzoni sono poche?
«No, no, io nei miei live posso cantare anche le canzoni della DPG. Spero che ci vedremo presto anche dal vivo».