Fred De Palma presenta “Uebe”: l’intervista per il nuovo album

Dal 13 settembre l'artista arriva nei negozi con un disco con all'interno successi estivi come “Una volta ancora” e ”D'estate non vale“

Fred De Palma
10 Settembre 2019 alle 14:34

Come fa una canzone a diventare famosa senza il sostegno delle radio? "Una volta ancora" di Fred De Palma l'avrete sentita di certo per strada, nei luoghi di villeggiatura, ovunque... ma dalle casse dei cellulari ad alto volume dei ragazzi.

«Molte delle mie canzoni sono diventati successi così» racconta l'artista «credo sia il modo più naturale e bello per arrivare al cuore dei fan». Di fatto, il brano è da settimane in cima alla classifica dei singoli più venduti e proprio sul più bello arriva "Uebe",il suo nuovo album in uscita il 13 settembre.

«La parola “Uebe” sembra in slang spagnolo ma non vuole dire proprio niente» dice «io lo uso come se dicessi “baby”, è un po' una mia firma che ho sostituito a “brasa”, parola che dicevo sempre quando da più giovane facevo freestyle a Torino». Nell'album ci sono 12 brani, tanti duetti (con Baby K, Emis Killa, Shade tra gli altri) e molto divertimento.

«Due anni fa non sapevo più chi ero» spiega «ero un rapper, un trapper, uno che fa pop» dice «non mi riconoscevo più». Nei ritmi reggaeton ha trovato una strada in cui si riconosce pienamente: «è l'album di cui sono più convinto da quando ho cominciato a fare musica» spiega, «ci sono meno brani di altri dischi, nei quali mi riconosco al 200%».


Fred, che estate pazzesca!
«Già! Questa forse era l'estate più complessa da affrontare con un singolo estivo. Era pieno di brani fortissimi, così tanti che il pubblico ci si poteva perdere».

Eppure “Una volta ancora” è stato un successo.
«È una canzone che non diventa mai noiosa. Io stesso che l'ho ascoltata migliaia di volte mentre la realizzavo, ancora oggi la ascolto».

Qual è stato il segreto quindi?
«Il duetto sincero con Ana Mena, già al mio fianco per "D'estate non vale” e un ritmo che ti entra in testa una volta e poi... non esce più».

È arrivata in cima alle classifiche un bel po' dopo il lancio, vero?
«Sì, è il frutto di un'ascesa bellissima. Se il brano parte basso e cresce, vuol dire che probabilmente ha avuto un passaparola naturale, vuol dire che non è stato subito raccolto dalle radio e non ha avuto un lancio basato sul tam-tam pubblicitario».

È stata però la canzone più ascoltata dai cellulari dei ragazzi. 
«Così come molte delle mie canzoni. Poi mi piace questa idea un po' romantica di portare un brano "caldo", che anche se parla d'estate e di amore, non si basa su testi eccessivamente semplici o ripetitivi».

I tuoi brani, visti nell'ottica del grande pubblico, sono più noti di te. Ti fa piacere?
«Certo, vuol dire che il mio nome arriva con il biglietto da visita delle canzoni e non il contrario. Spesso si lavora più sulle polemiche o con i gossip. Alla fine quello che ho costruito in questi anni si basa proprio su questo: fare musica, far parlare i miei pezzi. Solo questo può dare longevità a una carriera. Altrimenti sei solo di moda».

Sui social hai parlato di un tuo periodo di crisi. Come mai?
«Un anno e mezzo fa ho avuto un momento difficile. Mi sentivo incompreso e ho capito che in realtà non sapevo più chi ero. Ero l'uomo dei freestyle, un rapper, un trapper, uno che fa pop? Volevo fare contenti tutti e non facevo contento nessuno. Così mi sono mosso nel territorio del reggaeton trovando così la mia strada»

Cosa significa “Uebe”?
«Sembra spagnolo ma è una parola che mi sono inventato di sana piana. Da ragazzino quando a Torino facevo freestyle dicevo sempre "Brasa". “Uebe” io lo uso come se volessi dire “baby”. È un intercalare, la considero come una chiave della mia evoluzione musicale».

In questo album ci sono tanti duetti: Emis Killa, Baby K, Shade...
«Sono tutte persone accomunate da un naturale spirito di divertimento. Con Emis siamo amici da sempre, ma abbiamo duettato tantissimi anni fa, volevamo fare qualcosa assieme. Con Shade invece mi sono concesso una parentesi un po' più rap, ma senza tradire lo spirito dell'album, che è molto uniforme».

È un disco che fa ballare!
«È la prima volta che sono così a fuoco e vedo la mia musica con un'identità precisa che non mi snatura. È la prima volta che sono convinto di un album al 200%”.

Ad un certo punto del disco dici: "La ricchezza spesso impoverisce". Perché?
«Seguo e amo il rap, la trap e le sue regole, anche quella di parlare della propria ricchezza economica nei brani. Non che sia un problema, ma spesso questa regola viene usata come arma per coprire l'assenza di idee e di contenuti. Così, presi da questa smania di parlare dei propri possedimenti, dimenticano di parlare alle persone comuni e agli ascoltatori con vite normali».

Cosa ti auguri per il futuro?
«Di continuare a sentirmi dire "Ti ho scoperto" e non "Eri dovunque”».


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