Generic Animal, il suo nuovo album “Presto” è «Scritto in senso “primitivo”»

Si chiama "Presto", ma per realizzarlo ci ha messo un po' di tempo e un sacco di esperienze: ci ha parlato di sé e del suo mondo chiuso in una cameretta aperta a tutti

Generic Animal  Credit: © Domenico Nicoletti
21 Febbraio 2020 alle 17:48

Cos'è Generic Animal? «È il progetto di Luca Galizia, nato nel 1995 a Busto Arsizio. Quando, nel 2017, decide di smettere di suonare in una band, si chiude un po' a riccio e scrive un disco con i testi di un suo amico e da lì decide che non vuole più fare nient'altro. Suono la chitarra e scrivo delle canzoni, poi tutto quello che c'è dentro bisogna ascoltarselo, perché è più difficile da descrivere». Così esordisce Luca, quando gli chiediamo di presentarsi a chi non lo conosce. 

Come dargli torto. Il suo, infatti, è un progetto "tridimensionale": fin dal suo debutto con l'album omonimo, ci ha abituati a un mondo fatto di mostriciattoli disegnati da lui che colorano la sua musica, fotografie vivide e un immaginario che potremmo far rientrare in quello della Generazione Z. Non solo, dentro c'è anche un bagaglio di progetti paralleli, uno sciame di amici e conoscenze che orbitano intorno a lui.

Alla vigilia del suo terzo album, "Presto", ce lo siamo fatti raccontare direttamente da lui. Con immagini della sua adolescenza, della provincia, storie d'amore a distanza e qualche amico qua e là, Generic Animal ha tirato fuori un album denso e introspettivo, una specie di "disco di formazione" che riflette il diventare grandi e affrontare gli "sbatti" della vita.  

Parliamo del tuo nuovo album "Presto"
«È stato un percorso molto lungo, nato da canzoni vecchie e da altre che ho scritto nel corso di questi anni, abbandonate per un po' di tempo e poi riprese in mano. È stato prodotto da Fight Pausa, mio miglior amico da 10 anni e la persona con cui ho condiviso più musica nella mia vita, sia come esperienze live che in studio. Una volta interrotta la nostra attività come band [Leute], ho iniziato a scrivere da solo, ma lui è rimasto un punto di riferimento. Di fatto è un disco scritto in senso "primitivo", in un appartamento, da solo, nella mia prima dimora milanese, il primo posto in cui ho cominciato a vivere un po' da solo, un po' con la mia coinquilina, e da lì è nato tutto il percorso».

Le collaborazioni

A proposito di Fight Pausa, nell'album compaiono anche altri amici, come Jacopo Lietti, Joan Thiele e altri: quanto sono importanti, per te come artista, le amicizie?
«Sono molto importanti, ma più a un livello artistico che quotidiano. Non sono un lupo solitario, ma ho dei periodi in cui non voglio avere confronti con nessuno. Però le amicizie ti aiutano a "tornare nel mondo", a tornare in te stesso e alle cose più "normali". Tornando a suonare con Carlo (Fight Pausa) ho riscoperto valori più adolescenziali che avevo dimenticato: sentirsi ancora coinvolto, preso bene dagli stessi motivi per cui avevo iniziato a suonare. Quindi sì, sono importantissime, ovvio.

Come sono nate le collaborazioni con Franco126, Massimo Pericolo e Nicolaj Serjotti?
«Nicolaj volevo che scrivesse un interludio legato a "Como By Night", ma aveva un testo che era una bomba, quindi è nata "Alveari". Non volevo un feat., ma che avesse un suo pezzo, per riposarmi e poi far ripartire il disco.

Con Massimo Pericolo avevo già collaborato, siamo sempre stati in contatto per la musica, anche prima di diventare artisti – ad esempio, la melodia per "Sabbie d'oro" l'ho scritta quando stavo ancora lavorando al mio primo disco.

Già in "Emoranger", il mio secondo album, io e Franco126 volevamo fare qualcosa insieme, ma non c'era stata l'occasione. Alla fine ce l'abbiamo fatta con "Presto", un pezzo che ritenevo più ballad, più romantico, e lui ci ha trovato la sua visione. Poi ha questa voce che non ti so spiegare, come se avesse un sacco di voci, un sacco di personaggi dentro al suo essere unico. Dice le cose con quella pacatezza, ma anche col suo modo di fare un po' burbero».


In "Promoter" parli del tour: com'è stata questa esperienza?
«La verità è che è un "accendi-spegni" ogni weekend. Il mio tour come Generic Animal è stato di transizione: mi sono gasato a farlo, ho avuto l'opportunità di fare delle esperienze che mi hanno fatto prendere bene, fino a quando questa forza si è esaurita, un po' naturalmente, un po' a causa degli sbattimenti della vita.

"Promoter" è una "canzone-spiego", cioè come lo spiegone che ti fa il promoter appena hai finito di suonare e ti racconta che l'artista che è venuto la settimana prima ha fatto più gente, ma prende meno. E tu non capisci perché ti sta dicendo queste cose, non ha rispetto per quello che hai appena fatto, cioè suonare, e vorresti solo andare a casa. Questa canzone l'ho scritta proprio come uno strascico di questo primo tour che ho fatto tra 2018-2019: era proprio la fine di un lungo periodo, l'inizio di un altro ancora più tosto e quindi era un po' uno sfogo».

In Scarpe #2, invece, dici che "i soldi non fanno la felicità": cosa ti rende, allora, felice?
«È una frase del tutto simbolica o almeno vorrei dirlo ai miei discografici e alle persone che hanno intenzione di chiamarmi a suonare [ride]. Trovo la felicità un'emozione e quindi una cosa passeggera. Penso che molto spesso la serenità, la limpidezza fanno la felicità. È data dall'imparare a essere non felici quando bisogna non esserlo e a esserlo, invece, quando bisogna esserlo, e basta. Non voglio scadere nel banale, ma effettivamente è viversi i momenti nel modo più puro possibile, senza annebbiare tutto, senza rendere tutto nuvoloso. Questa è forse la cosa che mi preme di più ricordarmi».

In Scarpe #2 c'è anche Jacopo Lietti (Fine Before You Came, Legno), che ha scritto i testi del tuo primo album: com'è nata questa amicizia?
«È stato lui a presentarmi a Enrico (Molteni, La Tempesta Dischi). Ha pubblicato il primo e ultimo disco dei Leute, e in un momento di crisi con l'accademia di Brera (prima avevo già mollato due università), Jacopo mi ha accolto da Legno e mi ha messo a lavorare. Da lì mi ha fatto leggere dei suoi testi chiedendomi di farci qualcosa – ed è nato "Broncio", il mio primo brano come Generic Animal. Jacopo è un po' il motivo per cui ho iniziato a scrivere musica da solo, è la persona che ha messo il primo gettone».

Di quale altro artista vorresti cantare i testi?
«Veramente difficile come domanda. Dico Samuele Bersani. Ha sempre avuto un che di "pazzo". Non conosco bene la sua storia, ma "Fedina Penale" è un pezzo incredibile, ha un testo svarionatissimo, anche "Chicco e Spillo" è bellissima. È un artista che ha scritto dei testi interessanti, secondo me visionari».

Se non fosti Generic Animal chi saresti?

Una domanda-curiosità per chiudere: se tu non fossi Generic Animal, chi saresti?
«A volte me lo chiedo perché penso "Cosa succede se tutto va male, cioè che lavoro posso fare?". Alla fine è tantissimo che non faccio l'odontotecnico e che non faccio il grafico. Magari avrei riprovato un colloquio da Muji, unico che ho fatto dopo aver mollato l'università – e non mi hanno mai richiamato forse perché durante il colloquio ho detto che soffrivo di attacchi di panico [ride]. Piuttosto, penso a cosa potrei fare di più, ecco. Ad esempio, mi piacerebbe potermi dedicare alla discografia, essere un addetto ai lavori, fare il produttore, fare qualcosa che non sia strettamente incentrato su me stesso, ma che mi aiuti, al contrario, ad arricchire quello che sono. Certo, delle volte penso "facevo l'odontotecnico, ho ancora qualche rudimento", però è davvero difficile tonare indietro, è più facile andare avanti. Anche se è sbatti per l'ansia e cose così della nostra età, ma è comunque meglio andare avanti, fa***lo».

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