Il nuovo album dei Baustelle: «Scriviamo d’amore per non parlarne più»

Esce «L'amore e la violenza vol. 2» con 12 nuove canzoni che esplorano le diverse facce dell'amore. La nostra intervista alla band

I Baustelle: Claudio Brasini, Rachele Bastreghi e Francesco Bianconi  Credit: © Gianluca Moro
20 Marzo 2018 alle 09:58

A poco più di un anno di distanza dall’ultimo album, tornano i Baustelle con «L’amore e la violenza vol.2» in uscita venerdì 23 marzo. L’album è un vero e proprio seguito del precedente, in cui per la prima volta la band di Francesco Bianconi si avventura in un volume 2, e vuole esplorare la pura e semplice canzone d’amore.

Le 12 tracce del disco (sottotitolo: «12 pezzi facili») spaziano dal pop elettronico ad influenze anni 60, passando per brani da colonna sonora horror e lunghe code strumentali e sono state scritte durante il tour che l’anno scorso li ha portati in giro per l’Italia. Abbiamo incontrato Francesco e Rachele (seconda voce e tastiere) per farci raccontare il disco.

L’album è stato scritto durante il tour, ci sono differenze tra scrivere magari in camerino e comporre in studio?
R: «No, in camerino no…»
F: «In camerino è fin troppo rock ‘n’ roll! No, almeno fuori dal camerino ci devi essere, scrivere durante il tour significa nelle pause, nei momenti di attesa e qualche volta durante i soundcheck. Per noi è comunque un grande risultato essere riusciti a scrivere i pezzi nello stesso periodo della tournée.»

Per la prima volta avete fatto un “sequel” dell’album precedente e anche a breve distanza. Come mai?
F: «Il motivo credo sia che "L’amore e la violenza" è un titolo che potrebbe andare bene su quasi tutti i dischi dei Baustelle, i passati e quelli che verranno. Quindi, dato che non era passato tanto tempo e dal punto di vista sonoro erano simili, la cosa più semplice è stato fare un volume 2.»

Il vol.1 cantava canzoni d’amore in tempi di guerra, nel nuovo album invece la violenza è quella interna alle relazioni?
F: «Sì, dal punto di vista dei testi questa volta ho voluto parlare soltanto di relazioni interpersonali, quindi la violenza è quella dentro alle relazioni. Poi in maniera automatica il momento storico entra dentro i rapporti, purtroppo in questo periodo viene facile fare un parallelo tra una relazione e una guerra. È quello che ci circonda ed entra per forza nella scrittura.»

Quasi sempre i vostri album sono legati insieme da un tema comune, vi aiuta avere un concetto da cui partire?
F: «Non sono un amante dei concept in realtà, però a volte servono per darti un indirizzo e per rompere i blocchi da scrittore. È stato così ad esempio con il nostro disco «Fantasma» del 2013. «L’amore e la violenza» è esagerato definirlo concept, anche se ci sono sicuramente delle tematiche comuni al suo interno.»

Il sottotitolo «12 pezzi facili» riprende il titolo di un film con Jack Nicholson. Lì era riferito a un libro di pianoforte per principianti, il vostro album contiene invece lezioni d’amore per principianti?
R: «Nel caso è un manuale di distruzione!»
F: «In realtà la citazione era ironica, non c’entra niente con il film. Era un modo per dire che si tratta di un disco pop nel suono, rispetto ad altre cose che abbiamo fatto in passato. E poi perché parla d’amore, è stata una scelta voluta per essere alla moda, dato che ormai la musica leggera in Italia parla solo d’amore. Allora ci siamo detti “parliamone anche noi, adesso per poi non farlo mai più”.»

Pensando a canzoni d’amore e pezzi facili si può avere l’impressione che siano brani banali, invece dentro ci sono riflessioni molto profonde sull’amore come annullamento, amori impossibili, felicità passeggera, eros in agonia…
F: «Credo che dipenda da come uno scrive, ci sono diversi modi di trattare anche un argomento come l’amore. È il tema principale della musica leggera da sempre e non c’è niente di male in questa musica, anzi ne è stata scritta di bellissima. Bisogna stare attenti a quando diventa troppo leggera, come quella che mi capita di sentire in giro ultimamente.»

Nel vostro album c’è una grande attenzione ai suoni, dovuta anche agli strumenti utilizzati e al fatto di limitare l’intervento del digitale. È così?
F: «Sì, credo sia importante che il musicista operi una scelta sul proprio suono. Secondo me ha la stessa importanza della scrittura della melodia e dell’armonia. La timbrica è molto importante, è il campo dell’espressione e, se guardiamo i dischi rimasti nella storia, sono quelli che avevano anche un tipo solo di espressione, oltre a delle belle canzoni. Con gli strumenti analogici il suono non è mai uguale, quindi è la strada migliore per avere un suono che sia tuo e di nessun altro. Nuovamente, la musica leggera di oggi non mi piace perché è tutta molto uguale facendo uso degli stessi suoni. Il computer è una grande invenzione e lo usiamo anche noi, ma è offensivo usarlo solo per i suoni preconfezionati.»

Dal 7 aprile sarete in tour, cosa possiamo aspettarci? Darete anche una nuova veste alle canzoni?
R: «Dal punto di vista musicale, come strumenti e suono, sarà in linea con il tour dell’anno scorso. Invece dei teatri questa volta torneremo nei nostri amati club; abbiamo avuto un assaggio all’Alcatraz di Milano a settembre e ci piace sempre avere il pubblico in piedi. In teatro è più una sfida.»
F: «In teatro abbiamo fatto apposta in modo che a un certo punto si alzassero tutti in piedi!»

Il primo singolo: «Veronica, N.2»


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