Ivan Granatino racconta il suo nuovo album «Ingranaggi» e spiega perché in molti (a torto) sono convinti che sia lui l'autore di «Nove maggio»
Ivan Granatino è uno che insiste. Qualcuno lo ricorderà ancora come membro della squadra di J-Ax a «The Voice», nel 2014, ma nel frattempo il suo percorso è andato avanti mescolando con disinvoltura rap e r&b, musica dance e rock, collaborando con i maggiori rappresentanti dell'hip hop italiano, da Clementino ai Club Dogo o a Luchè dei Co'sang e con mostri sacri come Tullio De Piscopo.
Ha condiviso un pezzo di cammino con un'icona della scena partenopea come Franco Ricciardi e non si vergogna se lo chiamano “neomelodico” (anche perché lui della musica neomelodica ha una concezione del tutto personale). Gli ingranaggi hanno preso a girare e il suo ultimo album, che s'intitola appunto «Ingranaggi», è il primo pubblicato dall'etichetta indipendente da lui fondata, la «Napule Allucca». Un disco pop con tanti accenni di elettronica che rendono alcuni brani ballabili, quasi dance, con strizzate d'occhio al rap. L'album (il terzo della carriera) ha fatto perfino una fugace apparizione nella Top 50 nazionale, consacrando definitavamente Granatino come una delle realtà più spendibili della nuova musica napoletana. «So che c'è ancora molto da lavorare, ma sinceramente sono soddisfatto, anche perché io faccio davvero tutto da solo: scrivo, produco, promuovo, curo la parte grafica, insomma seguo ogni mio progetto in maniera totale», ci racconta Ivan, che terminata la promozione del disco inizierà un tour intenso con molte date al di fuori della Campania.
Rapper, cantante pop, “neomelodico”, come va inquadrato Granatino?
«Forse non va inquadrato affatto. La mia musica è fatta di tante cose. Non mi piacciono, i muri, le barriere, i generi. Ho cercato di esprimere nell'album tutte le mie anime musicali e io sono fondamentalmente un cantante pop al quale piace anche rappare. Diciamo che il denominatore comune è l'elettronica, che ho cercato di declinare in varie forme, perfino con qualche accenno di trap e dubstep, elementi che cerco sempre di introdurre nel mio sound».
Al punto che in tanti sono convinti che sia lei a nascondersi dietro lo pseudonimo di Liberato
«Già, pensi che perfino Saviano s'è messo in contatto con me per chiedermi se fossi Liberato. Una volta per tutte, non sono io, anche se sono anni che faccio musica di quel genere. Credo, comunque, che il progetto Liberato sia più una trovata di marketing studiata a tavolino, che non arriva da Napoli, ma dall’ambiente romano, dalla Bomba Dischi e, quindi, da Calcutta & Co.».
Uno che dice di non amare le etichette come gestisce quella di neomelodico?
«Io non ho nessun problema a definirmi neomelodico, se per questo intendiamo infondere nuove sonorità e nuova linfa vitale alla musica napoletana, dandole un'impronta più moderna, più contempornea, più urban. A Napoli, per esempio, siamo stati io e Franco Ricciardi a dare il via al cross-over con il mondo dell'hip hop, a dare visibilità a rapper come Enzo Dong, che oggi sta facendo un percorso brillante, o a ispirare la svolta pop dei Desideri. Il problema, semmai, è che quello che spesso la stampa indica come neomelodico in realtà è molto... old melodico, se non addirittura trash, e questa etichetta finisce inevitabilmente per danneggiarti».
Si riferisce alla sua partecipazione a «The Voice»?
«Anche. Alle blind audition si girarono tutti tranne Pelù che mi considerava “telefonato per J-Ax” e mi volevano in squadra. Quando, andando avanti è venuta fuori la mia storia sono stato incasellato come neomelodico. Temo che lo stesso pregiudizio abbia prevalso anche alle selezioni per Sanremo Giovani, lo scorso anno».
Si spieghi meglio.
«Quando ho presentato “Chapeau” erano tutti entusiasti. Carlo Conti ballava sulla sedia, insomma grande entusiasmo. Il mio brano è stato anche quello che ha avuto più visualizzazioni, ottantamila, eppure alla fine in gara sono andati altri. Ma non importa, la vita va avanti e al prossimo Sanremo ci riprovo».
Altri progetti?
«Ho una particina nel nuovo film di due registi di culto come i Manetti Bros. Vuoi mettere la soddisfazione?».