Ivana Spagna torna con “1954”, un album in italiano dopo dieci anni

«In questi dieci brani, alcuni scritti da me, altri interpretati, ho messo tutta la mia gioia di vivere e vorrei donarli a chi vorrà ascoltarli» dice

Ivana Spagna presenta il nuovo disco il 25 ottobre a Milano alla Mondadori di via Marghera alle 18.30 e il 30 ottobre a Napoli alla Feltrinelli di piazza dei Martiri alle 18
25 Ottobre 2019 alle 08:45

Non pubblicava un disco di inediti in italiano da dieci anni. Ora, con l’album “1954”, Ivana Spagna torna a cantare per realizzare il suo più grande desiderio: «In questi dieci brani, alcuni scritti da me, altri interpretati, ho messo tutta la mia gioia di vivere e vorrei donarli a chi vorrà ascoltarli» dice. E, mentre parliamo di musica, l’atmosfera si fa confidenziale.

Ivana, dieci anni di gestazione sono tanti.
«Io avevo in mente un album nuovo da tanto tempo. Ma poi entrava sempre in gioco la paura. Quando non hai un’etichetta grossa alla spalle sono problemoni... Ma la gente che mi segue continuava a chiedermi un disco. Allora a un certo punto, due anni fa, ho pensato: “Basta, me lo produco io!”. Ho telefonato a mio fratello Theo e gli ho detto: “Mi dai una mano?”. E alla fine ce l’ho fatta, soprattutto grazie al sostegno del mio manager, l’avvocato Ugo Cerruti».

Che musica c’è dentro?
«C’è il mio mondo, ma ho fatto anche incursioni in altri mondi. Ho ripescato certe sonorità dei sax molto Anni 80. Le melodie di “Prigioniera nel tuo nido” sono di Luca Chiaravalli: bravissimo, una bellissima persona ed è l’arrangiatore di Gabbani e Nek. Ho pure sperimentato un po’, con archi e voce, e con una forma di rap morbido».

Il titolo del disco, “1954”, è il suo anno di nascita. Questo disco è una sorta di rinascita?
«No, per me è una liberazione! Finalmente dichiaro gli anni che ho. Volevo togliermi l’ossessione dell’età. Perché le donne devono vivere con il senso di colpa quando superano i 60 anni? Sto invecchiando, lo accetto. Ma non credo che diventerò mai saggia».

Cosa vuol dire per lei invecchiare?
«Assaporare un regalo che ad altri purtroppo non è riservato. Io non ho paura di morire, ma ho paura del trapasso, di soffrire. E di lasciare da sole le creature che hanno bisogno di me. I miei gatti, innanzitutto».

Ne ha tanti?
«Quattro fissi in casa e altri che vengono a trovarmi ogni tanto e che io battezzo con nomi da indiani nativi: “Guancia-che-scende”, “Coda-di-volpe”. Li accolgo in cucce termoriscaldate».

Li vizia!
«Ho pure la piastra per riscaldare il cibo umido dei miei gatti. Lorenzino è il capostipite, l’ho trovato a Pietrelcina, in pellegrinaggio da Padre Pio. Poi c’è Theo, un nome una garanzia: ha lo stesso carattere di mio fratello. E infine ho Ivan e la Betti, la più “giovane”, che ha 9 anni».

Invece lei il 16 dicembre ne compie 65. Che regalo vorrebbe ricevere?
«La salute!».

Ma se è in gran forma.
«Perché vado in palestra ogni mattina: 10 minuti di vogatore, 10 di step e 30 di tapis roulant. Il momento più bello è la doccia, ma devo fare ginnastica, sennò cede tutto e perdo i pezzi!».

È anche a dieta?
«Faccio colazione con le fette biscottate per celiaci, il latte di riso e il caffè di cicoria. Una tristezza...».

Cucina mai cose golose?
«Sono forte sui primi, ma con le torte ho smesso: sono capace di farle contemporaneamente bruciate fuori e crude dentro. Le succede?».

Sempre, perché per controllarle mi metto davanti al forno. Dicono che bisogna stargli lontano.
«Ecco, l’ho sempre detto io che siamo fatti di onde, è una questione di energie: le sento attorno a me, sento la presenza di anime passate in un’altra dimensione».

Fantasmi?
«La parola “fantasmi” non mi piace perché fa subito “baraccone”. Non sono mica esseri con il lenzuolo bianco. A parlare di energie si passa per pazzi, ma già Einstein ragionava di più universi possibili. E cento anni fa sarebbe stato impensabile prevedere che il telecomando potesse accendere il televisore. Sono sicura che tra qualche anno si potrà parlare serenamente di altre dimensioni».

Mi spieghi cosa sente.
«Ho dei sogni premonitori, per esempio nel sonno ho visto in anticipo l’incidente stradale che mi è capitato due anni fa. Ed entro in contatto con l’Aldilà. Le presenze si annunciano con un “botto”, un grande fragore. E poi se ne vanno via con una specie di risucchio».

Quali presenze?
«Uno è Giulio Ricordi, il grande editore musicale. Viveva a casa mia, vicino a Como. Ma quando l’ho presa non lo sapevo. Ora lo sento, vedo i particolari dei suoi vestiti, la sua barbetta, gli occhiali tondi. Mi ha fatto capire che è contento che a casa sua ci abiti io, gli piace come l’ho arredata. Ricordi è stato l’editore di Puccini, che io ascolto spesso. Forse non è un caso. Anche i gatti sono felici e se ne stanno a pancia all’aria quando metto Puccini nello stereo».

Cos’altro ascolta?
«Mi rilassano le colonne sonore di Ryuichi Sakamoto. E mi piace molto anche Marco Mengoni».


Torniamo al suo disco. Il primo singolo estratto, “Nessuno è come te”, parla di amori impossibili.
«A volte i sentimenti più forti sono quelli che non puoi vivere. Io stessa ho avuto un amore impossibile, perché lui era troppo giovane. Gli ho dedicato questo brano».

Perché ha fatto una cover di “Se io, se lei” trasformandola in una storia d’amore tra due donne?
«Per non rovinare la metrica originale del brano. Se avessi dovuto parlare di me, al femminile, avrei dovuto dire “Se io, se lui”. Invece la canzone era perfetta così».

Si è mai innamorata di una donna?
«Finora no» (ride).

A Biagio Antonacci questa versione è piaciuta?
«In un sms mi ha scritto che la canto con passione».

Tutto l’album è in italiano. Ma quando canta oggi i suoi grandi successi in inglese “Easy lady” e “Call me”, cosa prova?
«Mi torna in mente la spensieratezza degli Anni 80, che ricordo con tenerezza. Le canto sempre, in tutti i concerti, con lo stesso entusiasmo di allora».

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