Jain, intervista alla cantante-rivelazione francese di «Come»

Il suo album «Zanaka» esce il 22 aprile. Eccola in una bellissima versione acustica di «So peaceful»

19 Aprile 2016 alle 18:35

L’abbiamo vista a «Che tempo che fa», la sentiamo (tantissimo) nelle radio italiane: «Come» è una delle canzoni del momento. A cantarla è uno dei fenomeni emergenti del pop francese, una ragazza di 24 anni che si fa chiamare Jain. Nata a Tolosa, residente a Parigi ma cresciuta tra Dubai e il Congo, Jain ha esordito lo scorso anno con l’album «Zanaka» che il 22 aprile arriva in cd anche in Italia, dopo aver ottenuto un disco di platino in patria.

La incontro nella sede italiana della Sony a Milano, a due passi dal Duomo. Negli ultimi giorni, mi dicono, non è stata al massimo della forma. Eppure Jain ci accoglie con un sorriso dolcissimo e una gran voglia di raccontare la sua storia e la sua musica.

Mi racconti come mai hai scelto questo nome?
Considero questo soprannome una specie di “zoom” su di me, in particolare sulla parte di me che voglio mostrare. Un giorno ho letto questa frase della religione jainista che recita “Non essere deluso se perdi, non essere orgoglioso se vinci” e ho pensato che mi rappresentasse molto. E poi Jain suona un po’ come il mio vero nome, che è Jeanne.

In rete aleggia un alone di mistero intorno alla tua identità.
È vero, sul mio percorso artistico è molto più facile trovare informazioni rispetto alla mia vita privata. C’è un motivo per cui non dico mai a nessuno il mio cognome: i miei genitori sono persone molto, molto tranquille e… non vogliono venire allo scoperto. (Ride)


Mi racconti i viaggi che ti hanno portata lontana dalla Francia?
Ho vissuto in Congo per 4 anni, tra i 13/14 e i 16/17 anni, ma prima ancora ero stata a Dubai. Passare da un estremo all’altro mi ha fatto molto bene, perché ho avuto la possibilità di vivere due aspetti del mondo completamente diversi.

Com’era la vita quotidiana di una ragazzina francese in Congo?
È partita proprio lì la mia vita musicale, la voglia di fare canzoni. Quando mi sono messa a suonare non mi sentivo un’espatriata, ma una musicista, ero accettata come tale. È stato un periodo felice, suonavo sempre e mi integravo con tutti grazie alla musica.

Sei mai più tornata in Congo da allora o l’Africa resta un’ispirazione lontana?
Non sono mai tornata, anche se mantengo molti contatti con la gente del posto. L’ho fatto anche per preservare le mie memorie di quegli anni, non sostituendole con nuovi ricordi. Però sono molto legata a quella terra, spero di tornarci presto.

Prima di questi viaggi, durante l’infanzia, che rapporto avevi con la musica?
I miei genitori hanno sempre ascoltato tantissima musica, in casa mia si ascoltava di tutto, tantissimo blues e jazz. E poi le mie sorelle maggiori facevano parte di un coro. Quando avevo sette anni i miei mi hanno portato in Conservatorio e mi hanno detto: scegli uno strumento. E io ho scelto la batteria. Il mio amore per le percussioni è partito da lì.

Che tipo di supporto ti ha dato la tua famiglia nella tua crescita musicale? Ho visto che è al primo posto nei ringraziamenti del tuo cd.
Volevo ringraziarli perché sono stati importantissimi nella mia educazione musicale, sia i miei genitori che le mie sorelle, mi hanno sempre spronata a provare a fare musica, fin dai primissimi demo, mi dicevano sempre “Dai, provaci!“. Il loro attaccamento e la loro spinta sono state fondamentali per me.


Fin dal primo ascolto mi ha colpito molto l’omaggio di «Makeba». Com’è stato il tuo impatto con la musica di Miriam Makeba?
Per me Miriam Makeba era parte della famiglia, perché in casa mia si ascoltavano sempre le sue canzoni. Ho sempre amato non solo il personaggio e la sua musica, ma anche la sua voce calda e rassicurante. Quando sono andata su YouTube e ho visto le sue esibizioni dal vivo sono rimasta impressionata dalla forza di questa donna, infatti poi mi sono interessata anche alle sue lotte storiche. Io adoro le donne forti.

Se dovessi spiegare il tuo genere musicale a una persona che ha ascoltato soltanto una tua canzone, come lo descriveresti?
Io lo chiamo “meltin’ pop”. È una musica dove puoi trovare di tutto, è essenzialmente pop ma c’è dentro anche soul, electro, afro, hip hop… è come una grossa ciotola dove butto tutti gli ingredienti e mescolo fino ad arrivare… a Jain».

C’è molta ricerca grafica nel tuo cd ma anche nei tuoi videoclip. Quanto è importante per te l’aspetto visivo della performance?
Ho sempre avuto una passione per la grafica, quando mi sono trasferita a Parigi a 18 anni l’ho fatto per studiare proprio quello. Poi però ho scoperto che l’arte era meno divertente della musica e mi sono concentrata su quello. In ogni caso ho voluto sempre rimanere implicata nelle scelte artistiche del mio progetto, dalla copertina che è nata da un fotomontaggio che avevo fatto io con Photoshop, fino ai videoclip e al look.

A proposito di look, l’abito bianco e nero con cui ti esibisci è quasi un’uniforme.
Quando ho iniziato a fare musica, ai tempi dei primi demo, venivo sempre accostata al mondo del reggae. Così ho voluto prenderli in contropiede facendo qualcosa di un po’ inatteso. Inoltre questo contrasto assoluto tra nero e bianco rispecchia in qualche modo i contrasti che ritrovo nella mia musica.


Il titolo del tuo album, «Zanaka», è una parola malgascia (la lingua del Madagascar, ndr) che si riferisce al mondo dell’infanzia.
L’ho scelto per due motivi. Perché rappresenta tutti i viaggi della mia infanzia e racchiude le canzoni che ho scritto in quel periodo. E poi l’ho fatto come omaggio a mia madre, che è franco-malgascia.

Su YouTube ci sono alcune tue vecchie cover, prima del tuo debutto discografico. In una canti una canzone delle Destiny’s Child. Ti capita mai di rivedere quei video?
Quella non la riguardo da parecchio tempo! Però ricordo con piacere quei momenti, fanno comunque parte del mio percorso musicale. Quando ho registrato le mie canzoni, qualcuno mi ha consigliato di toglierle, ma io ho deciso di lasciarle. È da lì che sono partita per arrivare dove sono adesso.

La scena musicale franco-belga è molto vivace, anche il mercato discografico, e molti artisti come te riescono a varcare i confini con la loro musica.
Si sta raggiungendo un bel livello artistico dalle nostre parti. C’è qualcosa che bolle, si sta creando una sorta di “emulsione”. Artisti come Stromae e Maitre Gims hanno aperto la strada e tutti hanno voglia di percorrerla.

La musica italiana forse avrebbe bisogno di qualche consiglio. Tu ne hai uno?
Non saprei proprio. Forse riprendere le cose migliori del vostro passato e modernizzarle, renderle attuali. Questa potrebbe essere una buona idea.



Grazie a Daniel Marcoccia per la preziosa collaborazione.

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