Lorde: ecco perché «Melodrama» è super

È uscito il secondo, attesissimo disco della cantante neozelandese. Tra bisogno di solitudine e voglia di riprovarci poco alla volta

16 Giugno 2017 alle 14:54

Alla fine ci siamo ritrovati a vivere così: senza un'idea di futuro. Negli anni ’90 era diverso: il futuro, questo sconosciuto, c’era eccome. Il terzo millennio era a un passo e la musica "pop" (dai Nirvana ai Massive Attack, giusto per stare larghi) stava esprimendo la sua ansia liberatoria. Ora no, è cambiato tutto. Adesso si gode, ove possibile, il presente. Sublimando la noia, l'incertezza e il languore esistenziale in un qualcosa di estremamente piacevole ed alcolico. Ecco perché «Melodrama» il nuovo album della neozelandese Lorde, è un disco importante, importantissimo. E non per il semplice fatto che arrivi a quattro anni di distanza dal consenso globale del suo debutto «Pure Heroine» e di un singolo fortunatissimo come fu «Royals».

No, il motivo del nostro entusiasmo è un altro: Ella Yelich-O’Connor (il vero nome di Lorde) ci sta raccontando, dall'alto dei suoi vent’anni compiuti il novembre scorso, il mondo contemporaneo. E non lo fa, come è giusto che sia, alla maniera "politica" dell'ultimo Roger Waters. Lei d'altronde non è un ultra-settantenne con un passato da leggenda del rock e un pessimismo mai tenuto a freno. Lorde è una ragazza come tante che, uscita con le ossa rotte dalla sua prima relazione seria, si sta domandando: serata solitaria o discoteca fino all'alba con le amiche del cuore? Messaggi vocali spediti alle tre del mattino (e il tono confidenziale del suo cantato ce la fa immaginare con uno smartphone costantemente di fronte alla bocca) o pura reazione edonistica? Belle domande.

«Melodrama» non ce lo spiega mai fino in fondo e il suo valore sta proprio in questo. Nel suo rimanere in perfetto equilibrio tra vita vissuta e romanzo post-teenageriale. Tra ritornelli che sentiremo passare alla radio, ma che ci faranno pure sospirare di notte, muniti di un bel paio di cuffie. Altra ambiguità: musicalmente parlando (produce Jack Antonoff, il chitarrista dei fun) stiamo parlando di un lavoro che non lascia nulla al caso, ma non è algido come certe esigenti operazioni EDM o RnB. Eppure il battito c’è e si balla parecchio, sospesi tra malinconia ed euforia. Che poi, da Madonna ai New Order, è sempre stato questo il segreto di Pulcinella del miglior pop.


Da questo punto di vista ha già fatto sfracelli «Green Light», il primo singolo che nel remix dei Chromeo (presente nella versione deluxe dell'album) ha quell'ottimo basso gommoso che fa subito Phoenix delle origini e Daft Punk. Nella versione che apre il disco, invece, la stessa «Green Light» parte con accordi dolenti di pianoforte prima che una tastiera italo-dance (alla Simply Red del 1991...) la tramuti in uno dei brani più carismatici di questo 2017. L’altro pezzo forte di «Melodrama» è la corale «Perfect Places» - secondo singolo dell'album, appena lanciato - che possiede un crescendo talmente travolgente (più un Moog stile P.F.M.) che non ci dispiacerebbe sentirlo cantare da Régine Chassagne degli Arcade Fire in uno stadio zeppo come un uovo.


Eppure le vere gemme di «Melodrama» è probabile che le intercetterete su Spotify, direttamente selezionate da voi, piuttosto che in qualche playlist radiofonica: ci sta il tributo a Kate Bush (la spettrale «Writer In The Dark»), ma anche il martello-dance di «Supercut»; il gospel di «Liability (Reprise)» accompagnato da un beat trip-hop anni '90 e tanta altra bella musica tipo «Sober II» che attacca come un pezzo sinfonico dei Baustelle salvo poi tramutarsi in una melodia alla Lana Del Ray di «Born To Die». Per non dire di «Louvre» dove compare una delle pochissime chitarre del disco. Aspettatevela comparire in qualche futura serie TV tipo «Riverdale».

Mettiamola in questa maniera: se Joni Mitchell, la regina assoluta del cantautorato internazionale, fosse nata nel 1995 (e non durante la Seconda Guerra Mondiale), oggi probabilmente scriverebbe canzoni così. Perché in definitiva «Melodrama» è il «Ladies Of The Canyon» del 2017. Musica interpretata da un'anima femminile che non sa darsi per vinta. Confusa come in un film di Terrence Malick (avete presente la sua ultima pellicola «Song To Song»?), ma con la luce della redenzione costantemente filtrata su di lei. In parole povere: un capolavoro mainstream di questi tempi complicati. Fatelo vostro.

Tracklist

01. Green Light
02. Sober
03. Homemade Dynamite
04. The Louvre
05. Liability
06. Hard Feelings/Loveless
07. Sober II (Melodrama)
08. Writer in the Dark
09. Supercut
10. Liability (Reprise)
11. Perfect Places

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