Il cantante ci racconta il suo nuovo disco Sputnik che esce l’8 giugno

È un momento di grande festa per Luca Carboni. Il suo nuovo singolo, che s’intitola proprio «Una grande festa», uscito (a sorpresa) lo scorso 27 aprile, è schizzato subito in cima alla classifica delle radio italiane. Un tipico caso di tormentone pre-estivo. Carboni ce lo spiega così: «Ognuno spera sempre nella propria grande festa, un momento di liberazione in cui sentirsi libero e in empatia con gli altri. È una canzone che gioca ironicamente con le regole del pop: per passare in radio ed essere leggeri bisogna parlare di certe cose e non di altre, come la morte, la rabbia, la protesta. È un inno all’allegria».
Musicalmente si torna all’elettro-pop a cui Carboni si è dedicato negli ultimi anni: tanti sintetizzatori e tastiere, niente chitarre. «L’elettro-pop è una situazione musicale che affonda le radici nella “new wave” dei primi Anni 80, è qualcosa che amavo e che mi appartiene». Bolognese di nascita e per scelta, 55 anni di cui due terzi trascorsi a suonare e cantare, Luca Carboni dagli Anni 80 a oggi non si è mai fermato. Dopo questo singolo, il prossimo 8 giugno pubblicherà l’album «Sputnik». Il titolo rimanda al primo satellite lanciato nello spazio dai russi nel lontano 1957: «Mi affascinava questa storia e mi piaceva la parola, che significa “compagno di viaggio”. Anche un disco, dopo tutto, è tondo come lo Sputnik e può essere un buon compagno di viaggio».
L’album contiene nove pezzi («È la misura dei vecchi vinili a cui sono rimasto affezionato» dice) e il filo che lega tutte le canzoni è l’amore («Un sentimento che permea tutti i miei dischi» spiega). A volte viene tratteggiato con ironia (come in «Amore digitale»), spruzzato con citazioni di Bukowski («Io non voglio», scritta assieme a Calcutta) e frasi della poetessa Wislawa Szymborska rintracciate qua e là: «Amo la poesia e, scrivendo, le citazioni mi vengono istintive» dice. «Prima di partire» è un altro bel pezzo ritmato, composto con il cantautore Giorgio Poi, e infine c’è il brano che dà il titolo all’album: «Una canzone sull’uomo e sul nostro bistrattato pianeta visto da lontano, come dallo Sputnik».