Lukas Graham: dopo «7 Years», il nuovo album, l’intervista

Il 1 aprile esce «Lukas Graham»: dalla comunità hippy al successo americano, ecco cosa ci ha raccontato la band danese

I Lukas Graham  Credit: © Ufficio stampa
8 Marzo 2016 alle 16:15

Una canzone da record perché In Italia ha conquistato da poco la certificazione oro, ma il singolo «7 Years» sembra essere quasi essere fuori dalle logiche numeriche: le atmosfere sonore e una voce magnetica si uniscono ad un racconto familiare di valori e rispetto. È la storia dei Lukas Graham ovvero Lukas Graham (voce), Mark Falgren (batteria), Magnus Larsson (basso) e Kasper Daugaard (tastiera). Anche se non si fermano dal 2012, questa è la loro prima volta in Italia come band: i quattro ragazzi ci raccontano le loro avventure musicali con una determinazione ammirevole e una buona dose di umiltà.

Ciao Lukas, tu sei cresciuto a Christiania, comunità fondata nel 1971: è un esperimento sociale alternativo ma, per noi, davvero affascinante. Come la descrivi?
«È un comune hippy, una piccola città nel centro di Copenaghen che nasce da una vecchia base militare. Nelle strade, non ci sono luci né automobili ma abbiamo una scuderia con 15 cavalli. C’è l’asilo, il club sportivo, una sala da concerto, ristoranti e bar. Nella città vivono circa 800 persone: è una comunità molto ristretta con un forte senso di lealtà e di appartenenza che penso di aver portato con me in giro per il mondo».

Parliamo della tua famiglia: che genere di musica si ascoltava nella tua casa?
«Tante cose diverse. Sono cresciuto cantando il folk irlandese e quando avevo 8 anni, ho iniziato a studiare la musica classica. Mio padre aveva una collezione musicale davvero eclettica: dai Rolling Stones ai Beatles, gli Who, Otis Redding, James Brown fino a Elvis Costello, The Prodigy e The Streets. Qualsiasi genere di musica che si possa immaginare era nella collezione di dischi di mio papà».

Invece, voi quando vi siete incontrati?
«Andavamo a scuola insieme ma non allo stesso anno: Magnus (il bassista) e Kasper (tastierista) sono i più “grandi” [sorride]. Ho iniziato a scrivere le canzoni nel 2009 e la band si è formata nel 2010, è stato poi naturale decidere di chiamarci “Lukas Graham” perchè le canzoni sono molto personali. Lo spirito della band si manifesta benissimo durante i live show».

Prima di formare il gruppo, eravate proiettati verso il mondo musicale?
«Dal pianoforte alla batteria, ognuno di noi ha iniziato a suonare gli strumenti sin da bambino. Personalmente ho sempre cantato, all’età di 8 anni ho iniziato a prendere lezioni; poi ho studiato legge fino al momento in cui è arrivato il contratto discografico. In pratica, insieme abbiamo più di ottant’anni di esperienza musicale! [ride]».

Il 1 aprile esce il vostro secondo album: undici storie personali, di vita vera. C’è un tema che le lega tra loro?
Lukas: «No, si tratta semplicemente di buone canzoni e buona musica, lavorate accuratamente. Non c'è un tema che le unisce, o forse la personalità?» 
Magnus: «Il disco è un’istantanea della vita di Lukas dai 20 ai 30 anni. Stare insieme per così tanto tempo vuol dire attraversare con lui tutti i momenti più difficili, come lo è stato la perdita del padre. In questo album ascolterete quello che è accaduto nella vita di Lukas negli ultimi anni.» 
Lukas: «Si potrebbe paragonare ad una lunga seduta psicologica! [ride]».

Lukas, è interessante anche la copertina del disco, raffigura un dipinto. Qual è il suo significato?
«Lo stesso quadro si trova in un café vicino a dove sono cresciuto: in quel posto, ho conservato ricordi dei miei genitori e quella raffigurazione rappresenta la mia adolescenza. È diventato un posto speciale anche per la band perchè ci andavamo dopo le prove e i concerti. Ti ricordi la scena della fontana de “La Dolce Vita”? La donna nuda in questa foto è proprio Anita Ekberg, la protagonista del film. Credo che il quadro descriva molto bene la nostra musica: è nuda e curiosa».

Le note di «7 Years» stanno girando il mondo: è una canzone toccante, colpisce al primo ascolto: quando l’hai scritta?
«È prima su Spotify e iTunes, è incredibile! L’ho scritta due anni fa: uno dei miei produttori stava suonando il piano e io cantai “One I was 7 years old my mama told me”, tre ore dopo era già finita. È difficile spiegare il mio processo creativo: scrivo i testi di notte oppure vado in studio e mentre i ragazzi suonano, ho già il brano in testa. È in continuo divenire».

In Danimarca avete avuto un successo strepitoso, da subito. Eravate fiduciosi che potesse succedere anche in America?
«Abbastanza. Non vorrei sembrare arrogante ma abbiamo lavorato a lungo con questo obiettivo, arrivare negli Stati Uniti. In tre anni, abbiamo fatto due showcase a Los Angeles e due a New York: ora, il nostro primo tour lì è quasi esaurito, quindici dei ventuno concerti sono sold out. È sorprendente!».

Ora, cosa vi aspettate?
«Speriamo per il meglio senza aspettarci nulla: è il mantra che ripetiamo negli ultimi anni. Vogliamo solo esibirci dal vivo, e questa è la nostra ambizione principale».

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