Marco Castello: “Contenta tu” è un album scritto nel modo più schietto possibile

Il cantautore ci racconta il suo album di debutto, tra la sua bellissima Siracusa e l'occasione che gli ha cambiato la vita

Marco Castello  Credit: © Glauco Canalis
22 Marzo 2021 alle 15:00

«Mi chiamo Marco, ho 27 anni, vengo da Siracusa e mi piace suonare e cantare» così si presenta Marco Castello quando lo contattiamo per l'intervista in occasione del suo album "Contenta tu". Poche parole, concise, proprio come i suoi testi, ironici e taglienti come chi non ha tempo da perdere con fronzoli poetici, ma vuole arrivare dritto al punto, anche se un punto non c'è. «Passavo i pomeriggi molto più in sala prove che sui libri» sembra la descrizione perfetta per questo cantautore siciliano che grazie all'incontro con Erlend Øye dei Kings of Convenience ha trasformato la sua passione in una carriera in crescita.


"L'indie mi fa ca*are" o "Sei bella, ma cretina", ma anche "Faccio pietà, che i cani morti mi danno le pacche di solidarietà" sono solo alcuni esempi della sua penna irriverente. Per quanto riguarda il sound, i suoi singoli come "Cicciona" e "Porsi" avevano già anticipato il mix di cantautorato italiano alla Battisti, Dalla e Carella, unito a sonorità contemporanee come quelle di Mac DeMarco e Mild High Club, ma anche Bob Marley e Beatles, palesando la volontà del cantautore siciliano di crearsi una propria identità, senza restare intrappolato ed etichettato. «Essendo un'opera prima ci ho buttato dentro tutte le idee che avevo in mente da una vita e quindi è un contenitore davvero pieno e vario» così ha descritto Marco questo suo primo album, nato per caso, forse per gioco, a pochi passi da casa dopo un lungo girovagare.

Ci racconti un po' com'è nato il tuo album "Contenta tu"?
Inizialmente erano solamente delle canzoni che non c'entravano molto l'una con l'altra, poi grazie alla spinta e all'incoraggiamento di Erlend Øye [Kings of Convenience] con cui ho suonato negli ultimi tre anni, e al suo socio Marcin Oz, ma grazie anche a Bubbles Records e a 42 Records, l'album ha preso forma. Non tratta molti temi, però un'esigenza particolare che ho sentito nello scrivere i testi è stata quella di descrivere e di criticare, attraverso le storie che racconto, il contesto della mia bellissima città. Siracusa, come tantissime città italiane, ha dei paradossi che mi fanno riflettere, mi ispirano, ma volte anche arrabbiare.

Visto che hai già accennato a Erlend Øye, come vi siete incontrati e quanto ti ha influenzato per il tuo percorso artistico?
Lui è l'inizio di questa storia. Mi ha aperto gli occhi sull'attenzione che ci vuole per i dettagli quando si registra, mi ha fatto scoprire la magia del suonare tutti insieme e la bellezza di farlo in acustico. Diciamo anche che mi ha svoltato la vita: quando l'ho conosciuto avevo finito l'università e non sapevo cosa fare, lavoravo in un pub a Siracusa e lì, casualmente, ci siamo incontrati. Grazie a varie jam session e cene ci siamo ritrovati a suonare insieme, con altri due musicisti che sono Luigi Orofino, Stefano Ortisi, con cui poi abbiamo fondato La Comitiva, il progetto con cui l'ho seguito per due anni. È stata un'occasione rara, anche perché ero appena tornato da Milano dove per quattro anni avevo studiato ed ero molto scoraggiato sulle opportunità future. E invece l'occasione giusta l'ho trovata proprio a casa mia.

Nel tuo album parli della tua Siracusa, ma nella tua carriera troviamo anche Milano come tappa fondamentale per la tua formazione. Due città all'opposto: come ti hanno influenzato?
Non tanto le città quanto le conoscenze che ho frequentato. Sono agli antipodi geograficamente, ma anche come esperienze di vita. Inizialmente, abituato a Milano, quando tornavo giù mi infastidivo, però allo stesso tempo mi rendevo conto che non ero adatto ai ritmi frenetici milanesi, sebbene apprezzi moltissimo il suo essere attiva, partecipe e funzionante. La commistione tra queste due polarità ha funzionato.

Compositore, cantautore e polistrumentista: come e quando ti sei avvicinato al fare musica?
Ho cominciato a suonare molto molto piccolo e ho sempre ascoltato tantissima musica, grazie a una famiglia di musicisti: mio padre suonava la batterista, la mamma la chitarra e i miei fratelli studiavano musica. Per me gli strumenti musicali sono stati dei bellissimi giocattoli e avere approcciato alla musica come un gioco è stato fondamentale. Ho continuato a suonare per tutto il liceo e all'università, sperimentando più sound senza un genere prediletto. A un certo punto ho deciso di studiare tromba jazz a Milano, ma stando attento a non restare chiuso dentro un'unica etichetta di genere, ma anzi spaziando il più possibile – e questa è una cosa di cui sono contento di me e della mia musica.

Curiosità sui tuoi testi, molto schietti e ironici: provochi per indole naturale o vuoi lanciare qualche frecciatina?
Entrambe le cose, molto spesso mi rendo fastidioso e questo me lo dicono un sacco di persone. I brani del disco sono i primi che ho scritto in italiano, non mi andava di cercare un linguaggio particolare e molto spesso ho messo davvero poca attenzione nella scelta delle parole. Non mi piace il linguaggio forzatamente poetico che poi alla fine risulta anche un po' ripetitivo e "falso", piuttosto ho scelto di scrivere come parlo nella vita di tutti i giorni. E poi, siccome è pop e vogliamo raccontare le cose che ci riguardano per far immedesimare gli ascoltatori, allora mi andava di scrivere nella maniera più schietta possibile. Ovviamente tutto sublimato dalle mani e dal cervello di Lorenzo Pisoni e Leonardo Varsalona, rispettivamente il bassista e tastierista.

Seguici