Michael Bublé presenta il nuovo album “Higher”

Immaginate di aver voglia di ascoltare una bella canzone d’amore pop, ma anche un classico del jazz e magari un Barry White d’annata…

25 Marzo 2022 alle 08:29

Immaginate di aver voglia di ascoltare una bella canzone d’amore pop, ma anche, dai!, un classico del jazz e magari un Barry White d’annata… Ed ecco che puntuale arriva Michael Bublé che, come sempre, mette tutto questo insieme in un nuovo album, che si chiama “Higher” ed esce il 25 marzo. E come sempre ci viene da chiedere: ma in quale genere possiamo catalogare il cantante canadese? Sorrisi glielo ha domandato senza giri di parole, e lui ha risposto con la felicità non solo dell’artista che presenta un disco nuovo, ma anche del padre che aspetta il quarto figlio.

Michael, quando lei vuole comprare uno dei suoi dischi, in quale settore del negozio si dirige?
«Sarebbe ora che ne aprissero uno di “Pop-jazz”! Anzi, come ha detto uno dei miei migliori amici, un settore “Disposable pop-jazz”, cioè pop-jazz usa-e-getta. Comunque quest’ansia di categorizzare sempre è esagerata… Ci penso spesso, sa? Soprattutto all’aeroporto».

Perché all’aeroporto?
«Ha presente la classica domanda che fanno al controllo del passaporto: “Occupazione?”. Ecco, ogni tanto la fanno anche a me, e non rispondo mai “recording artist”, cantante, ma sempre “intrattenitore”. E immancabilmente insistono: “Ma di che tipo?”. E io: “Di tutti i tipi!”».

Rovescio il punto di vista, allora: qual è il suo pubblico? Chi può gustare allo stesso modo sia le sue canzoni pop sia, guardando la tracklist di “Higher”, cover di Bob Dylan, di Paul McCartney e perfino dell’eterna “Smile” di Charlie Chaplin?
«Credo di avere l’audience più variegata del mondo: dal mio palcoscenico vedo giovanissimi e anziani, neri e bianchi, gay ed etero, ricchi e poveri, e cerco di adattarmi a tutti. E poi mi piace rimbalzare tra i generi… C’è un altro artista che lo fa? Onestamente non lo so».

Lei ha doppia cittadinanza, canadese e italiana. Qual è il suo lato canadese e quale quello italiano?
«Intanto le ricordo che sono anche un po’ croato, poi dico che, da buon canadese, ho un piccolo campo da hockey su ghiaccio nel seminterrato di casa, ma sopra c’è il campetto da calcio! Insomma, tutto convive in un bel clima familiare, rumoroso, un po’ litigioso, sempre allegro… Ecco, il nostro humour è canadese, quindi autoironico, secco, ma calore e passionalità sono italiani. E comunque i miei parenti in Italia sono molto più americanizzati di noi: ogni volta che parlo delle abitudini dei miei nonni e dei miei zii, mi dicono: “Roba vecchia!”. Ma i miei avevano veramente paura di perdere la loro italianità, e credo che fosse per questo che in casa si ascoltavano sempre Dean Martin, Al Martino, Tony Bennett, Louis Prima: perché erano gente “nostra”, di cui essere orgogliosi».

Quali sono le sue canzoni italiane del cuore?
«Vi farà ridere, ma io amo così tanto Louis Prima che direi “Che la luna” (inizia a cantare: “C’è ’na luna mezz’u mare”, ndr). Mio nonno, però, cantava sempre “Non dimenticar” e “Arrivederci Roma” (e canta ancora, ndr)… E poi vogliamo parlare di “Bongo cha cha cha” di Caterina Valente? (altra esibizione, ndr). E quanto ho ascoltato “Nel blu, dipinto di blu”: che capolavoro! (e qui lancia un “Volare!” a pieni polmoni, ndr)».

In “Higher” non ci sono canzoni del repertorio italiano, ma c’è un duetto particolare: “Crazy”, cantato con il mito del country Willie Nelson…
«Per essere chiari: è il mio duetto preferito di sempre. Tutti conoscono “Crazy” nella versione portata al successo da Patsy Cline nel 1961, ma io l’ho sempre ascoltata cantata da Willie, che l’aveva scritta, ma la incise un anno dopo di lei».

Lei è un consumatore di musica accanito, ha detto: «In casa mia, tra me, mia moglie Luisana e i nostri tre figli, le canzoni non si fermano mai». Ha poi ammesso di aver vissuto per anni “col paraocchi” perché pensava solo a cantare. Ma con la famiglia è cambiato tutto…
«Sì, e in un attimo. È stato quando mi hanno dato in braccio Noah, il mio primogenito appena nato. Lì ho buttato via il paraocchi, perché ho capito che il vero proposito della mia vita era diventare ciò che sono oggi: un padre e un marito che, fra l’altro, ama anche cantare».

“Christmas”, il suo album natalizio, dal 2011 ha venduto 15 milioni di copie e ogni anno torna in testa alle classifiche. Come ci si sente a essere la colonna sonora di Babbo Natale?
«Bene, perché mi sento ormai una piccola parte di una tradizione che amo molto. Ammetto che le canzoni natalizie annoiano un po’ anche me, ma puntualmente ogni novembre la nostalgia mi travolge, riscopro anch’io il mio disco e capisco che sta per arrivare un momento bellissimo dell’anno. Mi hanno sfinito solo certe battutine ripetute all’infinito. Quando sento per la novemiliardesima volta uno che fa: “Hey Bublé, ti hanno tirato fuori dal congelatore?”, vorrei dirgli: “Faresti meglio a tornare alla scuola elementare della simpatia, o a trovarti un amico vero che finalmente ti dica che hai un senso dell’umorismo proprio scadente”».

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