Michael Bublé: «Sono tornato per darvi tutto l’amore che posso»

Il cantante canadese non si ritira e racconta a Sorrisi in anteprima com'è nato il suo nuovo album «Love»

Michael Bublé
24 Ottobre 2018 alle 11:10

«Lo spettacolo deve continuare» è una legge non scritta che vale per molti artisti ma non per tutti. Di certo non vale per Michael Bublé, che due anni fa ha disdetto da un giorno all’altro tutti i suoi impegni professionali per combattere assieme a sua moglie, l’attrice argentina Luisana Lopilato, la battaglia della vita. In gioco c’era il futuro del piccolo Noah, il loro primogenito di tre anni a cui era appena stato diagnosticato il cancro al fegato.

«Ero finito all’improvviso in un luogo spaventoso che non sembrava avere una via d’uscita. Non pensavo ad altro che a mio figlio, tutto il resto non aveva più senso per me, non esisteva» ci spiega il cantante canadese, che ha invitato Sorrisi a Londra per raccontare il suo atteso ritorno ora che la battaglia è stata vinta (il ritiro di Bublé, annunciato da alcuni media italiani e internazionali a metà ottobre, era solo una «fake news» generata da un equivoco). Gli occhi, che in alcuni momenti si bagnano di lacrime, e le parole, pronunciate a voce bassa, ci fanno capire che il Michael Bublé seduto davanti a noi, nella suite di un hotel nel cuore di Westminster, non è lo stesso del nostro ultimo incontro.

Michael, che cosa è cambiato in lei dopo questa esperienza?
«Ho scoperto quello di cui quasi tutti si rendono conto alla fine della vita, quando ormai è troppo tardi, e cioè che il potere, i soldi e il successo non ti danno la felicità, solo l’amore e la famiglia possono farlo. La paura di perdere Noah me l’ha fatto capire a 41 anni e oggi sono un uomo migliore e completo, più felice e più umile. Non augurerei neanche al mio peggior nemico quello che è capitato a me, ma auguro a tutti di arrivare a questa consapevolezza».


In che modo il nuovo album «Love» riflette quello che ha passato?
«Durante la malattia di mio figlio, l’amore che ho sentito intorno a me, le manifestazioni di affetto dei fan, la loro bontà, mi aiutavano ad andare avanti anche nei giorni più bui, quelli che io e Luisana non avremmo mai voluto vivere. Tutto questo l’ho riversato nell’album. “Love” è il segno della mia gratitudine e un omaggio all’amore».

Come si sono fatti sentire i fan?
«Ogni giorno arrivavano messaggi pieni di speranza, nelle chiese e nelle sinagoghe in ogni parte del mondo la gente pregava per noi. Devo molto anche alle mie sorelle che vivono in Canada. Hanno lasciato il lavoro per venire a stare da noi a Los Angeles».

Nell’album, tra classici come «When I fall in love» , c’è «Forever now», in cui lei si rivolge a Noah. Com’è nato?
«L’idea iniziale era quella di scrivere una canzone nostalgica sulla bellezza e l’orgoglio di essere genitori, che valesse per i padri, le madri, i nonni e i bisnonni. Un brano di speranza, insomma, ma poi si è trasformato in qualcosa di molto personale, forse troppo».

Il verso «Sei consapevole come chiunque altro di quanto dura possa essere la vita» rivolto a un bambino ha un forte impatto su chi ascolta...
«Me ne rendo conto. Gli dico anche “Prego affinché tu non abbia mai più bisogno della forza che c’è in te”. Probabilmente non canterò mai in pubblico “Forever now”, mi farebbe troppo male. Forse ho sbagliato a inserirla nel disco, quando riascolto l’album è l’unica canzone che salto. L’avevo registrata per me in un piccolo studio in Argentina e doveva rimanere nel cassetto. Mi ha convinto il mio produttore, David Foster. Secondo lui non ho mai scritto un brano più bello di questo».

Il fatto che lei racconti alla stampa il dramma di suo figlio proprio mentre sta per uscire il nuovo disco potrebbe attirare su di lei qualche critica. Ci ha pensato?
«Certo, mi sono posto il problema e ammetto che si tratta di un conflitto d’interessi. Ma come potrei non farlo visto che l’album è nato da quello che io e la mia famiglia abbiamo vissuto negli ultimi due anni? A un certo punto, però, dovrò smettere di raccontare ai giornalisti la storia di Noah e parlare solo di musica. Un giorno, se lo vorrà, sarà lui a farlo».

In sette anni, il suo «Christmas» è diventato il disco di Natale per antonomasia, vendendo 14 milioni di copie. Con «Love» intende ripetere quel successo?
«Ormai non m’importa più di battere i record, però vorrei che “Love” diventasse l’album di riferimento nel suo genere, proprio come è successo a “Christmas”. E se anche non dovesse avere lo stesso successo, io avrò vinto comunque perché sono tornato con il disco che sognavo di fare. È stato come giocare una partita a scacchi e alla fine sono stato io a dare scacco matto».

Fino a due anni fa quanto erano importanti per lei i numeri e i record?
«Lo erano al punto da andare nel panico se un album non debuttava al primo posto o perdeva posizioni in classifica. Il mio ego, l’idea di essere una superstar,  avevano preso il sopravvento. Ora invece mi chiedo ogni mattina: “Sono felice? La mia famiglia sta bene? Sono fiero del mio lavoro?” Non uso  più i social e non leggo che cosa scrivono di me, nemmeno le interviste. A volte l’ignoranza è una benedizione».


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