I Negramaro e «Amore Che Torni»: «Siamo affondati nel buio, ora c’è luce»

Settimo album (stavolta non previsto...) per il gruppo salentino e tour negli stadi nell'estate 2018. La nostra intervista a Giuliano Sangiorgi e soci

17 Novembre 2017 alle 13:15

La location è senz'altro suggestiva - il Planetario di Torino, posto sulla collina di Pino Torinese e affacciato sull'intera città sabauda - ed è qui che i sei Negramaro hanno incontrato la stampa italiana per descrivere le emozioni legate alla pubblicazione di «Amore Che Torni», settimo album del combo pugliese in uscita (in barba alla superstizione) questo venerdì 17 novembre.

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Un disco intriso di elettronica sognante e grande ariosità vocale, come il marchio di fabbrica dei salentini da sempre ci insegna. Un'opera nata per caso, si dice spesso così, ma stavolta è proprio il caso di scriverlo visto che i Negramaro - all'incirca un anno fa - si sono sciolti all'insaputa di tutti. 

«Molto banalmente non ci piaceva più stare vicini tra di noi», spiega senza un filo di imbarazzo il cantante Giuliano Sangiorgi come se stesse raccontando di un paio di scarpe strette. «E visto che questa non è una band, ma una piccola azienda di una ventina di persone, diciamo che tale fastidio reciproco non era proprio il massimo in previsione di creare musica.».

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Così, senza far rumore, gli autori del recentissimo singolo «Fino all'imbrunire» hanno lasciato "scorrere" i loro legittimi malumori e ora il peggio sembra davvero lasciato alle spalle. Come quell'intenso viaggio cosmico verso il sole, proiettato sul soffitto dello stesso Planetario, si è lasciato alle spalle la Terra. «Sì, siamo cresciuti: molto maturati.», conferma il leader Sangiorgi (con tanto di bomberino vintage azzurro) prima di lanciarsi in quest'intervista a metà tra promozione e terapia.


Dunque è vero: siete stati ad un passo dallo scioglimento definitivo...
Diciamo pure che ci siamo sciolti. Giusto per un paio di mesi, ma pur sempre sciolti: la band, tra la fine del 2016 e i primi mesi di quest'anno, non esisteva più. Fine delle trasmissioni, stop, arrivederci e grazie.

E poi cos'è successo?
Io sono andato a New York in cerca di nuovi stimoli, ma alla fine ho respirato solo della gran solitudine. Una solitudine pazzesca, come non ne avevo mai provata in vita mia. E te lo dice uno che, a stare da solo, non si è mai fatto dei gran problemi...

Come passavi le giornate?
La Grande Mela era strana in quel periodo: era appena stato eletto Trump, si parlava di costruire un grande muro al confine col Messico, la gente camminava a testa bassa, molto incupita. Mi sono ribellato a tutto ciò. La scintilla è scoccata sul ponte di ponte di Manhattan: stavo sentendo in cuffia il jazz di Chet Baker e all'improvviso mi è venuta voglia di scrivere una canzone. Quel brano, New York e Nocciola, è diventata la terza traccia del nostro nuovo disco.

All'ipotesi di un tuo album solista hai mai pensato?
No, mai. Finendo i Negramaro, ero finito anch'io. Era finita anche la mia musica, visto che io ho sempre ragionato in termini di band. Da ragazzino suonavo per finta una racchetta da tennis sentendo nella mia cameretta Rattle and Hum degli U2. E se non sono un gruppo compatto gli U2, dimmelo tu chi posso citarti! (ride) La carriera in proprio non mi ha mai attirato: far musica assieme a qualcun altro produce sempre qualcosa. Ci fa uscire dal cinismo, ecco. 

Torniamo un attimo alla crisi.
Non è stata una litigata pazzesca, come si pensa di solito in questi casi. Non ci siamo spaccati le chitarre in testa, non sono volati gli stracci. No, è semplicemente successo. Come una coppia che non ha più nulla da dirsi.

Era la prima volta?
No, già in passato ci siamo trovati in situazioni simili: abbiamo patito pressioni tremende legate al nostro lavoro: dischi da consegnare all'etichetta, tour da organizzare ecc. E invece di fermarci a riflettere, come questa volta, siamo andati avanti puntando ad un obiettivo comune. Pensavamo di sfangarcela anche in questa occasione, ma a questo giro non avevamo voglia di assuefarci alla "vita da band", al dare tutto per scontato. E così ce ne siamo andati ognuno per la nostra strada: c'è chi nel frattempo si è sposato, chi ha fatto figli, chi si è messo a vagabondare per una grande metropoli americana...

Dopo la crisi, il repentino riappacificamento. Come sono andate le cose?
Anche in quel caso si è trattato di una scintilla: un lampo per far finire tutto, un lampo per riaccendere la fiamma. Mi è bastato andare a cena una sera con Andrea (Mariano, il tastierista. Ndr), spendere poche parole con lui e alla fine dirgli: 'Senti, io avrei scritto questa: la vuoi ascoltare?'. Questa, per la cronaca, era una canzone che poi non è finita sul disco. Un brano dove parlavo di una bambina piccola. A quel punto Andrea, un po' commosso, mi fa: 'Ma è dedicata a mia figlia che sta nascendo?'. E io ne ero completamente all'insaputa! Ci siamo riabbracciati e da lì è rinata la band.

Qual è stata la morale di tutto ciò?
Un grande senso di paura - per un paio di mesi, non sentendo gli altri, avevo davvero temuto che tutto si fosse compromesso una volta per tutte - superato poi da una dose di energia e lucidità che mi ha davvero sconvolto. Pensa solo che nel novembre 2016 non esistevamo più e ora, a un anno esatto di distanza, abbiamo un nuovo disco tra le mani. Quante cose possono accadere in solo dodici mesi, eh? Già solo questo fatto dovrebbe farci riflettere. Chi lo sa, magari sarà il viatico per altri vent'anni di Negramaro... (sorride)

Intanto l'estate prossima vi aspettano nuovamente gli stadi. Pronti per quest'altro stress?
Sì e i primi mesi del 2018 ci serviranno per mettere a punto questi sei concerti oceanici. Mi immagino uno spettacolo spaziale e stellato, un po' come questa presentazione al Planetario di Torino. La proposta, se devo dirtela tutta, ci ha un po' spiazzato: noi avevamo «Amore Che Torni» tra le mani e ci andavano bene sia i club che i palasport. Ci bastava suonare. Il nostro promoter, al contrario, ci ha detto che questo è un album studiato per i grandi spazi. E quindi ben vengano gli stadi.

Nell'ultimo brano del disco, «Ci sto pensando da un po'», citi addirittura Fabrizio De André. E mi riferisco al parlato de «Le Nuvole» di Faber: lui lo fece recitare da due signore anziane (Lalla Pisano e Maria Mereu), tu dalla tua nipotina Maria Sole Sangiorgi. Perchè?
Beh, partiamo da De André: quando uscì «Le Nuvole» (autunno 1990, ndr) mi fece capire che questo ragazzino mezzo metallaro, innamorato dei Deep Purple e di Yngwie Malmsteen, doveva ancora farne di strada per capire che la musica è infinita e va ben oltre il concetto di genere. La scelta di Maria Sole, invece, nasce dal fatto che mi piaceva far ripetere quelle parole di speranza, di qualcosa che deve ancora avvenire, a una bambina che sta per affacciarsi alla vita. E non a una persona che l'ha già percorsa quasi tutta.

Insomma, come scrivete nelle note di copertina del vostro lussuoso doppio vinile: «Back to the future, still together!»...
Già, siamo tornati: il buio è alle spalle e ora c'è tanta luce attorno a noi. Andiamo là fuori e raccontiamo cosa ci è successo. Senza paura.

Tracklist

1. FINO ALL'IMBRUNIRE

2. RIDAMMI INDIETRO IL CUORE

3. NEW YORK E NOCCIOLA

4. MI BASTA

5. AMORE CHE TORNI

6. LA CHIAVE, LE VIRTU' E L'ARROGANZA

7. PER UNO COME ME

8. L'ANIMA VISTA DA QUI

9. PEZZI DI TE

10. LA PRIMA VOLTA

11. L'ULTIMA VOLTA

12. CI STO PENSANDO DA UN PO'

Il tour 2018 negli stadi

24 giugno - Lignano Sabbiadoro (stadio G. Teghil)

27 giugno - Milano (stadio San Siro)

30 giugno - Roma (stadio Olimpico)

5 luglio - Pescara (stadio Adriatico)

8 luglio - Messina (stadio San Filippo)

13 luglio - Lecce (stadio Via del Mare)

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