Paola Turci racconta il suo nuovo album «Il secondo cuore»

Dopo il successo del brano di Sanremo «Fatti bella per te» la cantautrice romana il 31 marzo torna nei negozi con un disco di inediti, il primo dopo 5 anni

Paola Turci  Credit: © Pigi Cipelli
30 Marzo 2017 alle 18:24

A un mese e mezzo da Sanremo, dove è stata acclamata per il brano «Fatti bella per te» (diventato, nel frattempo, un successo radiofonico) Paola Turci dal 31 marzo torna nei negozi dopo 5 anni con un album di inediti, «Il secondo cuore». L'abbiamo raggiunta al telefono per farci raccontare le sue nuove canzoni.

Paola, mettiamo un punto e a capo sul Festival. Cosa ti sei portata a casa da Sanremo?
«Oh, mamma mia! Valigie e valigie di affetto e di riconoscenza. Sono contenta che il messaggio della canzone sia arrivato alle persone, è una cosa che mi gratifica e mi dà ancora più forza. Quando dici qualcosa che riguarda te stesso rischi di essere autoreferenziale, e invece il tema che ho portato è stato condiviso da un sacco di gente. Per me è un regalo e una grande soddisfazione».

Ti ha fatto piacere o ti ha dato fastidio che a Sanremo, oltre che della canzone, si parlasse tanto anche del tuo look così elegante ma così forte?
«In una grande manifestazione come Sanremo l'aspetto è importantissimo, io ci tenevo che il mio look fosse in sintonia con il brano che presentavo. Per me non è stato difficile perché quello che ho mostrato è quello che sono. Per un'età che ho raggiunto, mi piace mescolare il maschile con una sensualità femminile, da lì è nata l'idea di abbinare la giacca al “nudo” del reggiseno».


Parlando ancora di «Fatti bella per te», il brano è la prima traccia dell'album. È anche una porta d'ingresso.
«Mi piace questa immagine, perché in fondo è così. L'ho messo all'inizio perché è il brano che già si conosce, mi sono immaginata un ascoltatore che mette il disco “sul piatto” e lo ascolta, volevo che si sentisse un po' a casa sua, è un pezzo che vuole esprimere accoglienza. Comunque è venuto naturale. Invece dal vivo non sarà così, non sarà la prima canzone dei concerti».

Ah sì? E con quale canzone aprirai i live?
«Potrebbe essere “La vita che ho deciso” oppure “La prima volta al mondo”. Devo ancora decidermi».

A proposito di «La vita che ho deciso», è la canzone in cui nomini per la prima volta nell'album il «secondo cuore», un concetto che ritorna più volte nel disco e che gli dà anche il titolo.
«È un'idea che nasce dal testo di “Nel mio secondo cuore”, un regalo che mi ha fatto Enzo Avitabile. È una definizione che mi ha colpita perché finalmente posso dare un nome a quel luogo dove albergano la creatività, la musica, l'ispirazione, l'intuito. Per quello poi ho chiesto a Enzo di poter utilizzare l'idea di “secondo cuore” anche in “La vita che ho deciso”. È una canzone dedicata alla musica, dove tra le righe ci sono anche i miei primi passi, quelli che mi hanno portato fino a qui».

L'album è pieno di sentimenti positivi e propositivi, «Ci siamo fatti tanti sogni» mi ha colpito per la sua amarezza.
«È la canzone più malinconica del disco, mette il punto-e-a-capo a una storia che non si può risolvere. In realtà in principio il brano voleva raccontare uno stato d'animo di fronte a una realtà sociale, un po' come “Bambini”, ma poi ho capito che stava prendendo un'altra piega».

Nell'album c'è anche la tua cover di «Un'emozione da poco» di Anna Oxa, ma in mezzo alle altre, come se fosse ormai tua.
«Quando affronto una cover, non parto mai dall'idea di stravolgere l'originale. Ma in questo caso, a cose fatte, ne è uscito qualcosa di molto diverso, qualcosa di mio. La versione di Anna Oxa rimane unica e bellissima, ma sono contenta di quello che ho fatto: pur con il massimo rispetto, armonico e melodico, l'ho cantata come me la sentivo».

Anche come sonorità si inserisce bene nell'album, le prime 6 canzoni hanno uno stile abbastanza compatto e contemporaneo. Tu e il produttore Luca Chiaravalli da che suggestioni siete partiti?
«Più che partire da riferimenti musicali, abbiamo fatto lunghi discorsi filosofici. L'attitudine dell'ultimo disco di Florence + The Machine è stata un buon punto d'incontro tra me e Luca, l'idea era quella di non rinunciare alle mie chitarre e ai miei tappeti sonori, mentre Luca è stato bravissimo a dare la giusta energia ritmica alle canzoni».

A proposito di sound: se questo album fosse un film, «Sublime» sarebbe il colpo di scena. Inanzitutto: si pronuncia all'italiana o in inglese?
«Vanno bene tutti e due i modi (Ride)».

È un pezzo molto black, persino un po' gospel, che dà in qualche modo uno «stop» al disco. Com'è nato?
«Dall'idea di collaborare con Fink (musicista, dj e produttore britannico, ndr), l'avevo incontrato anni fa a un suo concerto e ci eravamo ripromessi di fare qualcosa insieme. Sono una sua fan da cinque anni. Poi un giorno per caso Luca, che non ne sapeva niente, mi ha parlato di lui, dicendomi “Sono pazzo di questo artista, magari non lo conosci, si chiama Fink”. Gli ho scritto subito, una settimana dopo da Berlino è venuto a Roma. Il primo giorno abbiamo scritto il pezzo, lui la musica e il testo tutti insieme, e il giorno dopo l'abbiamo registrato. In due giorni era fatta».

«Tenerti per mano è la mia rivoluzione» è un titolo che colpisce al primo sguardo. Mi racconti questa rivoluzione?
«È la scoperta della cosa più semplice del mondo: lo stare insieme. Tenere la mano alla persona che ami, essere felici insieme, è il gesto più semplice e toccante. Vivere il qui e ora, è questo il concetto di quella canzone: leggerezza, voglia di godersi la vita, sapendo che la vita è adesso, come direbbe Baglioni. “Fuori cerchiamo la felicità come fosse oro”, la cerchiamo altrove, nel futuro, e invece è qua accanto a noi, a portata di mano. È una delle canzoni più felici del disco, esprime anche la gioia del mio incontro con le autrici Giulia Anania e Marta Venturini, un incontro al femminile che ha dato frutti bellissimi, come “La fine dell'estate” o “Ma dimme te”».

Quest'ultimo brano che citi è una delle curiosità del disco: un pezzo in romanesco. Ti sei tolta degli sfizi, vero?
«Oh, sì. (Ride) Finalmente sono riuscita a cantare in romanesco, una cosa che volevo fare da tanti anni, senza dover fare per forza uno stornello. Perché questo non è uno stornello, è una canzone struggente, ispirata alla figura di Anna Magnani, che rimanda però anche a mia madre e a mia nonna. Una donna forte, che sa chi ha davanti a sé, ma che diventa fragile di fronte all'amore. Noi romane siamo così».

In sostanza, in questo momento della tua carriera, cosa rappresenta per te questo album?
«È la musica che voglio fare, senza condizionamenti commerciali. È un disco in cui canto con una liberazione assoluta, dove uso tutta la mia vocalità. Ed è un album che è nato per essere eseguito dal vivo. È l'espressione di come sono oggi. E sì, oggi mi sento molto energica».

Paola Turci: la copertina di «Il secondo cuore»
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